Michael Lewis, l'autore di Moneyball
Sono ormai passati diversi anni dalla pubblicazione di quello che probabilmente è stato il libro più rivoluzionario della storia del baseball, e forse dello sport professionistico in assoluto, ossia il fenomenale Moneyball di Michael Lewis. Nel link fornito potete leggere una nostra recensione dell'epoca, ma per farla breve altro non è che la storia del successo degli Oakland Athletics del 2002 sotto la guida di Billy Beane in qualità di General Manager.
Il libro ha generato quello che, erroneamente, molti hanno valutato come "stile" di formazione di una squadra, o di un'organizzazione. In tanti hanno pensato che Moneyball significasse prendere al draft solo giocatori del college o ricevitori sovrappeso. Non è così, ma non ci sorprende che il significato del libro sia stato incompreso, visto e considerato quanto sia stato criticato a priori. Come raccontato successivamente dallo stesso Lewis, sono arrivate critiche feroci dai colleghi di Beane (a partire da Pat Gillick, adesso ai Phillies), da "autorevoli" opinionisti (come Joe Morgan, voce di ESPN, che per oltre un anno ha creduto che l'autore del libro fosse Billy Beane stesso) e da tanti giornalisti casuali (come Tracy Ringolsby, ex presidente della Baseball Writers Association of America). Per inciso: nessuno di quelli citati ha letto il libro, ed anzi hanno tutti dichiarato di non essere intenzionati a leggerlo perché infarcito di sciocchezze, ma si sono comunque presi la libertà di etichettarlo come menzognero, impreciso ed inappropriato. E' trasparente l'arroganza di certi addetti ai lavori che si ritengono al di sopra dell'avanzamento di tecnologia, tecnica e più in generale conoscenza del baseball. Naturalmente, non avendo letto il libro, risulta anche più difficile comprenderne il senso, e viene puntato l'indice a sproposito, ma l'odio generato è stato cieco perché a loro nessuno può insegnare niente di nuovo.
Sono state criticate le squadre che hanno assunto dei laureati presso università prestigiose (come Theo Epstein dei Boston Red Sox, di Yale, o Paul DePodesta all'epoca assistente di Beane, da Harvard) che non avevano esperienza pregressa sul campo. Che possono saperne dei secchioni, magari dotati persino di occhiali, se non hanno mai giocato professionalmente e non si sono fatti le ossa per decine di anni in questo business? Di sicuro non ne sapranno quanto gente che lavora nel baseball da 30 anni (magari senza alcun successo, ma non è questo il punto, capirete). Dei ragazzini che credono nei numeri, nei fatti e non negli intangibili, nella clutchness e negli occhi della tigre.
Il libro in sé non riguarda neanche tanto il baseball, quanto concetti di politica aziendale, infatti Lewis non si è formato nel baseball ma nel mondo del business. Perché tanti GM che falliscono giorno dopo giorno non vengono licenziati e sbattuti fuori dall'industria come accadrebbe in qualsiasi altro settore? Perché magari poi vengono riciclati, come accaduto ad Ed Wade presso gli Astros dopo i fallimenti di Philadelphia? Solo per l'esperienza, ma quanta importanza può avere alla luce di perdite economiche ed insuccessi tecnici? Beane ad Oakland si è confrontato con un budget ridottissimo rispetto alle sue concorrenti. Come si può avere successo con questi presupposti? Nella maniera spiegata alla perfezione da Lewis, ma tristemente non da tutti compresa.
Adesso, ad anni di distanza, rivisitiamo il significato di Moneyball e delle strategie degli Oakland Athletics. Come detto, si tratta di un libro che riguarda la politica aziendale applicata al baseball, che dal punto di vista organizzativo è più simile ad un business che ad uno sport. E ci mancherebbe, coi soldi che girano nell'ambiente. La necessità di spendere poco mal si concilia con la voglia di vittoria, ma dal 2000 al 2006 (incluso) soltanto i New York Yankees hanno vinto più partite degli Oakland Athletics, spendendo circa il 500-600% di stipendi. Le altre 28 squadre hanno vinto meno degli A's, nonostante almeno 25 di esse abbiano speso (a volte sensibilmente) di più in quel periodo. Appare chiaro che la politica degli A's sia stata di successo. E come detto da Lewis in una postfazione pubblicata su una ristampa, tante organizzazioni sportive (di altri sport, beninteso) si sono rivolte a Beane per cercare di migliorare i propri investimenti, ma nel baseball sono stati pochi a muoversi, ritenendo di non avere nulla da imparare. Buon per gli Athletics, diremmo.
Tutto si basa sull'efficienza dei mercati. In ogni settore, se tutti operano allo stesso modo e sono dotati di uguale intelletto, chi ha il budget maggiore inevitabilmente potrà investire di più ottenendo più successi. Oakland ha però capito che il mercato fosse inefficiente. C'erano delle qualità sottovalutate nei giocatori che valevano più di quanto fossero pagate. Lo sfruttamento delle inefficienza del mercato, e dunque delle qualità sottovalutate e sottopagate dallo stesso, è stata la chiave per il successo dei californiani. Senza entrare nel dettaglio dell'analisi oggettiva e basata su fatti e numeri, lo staff di Oakland è riuscito a comprendere come ci fossero statistiche, tipo l'OBP, tanto fondamentali quanto ignorate. I club pagavano troppo per la media battuta, per gli intangibili, per i ragazzi usciti dal liceo al draft, mentre erano stati svalutati aspetti come OBP o i ragazzi del college. Investendo in questi ambiti, tanto importanti se non più degli altri, Oakland è riuscita a pagare metà , un terzo o un quarto rispetto alle altre squadre ed ottenere ritorni nettamente superiori.
Il mercato era inefficiente insomma, ed il compito di chi ha meno soldi e doti finanziarie è sempre quello di scoprire quale sia l'inefficienza per poterla sfruttare a costi minimi. Naturalmente il mercato negli anni si evolve, e questo porta a vecchie inefficienze che diventano efficienze e viceversa. Alcuni analisti, evidentemente troppo superficiali, hanno guardato al fatto che Beane abbia preso nuovamente a draftare liceali come ad un fallimento della strategia di Moneyball, senza comprendere che proprio in seguito alla pubblicazione del libro tante organizzazioni abbiano iniziato a scegliere giocatori di college, colmando l'inefficienza. Perché le squadre con pochi soldi devono prendere giocatori universitari allora (in regime di inefficienza)? Perché sono più formati ed è più facile proiettarli nel futuro. Ci sono più statistiche, c'è più maturità in loro ed è più facile comprendere cosa diventeranno nel futuro. Il loro potenziale è inferiore forse, ma inferiore è anche il rischio di buttare via soldi, preziosissimi nel caso di organizzazioni "povere". Dopo il 2002, la strategia di prendere universitari è stata fatta propria da tante organizzazioni, dicevamo, e dunque il prezzo dei giocatori è salito. A quel punto continuare ad andare su di loro non aveva più senso per gli A's. Paradossalmente è sceso il costo dei liceali, che sono diventati appetibili anche ad una squadra tanto attenta al budget come Oakland. Ed il punto è proprio questo: se l'inefficienza sparisce, è sciocco intestardirsi con una strategia che nel tempo diventa perdente. Bisogna sempre mutare per sfruttare il mercato, perché non c'è una singola strategia vincente. E chi pensa che ci sia (e si fossilizza sulle sue posizioni) rimarrà invariabilmente indietro col tempo.
Lo stesso vale per tutti gli altri aspetti, a partire dall'OBP (indiscutibilmente la qualità più importante in qualsiasi battitore, visto che sostanzialmente misura la sua abilità nel non essere eliminato). Beane ha capito che per identificare le qualità sottopagate bisognava investire in ciò che non veniva visto dagli occhi "esperti". Per questo serve l'analisi oggettiva, e nel baseball con l'abbondanza di numeri che c'è, è facile capire fattivamente cosa contribuisca a vincere.
Moneyball dunque è sempre vivo come concetto, anche se alcune organizzazioni negli anni sono diventate più intelligenti, rendendo sempre più difficile l'identificazione delle inefficienze. In particolare spicca il caso di Boston, seconda squadra per payroll, che si è messa nelle mani di un laureato di Yale (Theo Epstein), che ha assunto frotte di statistici ed analisti, e che dopo 86 anni di digiuno ha vinto 2 titoli in 4 anni. Quando una squadra con un monte stipendi alto rende più efficiente il mercato, sostanzialmente accaparrandosi tutto il meglio (e lasciando alle Oakland di turno gli scarti), tutto diventa più difficile per le altre. Tecnicamente la strada che ora percorre Boston non è altro che la prosecuzione di quanto iniziato dagli Athletics, ma con più possibilità economiche e dunque con molto più potere. Date soldi all'intelligenza e sarete nei guai.
Epstein, come Beane, è stato spesso criticato. Il suo primo titolo è stato visto come fortunato, ed i detrattori della sabermetrica (la grande regista dietro tutto il nostro discorso) si sono arrampicati sugli specchi per svilire i suoi meriti e girarli magari ad altri (il manager, il pubblico o chi per loro). Vediamo però punto per punto alcune delle critiche ed alcuni dei principi di Moneyball e come negli ultimi anni si siano evoluti, e sfatiamo anche alcuni miti.
Bisogna draftare solo giocatori di college
Abbiamo già detto di come questo concetto sia stato male interpretato, perché è un'indicazione che aiuta ad avere maggiori ritorni ad un costo inferiore, ma non certo un ordine tassativo. E' qualcosa che tende ad andare contro le indicazioni degli scout tradizionali, innamorati degli iper-atletici giocatori liceali. Non è un caso che la farm dei Red Sox, da tanti sottovalutata, abbia prodotto giocatori scintillanti provenienti dal college. E' dal college che arrivano Jonathan Papelbon, Kevin Youkilis e Dustin Pedroia, fondamentali nella vittoria di quest'anno. Tutti estremamente sottovalutati: Papelbon è stato scelto prima dagli A's (senza firmare) e poi dai Red Sox. Youkilis era il terza base "ciccione" che gli A's volevano disperatamente in Moneyball (ma che Theo Epstein riesce a bloccare, pur non essendo ancora ufficialmente GM dei Red Sox), mentre Pedroia, Rookie of the Year quest'anno in AL, non era tra i primi 100 prospetti secondo Baseball America. Giocatori non dotati di mezzi fisici spettacolari, ma giocatori di baseball in grado di accumulare ottime statistiche. Hanno provocato scetticismo fino all'ultimo perché non potevano avere successo, non essendo tanto amati dagli scout ma solo dagli statistici, ed invece… E' dal college che arrivano i futuri ragazzini dei Sox, Clay Buchholz (autore di un no-hitter alla seconda partenza in carriera), Jacoby Ellsbury, Justin Masterson e Jed Lowrie, tutti sottovalutati fino all'esordio in MLB (Masterson e Lowrie, non avendo esordito, sono ancora sottovalutati nonostante quanto accaduto con tutti gli altri prospetti!). Dal liceo? Arrivano solo Jon Lester e Manny Delcarmen tra i recenti protagonisti dei Sox, e Lester era visto come molto superiore a Papelbon nel paragone diretto, proprio per l'amore degli scout nei confronti dei liceali con eccelsi mezzi atletici.
I giocatori di college sono più anziani, quindi avanzano più rapidamente in minor league, ed hanno anche meno tempo e spazio per bruciarsi. Quanti fenomeni del liceo si sono persi negli ultimi anni! E come detto, il college tende a produrre giocatori con statistiche più solide e verificabili, e dotati di capacità consolidate. Chiaro che il fuoriclasse (ma che sia potenzialmente un fuoriclasse!) liceale vada sempre scelto, ma chi non ha soldi da sprecare dovrebbe andare per il più cresciuto e formato, anche se questa è un'eresia agli occhi degli osservatori. Eppure sono gli osservatori che dovrebbero cambiare. Si innamorano di giocatori dotati di grandi capacità atletiche anche se non sono grandi giocatori di baseball, e tendono a sottovalutare la disciplina al piatto magari per le capacità di corsa o di tiro, ampiamente sopravvalutate.
Youkilis non è greco!
Questo è vero. Lewis definisce Kevin Youkilis come il "Dio Greco delle basi su ball", ma si riferiva sia metaforicamente alla propensione del giocatore ad essere un fuoriclasse assoluto nel "camminare" fino alla prima base (il Dio Greco è un simbolo di perfezione assoluta in questa accezione), sia al suono del nome (non a caso in un passaggio ne scrive il nome come "Euclis"). Tanti giornalisti hanno obiettato ricordando che Youkilis sia un ebreo di origini rumene, e persino il suo manager Terry Francona, dotato di grande spirito e buongusto, ha detto di aver visto Youkilis sotto la doccia e di poter garantire che "non sia il Dio Greco di un bel niente", alludendo alle sue origini ebraiche. Bei momenti. Ma per capire a cosa si riferisse Lewis bisognerebbe leggere il libro, e chiaramente non sono in molti ad averlo fatto.
Non bisogna rubare basi
Un concetto non compreso dai critici di Moneyball è che non ci sia nulla di sbagliato nel rubare, ma che sia notevolmente deleterio produrre out. Gli out sulle basi sono particolarmente sanguinosi. E' stato ampiamente dimostrato che un giocatore che ruba con meno del 75% di efficacia causa più danno che altro alla propria squadra, e siccome sono in pochi a farlo con percentuali superiori, la filosofia delle squadre sabermetriche (leggi: Boston, Oakland e consorelle) è quella di cercare di correre poco e prendere pochi rischi sulle basi. Non è vero (come dicono tanti dei soliti esperti) che un'eliminazione aggressiva sia meno dannosa. Gli out sono preziosi, ne abbiamo 27 a partita e dobbiamo sfruttarli. Se un giocatore ruba con l'85% di efficacia, allora è giusto che vada quando se la sente. Altrimenti, meglio evitare di essere inutilmente (e dannosamente) aggressivi. Le squadre sabermetriche non combattono le basi rubate, ma combattono i rischi inutili, le eliminazioni regalate e la scarsa efficacia nel rubare le basi. Il beneficio di avere un uomo in seconda e nessun out è molto ridotto rispetto al danno di avere le basi vuote ed un out, quindi a meno che le possibilità di rubata non siano elevatissime, è meglio che il corridore se ne stia al sicuro in prima base.
Bisogna mettersi in base
L'abbiamo accennato, ma è bene ripeterlo: ci sono 27 out in una partita. Più out dell'avversario otteniamo, e più lo avviciniamo alla sconfitta. Meno ne produciamo noi, più ci avviciniamo alla vittoria. Dovrebbe essere elementare, ma così non è. Per questo ciò che è più importante (tra le statistiche individuali) è l'OBP. Segue la SLG, perché se per segnare punti bisogna fare 4 basi, più basi riusciamo a fare in un colpo solo e meglio è. La BA invece è sopravvalutata perché è soltanto una componente delle altre due statistiche, e darle un'esagerata importanza equivale a dare 45 milioni a Juan Pierre un anno, e 36 milioni ad Andruw Jones l'anno dopo (per coprire le malefatte del primo), una volta vista in prima persona la totale inettitudine di Pierre, tra i più sopravvalutati giocatori in MLB.
Non bisogna effettuare bunt di sacrificio
Il bunt di sacrificio in rare occasioni e configurazioni di punteggio (e con hitters particolarmente scarsi al piatto) può anche starci, ma la maggior parte delle volte è una strategia perdente, perché regala un out a fronte dell'avanzamento di una sola base da parte del corridore. Regalare out è un peccato capitale. Come detto, se il battitore non ha alcuna possibilità di non produrre out, è qualcosa di tollerabile, ma il bunt viene usato a sproposito almeno 9 volte su 10.
Non produrre out è fondamentale. Prima dei playoffs del 2002 Beane sottolineò come la sua squadra avesse una media battuta ed una slugging average inferiore a quella dei rivali Minnesota Twins, ma avesse segnato più punti. Perché? Perché faceva meno bunt, regalava meno out sulle basi ed aveva una OBP più alta. Non produrre out è la singola cosa più importante del baseball.
Si, vabbè, ma nei playoffs le tattiche di Moneyball non funzionano!
Una critica frequentemente mossa agli Athletics è che magari la loro "magia" potrà anche funzionare durante la stagione regolare, ma durante i playoffs è per qualche motivo fondamentale fare bunt e correre sulle basi. Naturalmente tutto questo è falso (è sempre baseball e le regole sono sempre le stesse), ma gli "esperti" non hanno bisogno di supportare le proprie impressioni, no?
Gli Athletics non hanno vinto le World Series con Beane, ma che significato ha? Si tratta di serie da 3 su 5 o 4 su 7, e chiunque diventi caldo si porta a casa l'incontro. Spesso non vince la squadra migliore, ma solo quella più calda ed in grado di vincere 11 partite prima delle altre ad ottobre. Insomma, ci vuole parecchia fortuna, e con un campione statistico così ridotto tutto può accadere. I singoli eventi non hanno particolare importanza, ma a tanti piace poter dedurre di tutto da un singolo out, da una singola partita o persino da un singolo lancio. E' sciocco, superficiale ed errato, ma a questo siamo esposti.
Gli insuccessi di Oakland però hanno fatto la fortuna dei Joe Morgan di turno nel 2002 e 2003, ma hanno anche causato divertenti aneddoti, come quella volta in cui Morgan stava spiegando che "il fuoricampo da 3 punti nei playoffs non arriva" nel preciso istante in cui Eric Chavez ne batteva uno (Morgan non fece una piega). Oppure la spiegazione della vittoria degli Yankees contro gli Angels la sera prima, attribuita ad una rubata di Soriano, quando era stato un fuoricampo da 3 punti di Bernie Williams a spezzare definitivamente il pareggio. Oppure, ancora, quando nel 2003 gli Athletics erano sopra 2 partite a zero contro i Red Sox ed ormai li davano per vincenti, i cronisti si sentirono in dovere di sminuirne le strategie, dicendo che avrebbero vinto solo grazie ad un bunt messo giù da Ramon Hernandez in gara 2. Non importa che il bunt non fosse di sacrificio (era con 2 out, un tentativo di mettersi in prima base), ma era l'unico appiglio rimasto. Naturalmente poi gli A's persero 3-2 e l'ordine naturale delle cose venne ristabilito.
Ma si torna al problema principale: quanto accade nei playoffs è frutto di fortuna, casualità e momento di forma. Se non entri in forma nel momento giusto, te ne vai a casa, e non c'è una singola ricetta vincente. Se ci fosse, perché Joe Torre avrebbe guidato gli Yankees al dominio verso la fine degli anni '90, ma a nessun titolo nel nuovo millennio? Casualità , variazioni nel roster, quello che volete, ma non era certo colpa dello stile di gioco. E comunque si punta l'indice verso Oakland, e ci si dimentica che Atlanta abbia vinto un solo titolo, nonostante 14 vittorie divisionali consecutive ed uno stile di gioco aggressivo sulle basi e basato sui bunt. Insomma, è facile rigirare gli argomenti a proprio favore, quando si è in malafede.
E purtroppo molti analisti sono in malafede e non possono accettare che stiano arrivando frotte di bloggers o di laureati in prestigiose università ma senza esperienza professionistica, e che possano insegnare baseball sia ad ex professionisti sia a loro. C'è resistenza alla conoscenza ed al cambiamento, in maniera irrazionale e solo perché "non può non essere come diciamo noi da anni".
Questo naturalmente ha spianato la strada ai più coraggiosi, come John Henry, padrone dei Boston Red Sox, arricchitosi con intelligenza nel mercato finanziario, utilizzando numeri e fatti. Henry ha tradotto gli stessi concetti nel baseball e, dopo aver cercato di assumere Billy Beane senza avere successo, ha dato il lavoro di GM ad un ragazzo con meno di 30 anni senza esperienza pregressa da giocatore o a livelli operativi alti, e quel ragazzo, Theo Epstein, gli ha dato tantissimi successi ed un'organizzazione in salute che produce tantissimi profitti. Che volere di più? Ma tanti continuano a screditarne il lavoro, ed appena c'è qualche intoppo minimo, quest'ultimo viene preso come dimostrativo, mentre tutto il resto è fortuna o casualità , quando è l'esatto contrario (anche perché gli intoppi sono pochi ed i successi sono tantissimi). Nel 2006 i Red Sox quando guidavano la divisione sono stati perseguitati da una marea di infortuni, e l'anno, anziché sfortunato, è stato visto come un fallimento dei numeri. Naturalmente poi nel 2007, senza infortuni e con ritocchi minimi, hanno vinto, ma non sono stati in molti a fare un passo indietro.
E nonostante ciò, i Red Sox hanno oggettivamente avuto bisogno di fortuna per vincere nei playoffs. Hanno impiegato del pitching importante (forse l'unico piccolo segreto, condiviso con gli A's, dei playoffs), ma la vittoria in 2 World Series è stata anche figlia di particolari circostanze, sebbene secondo molti la superiorità di Boston fosse tale da essere quasi a prova di momenti di scarsa forma. Ma la casualità ha ancora un ruolo fondamentale. I Sox avrebbero dovuto vincere nel 2003, quando sono stati eliminati in gara 7 nell'ALCS, ma il loro manager Grady Little ha lasciato un Pedro Martinez distrutto sul monte ad implodere. E non avrebbero dovuto vincere nel 2004, quando Mariano Rivera ha bruciato una comoda salvezza in gara 4 della stessa ALCS. Sono cose che succedono, ma il massimo che si possa fare è mettere la squadra nelle condizioni di arrivare ai playoffs, nella speranza che infortuni e casualità la lascino stare lì ad esprimere tutto il potenziale di cui è dotata.
I Risultati delle squadre sabermetriche
Ogni anno cresce il numero delle squadre che possono considerarsi sabermetriche, ma è sempre piuttosto ridotto. Al di là dei successi di Oakland e Boston (le prime e nettamente le più estreme nell'espressione sabermetrica delle rispettive organizzazioni), di cui abbiamo già parlato, altre ne hanno abbracciato i principi.
I Cleveland Indians hanno affidato la posizione di assistente al GM a Chris Antonetti, laureato senza esperienza nel baseball giocato ma fine conoscitore di numeri ed analisi oggettiva. La sua importanza cresce giorno dopo giorno in seno all'organizzazione, e tra un paio d'anni lo troveremo inevitabilmente nel ruolo di GM, magari proprio degli Indians. Quest'anno hanno vinto la division, hanno vinto più partite di tutti nella stagione regolare (assieme a Boston) e sono stati ad un passo dal battere i Red Sox nell'ALCS.
I San Diego Padres hanno Sandy Alderson (lo "scopritore" di Beane, e grande estimatore dell'analisi oggettiva) a guidare l'organizzazione da CEO, sopra il GM Kevin Towers, ed hanno assunto Paul DePodesta dopo il suo licenziamento da parte dei Dodgers (in qualità di assistente). I Padres sono diventati una potenza della National League quando hanno deciso di abbracciare maggiormente l'approccio sabermetrico (fino a qualche anno fa erano a “metà strada”, prima di assumere DePodesta), avendo vinto titoli divisionali nel 2005 e 2006, ed avendo perso lo spareggio coi Rockies (poi trionfatori della NL) per la Wild Card nel 2007, dopo aver avuto il peggior record della National League nel 2003. La loro crescita è stata incredibile, soprattutto dopo l'arrivo di DePodesta, appunto. Theo Epstein proviene dai Padres, dove alla fine degli anni '90 ha iniziato da stagista.
Gli Arizona Diamondbacks hanno dato la posizione di GM a Josh Byrnes, ex assistente di Theo Epstein, e quest'anno hanno avuto il miglior record della NL, oltre ad aver assemblato uno dei migliori sistemi giovanili in circolazione.
I Pittsburgh Pirates hanno appena assunto Neil Huntington, proveniente da Cleveland, per ricostruire la squadra, e gli hanno dato una sfida mica da ridere per le mani. Anche altre squadre hanno GM con importanti basi sabermetriche, anche se non rientrano strettamente nella categoria elencata qui sopra. Possiamo citare (anche se, come a Pittsburgh, stanno appena iniziando): Kansas City, Colorado, Milwaukee e Tampa Bay. Sono poche insomma quelle che si discostano totalmente dall'analisi oggettiva ai nostri giorni, ma quando una Chicago di turno vince il titolo (White Sox nel 2005), anziché comprendere che abbia venduto l'anima per una stagione (come dimostrato dai risultati prima e dopo), la squadra viene elevata a simbolo della battaglia dei tradizionalisti al grido di "Moneyball è finita!", attimi prima che la Boston di turno ristabilisca l'ordine naturale delle cose. Persino dei grandi come Terry Ryan di Minnesota, Bill Stoneman degli Angels e John Schuerholz di Atlanta hanno capito di non poter competere con mezzi tradizionali (pur essendo tra i migliori assoluti in tal senso) e si sono fatti da parte.
Solo Toronto, con JP Ricciardi (ex direttore dello sviluppo dei giocatori sotto Billy Beane agli Athletics) finora ha relativamente fallito. Diciamo relativamente perché non ha un grande payroll rispetto alle rivali divisionali, ma effettivamente Ricciardi si è dimostrato abbastanza incapace di gestire con successo lo sviluppo dei Blue Jays. Non lo stimiamo particolarmente, ma il problema, essendo singolo come si vede, riguarda più l'individuo che il sistema.
I Dodgers si erano affidati a Paul DePodesta, ex assistente di Beane, che li ha subito portati ad un titolo divisionale, prima di sciogliersi l'anno dopo (nel 2005) sotto il peso di infortuni in una stagione praticamente identica al 2006 dei Red Sox. Non è stato fortunato come Epstein però ed è stato licenziato. Il suo posto è stato affidato a Ned Colletti (di cui parliamo in un paragrafo dell'articolo linkato), uomo vecchio stile, dopo una vera e propria battaglia guidata dall'articolista Bill Plaschke contro il povero DePodesta. I Dodgers comunque grazie a lui hanno tantissimi giovani con abilità semplicemente stellari, nonostante Colletti continui a firmare mediocri o infortunati veterani (Garciaparra, Luis Gonzalez, Pierre, Tomko, Schmidt) per chiudere spazio a loro, e pure i veterani più forti (Penny e Lowe) sono sempre figli di DePodesta. Insomma, se fosse rimasto lì, i Dodgers chissà cosa avrebbero potuto fare (probabilmente sarebbero diventati i Red Sox della National League, coi soldi di cui dispongono). Invece il buon Paul adesso fa l'assistente di Kevin Towers a San Diego, e i Dodgers vengono dal un 2007 assolutamente inguardabile in cui hanno speso tantissimo ma a sproposito.
Il mondo è sempre più Moneyball, riguarda sempre di più lo sfruttamento dell'inefficienza dei mercati, riguarda sempre di più l'intelligenza delle organizzazioni e l'allocazione efficace delle risorse economiche, tramite un'accurata analisi oggettiva (prevalentemente statistica). La guerra continuerà tra le fazioni, ma appare chiaro chi la stia dominando ed in che direzione si stia andando.