Rivers vs Jackson: scontro fra titani

L'annata NBA 2009-2010 passerà  alla storia per il quinto titolo di Bryant, il repeat dei Lakers, un altro capitolo dell'ancestrale guerra fredda tra Celtics e Lakers che trascende dal basket, ma affonda proprio nella cultura di due americhe differenti.

E' un titolo che racconta mille storie, quella del sempre decisivo Derek Fisher, del turbolento Ron Artest, dell'addio ufficioso nell'attesa di essere ufficiale di Rasheed Wallace al basket giocato, del Ciuchino e dell'Orco Shrek al secolo Nate Robinson e Glen Davis ecc"

La nona finale NBA con protagoniste Boston e Los Angeles però si è giocata anche in panchina, tra due dei migliori coach della nba, uno dei quali addirittura tra i più grandi, se non il più grande, di sempre.

Doc Rivers e Phil Jackson hanno molte analogie.
Entrambi hanno abbracciato due ideologie esotiche come approccio al basket e forse anche della vita: Ubuntu per i Celtics e l'ideologia Zen per i Lakers.

Modi di pensare agli antipodi, uno volto alla calcificazione del gruppo, alla collaborazione per innalzare il livello di tutti e con tutti focalizzarsi su un obbiettivo, l'altro, lo Zen una disciplina complessa che fa della meditazione e della convinzione dei propri mezzi la scintilla che dovrebbe renderti un uomo, ed in questi caso, un giocatore più equilibrato e "perfetto".

La difesa dei Celtics, messa a punto e organizzata dal punto di vista tattico dal mago Tom Thibodeau trae la forza motrice proprio da Ubuntu, dalla capacità  di aiutarsi e muovere all'unisono come una forza sola un'intera squadra nella propria metà  campo. Organizzazione e collaborazione, uno per tutti e tutti per uno, Ubuntu.

Di pari passo lo Zen ha trovato nella Triple Post Offense il suo sfogo cestistico. Tex Winter la insegna(va) ai giocatori, Jackson gli inculca i principi etici che rendono questo sistema offensivo quello perfetto, in cui la scelta, la posizione, la lettura non deve essere frutto del caso, ma della coscienza e dal pieno controllo delle proprie facoltà .

Dove non arriva la filosofia arriva la pragmaticità  degli assistenti e Rivers e Jackson sono attorniati dal meglio che possa esserci per quanto riguarda la difesa, rispettivamente con Tom Thibodeau, che ha appena lasciato l'incarico per diventare Head Coach a Chicago, e per quanto riguarda l'attacco con Tex Winter, che non sai mai se è o no in pensione.

A volte francamente viene anche il dubbio su chi sia realmente il coach delle due squadre, con Thibodeau sempre in piedi nelle fasi difensive dei Celtics a urlare ordini ai suoi uomini mentre Rivers rimane seduto a osservare e Winter che si appunta sul suo taccuino tutti gli errori e gli accorgimenti necessari che poi riferisce in un orecchio a Jackson durante la partita e in trasferta telefonandogli.

Rivers e Jackson possono definirsi due player's coach, ovvero magari non in grado di disegnare sulla lavagna lo schema rivoluzionario, ma abili a gestire il gruppo, ad allenare i giocatori non soltanto sotto il punto di vista tecnico, anche qui in modi diametralmente diversi.

Doc Rivers è amico dei giocatori, è per loro un padre, uno zio, un amico e anche una mamma. Ha il rispetto di tutti, soprattutto delle star, ma sa anche farsi ascoltare dai giovani. Tiene testa ai giocatori problematici, li coccola e li spinge a dare il meglio.

Tutto ciò perché è leale, perché l'onestà  è da sempre un valore suo e che ha sempre cercato di dare ai suoi giocatori. Riesce a forgiare un gruppo, lo protegge, lo incalza quando necessario e ha un carisma che non sempre appare evidente, ma che penetra a fondo.

Non è mai semplice passare da una squadra di liceali senza speranze e tanti malumori a un titolo in 12 mesi con tre All Star e tante scommesse. Molto spesso si tende a sottovalutare il ruolo che ha avuto Rivers nel titolo del 2008, coach a rischio taglio non meno di un anno prima.

Ma la crescita di Rondo e Perkins e l'amalgama creata nello spogliatoio dei Celtics che ha reso la squadra un enorme blocco di granito è farina del suo sacco. Un po' come fece a Orlando nella stagione 99/00 che gli valse anche il titolo di Coach of the Year, con una squadra senza speranza e senza stelle che riuscì a far chiudere con un bilancio di 41 vittorie e 41 sconfitte.

Il quintetto era composto da "Caffeina" Armstrong, Ron Mercer, Tariq Adbul-Wahad, Bo Outlaw e il primo Ben Wallace. Impressionante!

Ma un'altra fondamentale caratteristica di Rivers è il suo feeling con la partita, oggi ancora più evidente che negli scorsi anni. Raramente sbaglia una mossa tattica, un cambio, uno schema chiamato o un momento della partita in cui eseguirlo.

Phil Jackson invece nel comunicare con i suoi giocatori usa mezzi del tutto diversi, anche estremi. Non è amico dei giocatori ed è per loro una figura mistica, che incute rispetto.

Li tratta male a mezzo stampa, una cosa veramente spietata, e loro anziché far scattare polemiche abbassano la testa e lavorano più sodo. Ti spiazza con delle frasi assurde e non si scompone mai anche di fronte alla giocata del secolo ma tiene in controllo mentale ogni giocatore che ha sua disposizione.

Istruisce con metodi tutti suoi, sviluppati dalla sua forte fede nello Zen, usando la carota e il bastone , proponendo libri o film da leggere e vedere ai suoi giocatori in modo mirato per ottenere da loro attenzione.

Ha allenato il giocatore più dominante della storia, e quello sarebbe anche morto per seguire il suo mentore.
Ha allenato il giocatore più dominante di inizio secolo, e ha reso il suo gioco più maturo e ancora più dominante.
Ha allenato il giocatore più dominante attualmente e lo ha reso da solista viziato a leader e vincente.

L'epica finale NBA in cui si sono trovati per la seconda volta contro, racconta anche questo duello ad alto livello tra le panchine.

Doc Rivers sul tema ha stigmatizzato da solito grande signore alla vigilia della serie: " Stiamo parlando di uno scontro tra chi ha vinto 10 anelli e chi 1 solo. Può esserci confronto?"

Buttato così, sembra impietoso, il coach più vincente della storia della lega, contro un signor nessuno. Ma Rivers assieme a Larry Brown è stato l'unico allenatore in grado di sconfiggere P-Jax in una finale, nella strepitosa cavalcata per il titolo che contraddistinse la NBA nel 2008 da parte dei suoi Celtics.

In più soffermandoci solo agli ultimi tre anni, questo confronto appare molto meno sbilanciato per Rivers, con 1 titolo vinto ciascuno in attesa dello spareggio.

Questa serie offriva molti spunti interessanti su cui i due head coach hanno ricamato le proprie trame tattiche. La lunghezza della panchina dei Celtics è stata sfruttata a pieno da Rivers, che da par suo non ha sbagliato un solo cambio per tutta la serie, studiando il momento giusto della partita in cui inserire i suoi cavalli da corsa che in altre occasioni si sono rivelati imbizzarriti e quindi inaffidabili, ma che hanno risposto sempre presente.

Memorabile il quintetto che per i primi 8 minuti del quarto periodo di gara 4 ha trascinato i Celtics nella rimonta e nel sorpasso sui Lakers con Bryant e Gasol a corto di fiato.

La nascita della leggenda del "Ciuchino e di Shrek" è dovuto all'intuizione di Rivers che ha panchinato Rondo e Pierce e Garnett, troppo prevedibili per giocarsi la carte della pazzia di Robinson seguita dall'energia di Big Baby sotto le plance che ha sbancato la front line giallo viola.

Jackson non potendo disporre di una panchina all'altezza, ha deciso stringere ancora di più le rotazioni, con il solo Odom in grado di giocare con continuità  a livello di minuti ma con i soliti limiti emotivi che per gran parte della serie lo hanno reso un arma spuntata per l'ex coach dei 6 titoli dei Bulls.

Gasol e Bynum sono stati messi in condizione, soprattutto nelle prime partite della serie di smantellare la difesa dei verdi, con le loro abilità  di giocare con e senza palla e trovare tiri puliti dalle loro mattonelle eseguendo alla lettere la triangolo.

L'esecuzione della triangolo in certi momenti e in contumacia alle sfuriate di Bryant è stata l'ancora della salvezza di una squadra che nonostante abbia perso 2 partite decisive in fila non ha perso comunque la direzione da seguire.

Fisher ha avuto difficoltà  a stare dietro a Allen per tutta la serie, ma non è mai stato avvicendato nel compito da Jackson che ha perseverato nella coverage per tutta la serie, perché Jackson da lui e dalla sua grande esperienza si aspettava alcune zampate importanti che poi sono arrivate in gara 3 con il suo 4° quarto strepitoso e in un paio di canestri decisivi negli ultimi minuti di gara 7.

La sfida Pierce-Artest era la più scontata della serie, ma la più difficile da impostare per i due allenatori. Rivers comprendendo le difficoltà  del suo leader nel battere Ron Ron lo ha coinvolto di più in pick & roll centrali sfruttando come bloccante o Rondo o Allen per lasciare e Pierce la possibilità  di crearsi un tiro sfruttando la differenza di centimetri con Fisher o di tonnellaggio con Bryant. Jackson ha spronato per tutta la serie l'ex St. John's a prendersi più tiri, di non accontentarsi solo del lavoro in difesa per sfiancare Pierce anche nella metà  campo difensiva e essere sempre pericoloso dietro la difesa dei verdi che altrimenti avrebbe trovato facili chiusure sulle prime opzioni offensive lacustri.

In gara 7 i suoi canestri nell'ultimo periodo e nel momento di massima difficoltà  del primo tempo quando Kobe sparacchiava a salve sono stati la chiave della rimonta e vittoria dei Lakers. Rivers ha sfruttato la forza dei suoi lunghi, un reparto lungo, ben assortito ed estremamente fisico contro in pratica i due giocatori e mezzo (con Bynum per quasi tutta la serie a mezzo servizio) dei californiani.

Le spalle larghe e il lavoro sporco di Perkins sono state il segreto della strepitosa gara 2 di Allen a cui ha offerto uscite da blocchi granitici. In difesa ha alternato Perkins e Wallace su Gasol, lasciando invece Garnett su Bynum per poter aiutare sullo spagnolo e dare un occhio anche a Bryant.

Quando l'intensità  di Garnett scemava e il duo Perkins/Wallace non riusciva a arginare lo spagnolo ha buttato nella mischia con timing perfetto Glen Davis, che ha mischiato le carte in tavola facendo soffrire molto Gasol e Odom.

La questione Rondo era un altro argomento molto spinoso da trattare per i Lakers e un punto di forza dei Celtics. Come nel 2008 è stato Bryant a prendersi in carico il funambolo da Kentucky e la strategia di fondo per limitarlo era la stessa di 2 stagioni fa: non concedergli il campo aperto e lasciargli spazio per il tiro.

Strategia che quando è stata perseguita ha ripagato ottimi dividendi seppur il buon Rondo in questi ultimi due anni sia migliorato nel tiro da fuori, e soprattutto nella fiducia del suo Jumper.

Nei momenti in cui Fisher si riposava in camera iperbarica per rigenerare i polmoni esausti dal correre dietro a Ray Allen, Jackson ha mandato sulle sue piste Jordan Farmar, che anziché stare a distanza dal numero 9 degli irlandesi, aveva il compito di aggredirlo in pressione e farlo andare fuori giri.

Fortunatamente Rivers ha trovato in Robinson un elisir ai momenti di panico di Rondo. La sua scelta di affidarsi al nano ex Knicks poteva costargli il titolo perché il folletto non conosce mezze misure: o bene bene o male male. Gara 2 e 4 però sono state strepitose, e Rondo ha potuto riazzerare a sufficienza il conta giri in panchina.

Il grande dilemma di Rivers era la marcatura di Kobe Bryant. Dilemma non solo suo ma di altri 29 coach NBA, anche Phil Jackson. Per l'occasione assieme al suo assistente Thibodeau aveva preparato una serie di trappole per scollegare il gioco del 24 gialloviola dal resto della squadra, con il solito lungo, spesso Garnett in preraddoppio sistematico e con il muro dei Celtics a sbarrare la via dell'area colorata alla incursioni del bistecca, approntando anche una staffetta composta dall'Allen buono, quello meno buono e Rondo.

Una scommessa vinta in tutte le vittorie dei verdi e nel primo tempo di gara 7 in cui Bryant usciva dal tracciato dei giochi dei suoi per sostenere la sua privata lotta contro i mulini a vento prendendo a testate la difesa dei verdi che anziché essere abbattuta, come il fuoco greco si rivitalizzava ad ogni colpo.

Entrambi hanno spremuto al massimo i punti forti delle rispettive squadre e nascosto quanto più possibile i relativi punti deboli. Il titolo è stato deciso dalla somma di tante piccole cose, un tiro cruciale che entra o che esce, un rimbalzo catturato o concesso, più freddezza dell'una rispetta all'altra squadra.

Ingiusto che da questa sfida debba uscire un vincitore, perché non c'è mai stata l'impressione di superiorità  dell'uno o dell'altro, come l'andamento della serie lo dimostra.

Ecco perché Jackson ha vinto il suo 11esimo titolo, ma Rivers non è per nulla uscito sconfitto dal confronto.

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