Sul filo di lana…

Doug Glanville decisivo negli extra hinnings…

Dopo una gara 2 priva di pathos, decisa sin dalle prime riprese dal parziale inflitto dalle mazze di Chicago ai danni del partente Brad Penny, erano di nuovo le emozioni a farla da padrone in gara 3, con le squadre ad affrontarsi nel primo dei tre confronti previsti al Pro Player Stadium di Miami.

Di fronte a 65.115 spettatori, andava in atto l’ennesima grande battaglia di questi playoffs 2003, da alcuni già  annoverati tra i migliori di sempre vuoi per il livello di gioco espresso dalle squadre partecipanti, vuoi per la presenza di squadre storiche come Cubs, Yankees e Red Sox, tra le candidate alla vittoria finale. Con gli indici televisivi che confermano questo rinnovato interesse verso il baseball di ottobre, erano ancora una volta Cubs e Marlins, in quella che veniva considerata la sfida tra gli underdogs, a fornire l’ennesimo esempio della magia insita nel baseball della postseason.

Per la seconda volta nella serie, non erano sufficienti le canoniche nove riprese per decretare un vincitore e la sfida si protraeva sino all’undicesimo inning, quando nella parte alta, Lofton batteva un singolo in campo opposto ai danni del pitcher Michael Tejera. Si presentava allora al piatto come pinch hitter Doug Glanville, cui il manager dei Marlins Jack McKeon decideva di contrapporre Braden Looper: con due ball e uno strike sul conto, Glanville batteva una linea che superava l’interbase avversario per dirigersi in campo sinistro dove Conine tentava il tuffo.

La palla superava però l’esterno sinistro e trasformava quello che poteva essere un doppio in un RBI triple, con Lofton che andava a segnare il punto del vantaggio per i Chicago Cubs. “La mia intenzione era trovare il contatto…sapevo che Lofton avrebbe fatto il resto…” dichiarava un entusiasta Glanville nel dopo gara.

Le emozioni non erano finite però, perché con Remlinger sul monte per chiudere la partita, i Marlins non sfruttavano la possibilità  di riaprirla e addirittura ribaltarla.

Il rilievo di Dusty Baker forzava Juan Pierre alla comoda eliminazione, per poi vedere il lancio che avrebbe messo strikeout Castillo, passare sotto le gambe del proprio ricevitore Paul Bako, per un wild pitch che consentiva al giocatore di Florida di giungere in prima. Remlinger ritirava Ivan Rodriguez e con Castillo in seconda, Derek Lee batteva una grounder in direzione del terza base Aramis Ramirez il quale, tradito da un rimbalzo, pasticciava la presa.

L’incertezza si rivelava però propizia in quanto Castillo si staccava in direzione del cuscino di terza senza la necessaria decisione per venire intrappolato da Ramirez e dal seconda base Ramon Martinez per l’out che chiudeva la partita.

5 a 4 per i Cubs dunque, in una partita che aveva tra i suoi motivi di interesse la presenza sul monte come partente di Kerry Wood, che nelle ultime settimane sembrava l’unico bipede in America a poter competere con Arnold Schwarzenegger quanto a esposizione mediatica.

Fiumi di inchiostro versati per incensare il Rookie of the Year 1998 per la NL, e per sostenere il parallelo tra la coppia formata proprio da Wood e Mark Prior e quella formata da Randy Johnson e Curt Schilling che guidò i D-Backs al titolo nel 2001.

Ma che il paragone fosse azzardato, non era solo Wood a sostenerlo nel prepartita (“mi pare un po’ ingiusto nei loro confronti…è ovviamente un onore essere affiancati a due lanciatori del genere ma noi abbiamo ancora molta strada da fare per raggiungere i loro risultati…”). Ad una opaca uscita di Prior in gara 2 infatti, si affiancava una prestazione affatto decisiva di Wood, che non riusciva a ripetersi sui livelli della serie contro i Braves.

Il duello contro il partente avversario Mark Redman si protraeva per sette innings ma erano i due bullpen a risultare decisivi al fine del risultato, dimostrando ancora una volta come Dusty Baker non sia così lontano dalla verità  quando sostiene che non sono stati solo due lanciatori, seppur grandissimi, a portare la sua squadra così avanti nei playoffs.

I guai cominciavano nel quinto inning per Wood, quando in vantaggio 2 a 0 nel conto, concedeva la base per ball proprio al collega Redman, oltre che un singolo a Juan Pierre prima di mandare in prima Castillo con un altro walk. Con le basi piene e Ivan Rodriguez al piatto, Wood si ricomponeva per lo strikeout che chiudeva una difficile situazione. Col punteggio in parità  nel settimo, Pudge aveva l’opportunità  di rifarsi e con un singolo in campo destro mandava l’eroe di gara 1, Mike Lowell a segnare il punto del vantaggio.

Ma se l’America è la terra delle seconde opportunità , era giusto che ne toccasse una anche a Randall Simon, balzato agli “onori” della cronaca in luglio, quando ancora militante nei Pirates, a Milwakee per affrontare i Brewers, non trovava di meglio che colpire (sia detto, non violentemente) con la mazza una donna la quale (non per passione ma per il vil denaro) vestita come una bottiglia di salsa, era intenta ad affrontare una gara podistica “tra salse” per quella che doveva essere una iniziativa promozionale.

Multato e sospeso, Simon doveva attendere gara 3 per lavare la macchia, quando spediva fuori un lancio di Chad Fox, per l’homer da due punti che riportava avanti i Cubs, ma che tuttavia non bastava a fiaccare lo spirito degli indomiti Marlins.

Sempre nell’ottavo inning arrivava infatti il pareggio dei padroni di casa, quando Baker toglieva il rilievo Farnsworth per inserire il closer Borowski, il quale incappava subito nel singolo di Hollandsworth che rimandava i festeggiamenti del dugout di Chicago.

Con la vittoria di gara 3 i Cubs si avvicinano ulteriormente a quelle World Series cui mancano dal 1945, ma con un simile equilibrio nella serie, sembra difficile pensare che possano archiviare la “pratica Marlins” nelle prossime due partite.

Per provare a farlo dovranno affidarsi, oltre che al gioco di squadra di cui gara 3 è stata la perfetta esemplificazione, all’ispirata guida di Baker, che d’altro canto, sin dall’inizio della postseason ha preferito precisare che il suo nome sarebbe dovuto rimanere, in ogni caso, Dusty, in quanto: “commetto troppi peccati per essere chiamato Messiah…”.

Se lo dice lui…

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