Missione Compiuta!

L'esultanza incontenibile dei Red Sox al termine della partita!

Jim Caple, analyst della prestigiosa ESPN, parla già  di probabili repliche su ESPN Classic, per quella che è stata una delle serie più combattute e spettacolari degli ultimi anni: quattro partite terminate con un solo punto di scarto, di cui tre decisesi all'ultimo turno di battuta.

In due occasioni sono stati necessari gli extra innings per decretare la squadra vincente. Una vera e propria battaglia, il cui apice è stato raggiunto nello spettacolare epilogo di gara 5 giocata al Network Associates Coliseum di Oakland e che ha visto i Boston Red Sox, infliggere una dura sconfitta (nella sostanza, non certo nel punteggio") ai padroni di casa e al loro pitcher Barry Zito.

Proprio lo scontro sul monte di lancio, tra il giovane Zito e il grande Pedro Martinez, rappresentava uno dei più forti motivi di interesse per tifosi e addetti ai lavori, vuoi perché uno scontro tra passati vincitori del Cy Young Award si presentava come un fatto inedito a livello di gara decisiva nei playoffs, vuoi perché se la classe dei due non è mai stata in discussione, alcuni dubbi sembravano circondare la possibile tenuta fisica di entrambi: Martinez, a lungo preservato durante la stagione dal manager Grady Little, era reduce dai 130 lanci di gara 1, mentre Zito, per la prima volta nella sua giovane carriera, si trovava a lanciare dopo soli tre giorni di riposo.

Ma la stanchezza non sembrava un fattore, in quanto se i primi tre innings se ne andavano con altrettanti zero sul tabellone, nella quarta ripresa erano proprio gli A's ad aprire le danze, quando Guillen toccava duro verso gli esterni mandando a segnare Hatteberg, per poi venir eliminato in terza base nel tentativo di trasformare un comodo doppio in un triplo. Errore di lettura probabilmente, o forse solo l'eccessivo entusiasmo, per quello che analizzato col senno di poi, potrebbe risultare un errore decisivo per la serie.

La reazione dei Red Sox non si faceva attendere e dopo che Millar, nel quinto inning, mal giudicava una piccola incertezza di Singleton tradito da un rimbalzo e veniva colto quest'ultimo nel tentativo di arrivare goffamente in seconda base, era nel sesto inning che la partita, la serie e forse anche il ciclo di questi Oakland A's, andava a decidersi: il catcher Jason Varitek, apriva la ripresa con un solo homer in campo sinistro, sul conto pieno, scuotendo uno Zito sino ad allora apparso in pieno controllo.

Con Johhny Damon al piatto, l'asso mancino degli A's, andava subito avanti nel conto, ma finiva per concedere la base per ball. "Quella mi ha veramente ucciso"" dichiarava uno sconsolato ma lucido Zito nel dopopartita"con Garciaparra, eliminato, Walker arrivava in base grazie a un hit by pitch, mentre sul piatto si presentava il cliente più scomodo del lineup di Boston, Manny Ramirez.

Ramirez, 3 su 18 nella serie e una brutta incertezza difensiva in gara due, sprizzava in foul il quinto lancio di Zito sul conto pari ai due strikes due ball, per poi girare oltre le recinzioni in campo sinistro, una fastball rimasta troppo sul piatto. Il cleanup hitter, rimaneva per qualche istante immobile ad ammirare la location del proprio blast, poi cominciava a trotterellare verso la prima base, indicando il proprio dugout.

Con Boston avanti per 4-1 e Pedro Martinez sul monte, erano gli A's a sembrare completamente spacciati, ma una reazione di grandissimo orgoglio, portava ad accorciare le distanze nella parte bassa del sesto inning, grazie ai doppi di un sempre positivo Durazo e di Miguel Tejada, forse alla propria ultima partita in maglia verdeoro.

Nell'ottavo inning, un doppio del leadoff Singleton, e il singolo del pinch hitter Billy McMillon, portavano gli uomini di Ken Macha a un solo punto di distanza dai Red Sox e costringevano Little a far scendere Martinez per affidarsi al proprio bullpen: "Non potevamo chiedergli di più"– sosteneva Little - era arrivato il momento di quei ragazzi"".

I ragazzi in questione, Embree e Timlin, provvedevano a eliminare Durazo, Chavez (uno dei maggiori imputati a seguito del suo 1 su 22, .045 nella serie) e Tejada, grazie a otto lanci di cui sette strikes, per mettere nelle mani di Scott Williamson la nona ripresa.

Due basi per ball concesse ad Hatteberg e Guillen, però, gettavano nello sconforto i numerosi sostenitori dei Sox, presenti al Coliseum riproponendo i fantasmi di Babe Ruth e della sua maledizione, fantasmi che per un attimo devono aver attraversato la mente di Derek Lowe di nuovo in campo come closer (ruolo ricoperto anni addietro), dopo il pessimo precedente di gara 1 e del bunt decisivo di Hernandez. Proprio da Hernandez, Lowe subiva ancora un bunt, stavolta di sacrificio per permettere agli uomini in base di avanzare in seconda e terza.

Adam Melhuse, stranamente scelto come pinch hitter per Dye, veniva messo strikeout dal partente di gara 3, che concedeva poi la base per ball a Singleton. Si arrivava dunque all'epilogo, con le basi cariche e due out al nono inning di gara 5.

Terrence Long, sulle cui spalle poggiavano le speranze di una intera città , veniva eliminato al piatto "ammirando il terzo strike" come dicono in America e la Red Sox Nation poteva finalmente esplodere la propria gioia, una gioia giustificata e legittima per un'impresa che vede Boston ripetersi tra le 4 squadre in grado di ribaltare un 0-2 in apertura delle Division Series, ma una gioia che faceva storcere il naso a qualcuno, in particolare ad alcuni componenti del dugout degli A's che interpretavano negativamente alcuni gesti rivolti loro da parte del festante Lowe.

La vittoria andava a Pedro Martinez e ad attendere i Sox, gli arcirivali dei New York Yankees, per quello che sarà  sicuramente un altro splendido capitolo della loro accesa rivalità . Proprio gli Yankees, nel 1999, eliminarono Boston per quattro partite a una ma i confronti diretti durante la stagione regolare e soprattutto la produttività  offensiva di Garciaparra e compagni, suggerisce cautela nello stilare pronostici troppo sbilanciati in favore dei Bronx Bombers.

Sconforto in casa A's, giunti alla nona sconfitta in quattro anni, in partite che potevano condurli al passaggio del turno (i cosiddetti clincher) e conseguente quarta eliminazione consecutiva al primo turno dei playoffs. Ma se Macha, come il collega Little, era pronto a porre l'accento su quella che è stata una serie di clamorosa intensità , Zito, perdente di gara 5, ci teneva a distinguere questa dalle precedenti disfatte nella postseason: "Fa male perché potevamo esserci noi"riuscire a segnare tre punti contro Pedro è già  raro"mi assumo la piena responsabilità  per la sconfitta" se fossi riuscito a uscire da quella situazione difficile, adesso saremmo forse su un aereo per New York"" e continuava dicendo "questo è probabilmente il primo anno in cui pensavo che ce l'avremmo davvero fatta" i primi due anni eravamo già  contenti di essere ai playoffs"con Minnesota lo scorso anno è stata dura"ma stavolta mi vedevo già  sull'aereo per New York"purtroppo non è accaduto"".

Grande amarezza dunque, soprattutto alla luce degli infortuni a Mulder che ha privato gli A's di un pitcher di assoluto valore e di quello ad Hudson che lo ha costretto alla resa dopo un solo inning di gara quattro e su cui si stanno addensando particolari grotteschi riguardanti una presunta rissa in un bar la sera prima della gara.

In tema di infortuni, a guastare la festa ai vincitori, ha rischiato di essere un terribile scontro tra l'esterno centro Johnny Damon e il seconda base Damian Jackson, i quali accorsi simultaneamente su un pop di Jermaine Dye, sbattevano violentemente la testa.

Mentre Jackson rimaneva intontito ma veniva riaccompagnato a braccia verso il dugout dove aveva ancora la forza di abbozzare una reazione contro un tifoso non particolarmente prodigo di belle parole (prontamente allontanato), Damon rimaneva a terra apparentemente privo di sensi"caricato in barella tra gli applausi del pubblico, forniva l'ennesima emozione di una fantastica serie, quando poco prima di venire introdotto nell'ambulanza diretta all'ospedale per accertamenti, alzava il braccio e mostrava il pollice alto, forse per dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, il carattere di questi Red Sox, gente dura, gente che non molla mai.

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