Muratori smobilitano la gigantografia. Dopo l'addio di LeBron questa è una delle scene che è più facile vedere in Ohio.
E' iniziata in diretta televisiva e in mondovisione la fine di un'era per i Cavs e l'inizio di una nuova, così come avvenne ormai più di 7 anni fa, quando dal gruppo dei tre fortunati owner a vincere la lottery si scoprì che la prima scelta di quell'anno sarebbe toccata alla franchigia dell'Ohio, in barba a Pistons e Nuggets.
Una delle scelte più scontate di sempre, erano già mesi che arrivavano roboanti rumors per il prescelto, il giocatore in grado di cambiare le sorti di una squadra. I Cavs per l'occasione si tirarono a lucido (nuovi di pacca palazzetto, owner e logo) e si prepararono ad accogliere a braccia aperte l'inizio della monarchia di LeBron James.
E l'altra sera, mentre per strada si bruciavano le magliette dedicate al re nella città vicina al lago partiva l'allarme generale, è stato l'equivalente cestistico della presa di Baghdad da parte dei Marines con le statue di Saddam sradicate dai piedistalli.
Parliamoci chiaro: Cleveland rischia di sparire dalla cartina geografica della lega con la stessa velocità con la quale vi entrò 7 anni fa. LeBron abdica, va in esilio, separa la sua strada da quella dei Cavaliers che in una notte si rendono conto di essere Ringless & Kingless.
Le promesse non sono state mantenute, così come le innumerevoli dichiarazioni d'amore che le due parti si mandavano vicendevolmente e la rabbia da parte dei supporter è seconda solo alla loro delusione.
Perfino gli ultimi capricci del prescelto erano stati esauditi (nuovo coach e nuovo GM), eppure tutto ciò non è bastato a trattenere James in patria.
A mettere definitivamente la parola fine alla storia tra LeBron e la franchigia è stato il proprietario dei Cavs che con parole belligeranti si infuriava contro il suo prediletto e prometteva senza troppi giri di parole che Cleveland avrebbe vinto un anello prima del Re.
Adesso per i Cavs si apre una nuova era e la franchigia si appresta a vivere quello che è il momento più difficile della sua storia. General Manager, owner e tutto il coaching staff sono chiamati ad una rivoluzione su tutti i fronti: gioco, roster, merchandising.
E questa volta non c'è spazio per errori, una cattiva gestione rischia sul serio di far tornare la franchigia nelle zone d'ombra della classifica. Per prima cosa c'è l'obbligo di muoversi e anche in fretta.
Il monte salariale è ancora a circa 9 milioni al di sotto del nuovo limite (fissato a circa 58 milioni), inoltre si fa strada in queste ore la notizia che il 23 se ne va a Miami per una Sign & Trade che garantirebbe ai Cavs altri 16 milioni da poter spendere.
La possibilità di fare mercato per quanto possibile in questa finestra ancora c'è, così come i nomi (Michael Redd il primo che mi viene in mente) ma prima di tutto c'è da imbastire un progetto a lungo termine.
La squadra è ormai composta da un folto gruppo di gregari e mestieranti che non si sono dimostrati all'altezza di giocare ad alti livelli. Quel poco di talento offensivo che c'è è quasi tutto nelle mani di Antawn Jamison e Maurice Williams, gli unici due giocatori a disposizione in grado di crearsi un tiro da soli.
Byron Scott ha avuto come massima espressione gli Hornets con i continui Pick & Pop tra Paul e West e gli indimenticabili alley hoop per Tyson Chandler. Sinceramente vedere gli stessi giochi tra Williams e Varejao non è proprio la stessa cosa anche se Jamison potrebbe trovare finalmente una dimensione nell'Ohio sfruttando il suo gioco dal gomito.
Inoltre la situazione salariale per gli anni a venire non è drammatica come si pensa. Alla fine ci sono solo 3 contratti veramente lunghi e solo uno oltremodo oneroso, quello di Jamison. La triste verità è però che questo è un roster assemblato attorno ad un giocatore che non c'è più e in mancanza di questo risulta essere semplicemente un insieme di giocatori male accostati.
Le carte in tavola vanno cambiate o si rischia una diaspora sia a livello di rinnovi sia un ammutinamento in campo con Scott che deve gestire uno spogliatoio che appare non facilissimo.
Inoltre le dichiarazioni a caldo dell'Owner dopo lo show su ESPN fanno capire che i Cavs non opteranno per una smobilitazione generale ma anzi cercheranno subito di tornare competitivi ad alti livelli. Per quanto possa sembrare catastrofica la situazione è rimasta ancora una speranza possibile che potrebbe cambiare davvero le sorti della franchigia.
Occorre sostituire rapidamente la monarchia con un sistema più democratico e diventa tassativo puntare sullo sviluppo dei giovani, su di tutti il promettente Hickson.
I Cavs al giorno d'oggi non possono più affidarsi ad un singolo giocatore perchè non c'è più nessuno in grado di reggere alla pressione. La strada da percorrere sembra quella che porti ad un sistema di gioco di condivisione e abnegazione in fase offensiva e ad un compromesso di letture e sacrificio in difesa.
La via potrebbe essere una filosofia di gioco tipo "Ubuntu" (come Rivers ha insegnato agli ultimi Celtic's vincenti). Solo che stavolta sarebbe una distribuzione che non nasce dal bisogno di gestire tre talenti debordanti, ma al contrario deve essere una base per una situazione dove il talento sarebbe richiesto e anche d'urgenza.
I Cavaliers devono lavorare dagli errori dell'anno scorso e fare di essi il loro punto di forza. E' ormai finito il tempo dell'attacco univoco con un gran maestro, è caduta la monarchia e si passa alla repubblica. Non è un progetto completamente utopico quello che si prospetta, nel Basket raramente la forza di una squadra è determinata dal valore dei singoli interpreti.
Ma tutto questo porta sotto ai riflettori un uomo che si ritrova con uno degli incarichi più difficili al mondo: può Byron Scott gestire questo gruppo e farne una realtà vincente? Senza esagerare nei proclami può l'ex allenatore degli Hornets mantenere in vita una franchigia che sembra sull'orlo del collasso?
Non prendiamoci in giro, Scott è stato messo lì non per gestire questa particolare situazione tecnica ma per permettere a LeBron di rimanere contento ad Akron. Oggi più che mai c'è da fare di necessità virtù: si riparte da quelle poche certezze e bisogna scommettere sui giovani che si hanno.
Colpi di mercato a parte Cleveland è chiamata ad una situazione di "nuotare o affogare". Vedremo se la rabbia per la partenza dell'ex 23 saprà dare una carica di motivazioni ai cavalieri e spingerli a traguardi che oggi sembrano insperati.