L'esultanza misurata di Artest durante la parata…
"Kobe! Quello che è successo stasera non deve succedere di nuovo. Voglio venire ad aiutarti!"
Queste parole vennero pronunciate da Ron Artest negli spogliatoi del Boston Garden, il 17 giugno del 2008. Quel giorno, i Los Angeles Lakers persero Gara-6 delle Finali contro i Celtics, in quello che verrà ricordato come uno dei più storici massacri nella storia del basket NBA.
131-92 il risultato, e una gara che sostanzialmente si chiuse già nel secondo quarto. Quella sera era presente anche Artest, giocatore da sempre stravagante e sopra le righe, ma di grande talento e soprattutto dotato di un'aggressività fuori dal comune.
Quella stessa aggressività lo ha aiutato ad essere un difensore tenace e bravissimo quando si tratta di sfidare l'attaccante avversario, sia sul piano fisico che su quello mentale. Già da bambino, Ron si trovò a crescere nel difficile quartiere di Queensbridge, in quel di New York che lo ha forgiato nel carattere:
"E' lì che ho imparato a lottare contro gente più grande di me. Ho praticato il pugilato, uno sport che mi ha rafforzato mentalmente e mi ha dotato di rapidità . Ma soprattutto ho avuto a che fare con mio padre su un campo da basket…mi faceva canestro, e se c'era da colpirmi lo faceva. E' anche grazie a lui e a tutti i ragazzi, spesso più grandi di me, che ho affrontato se adesso possiedo quest'energia"
Passano due anni esatti dall'incontro con Kobe, e i due vincono insieme il titolo. 17 giugno 2010: il sogno si avvera, Ron Artest diventa per la prima volta campione NBA e verrà ricordato, oltre che per i suoi atteggiamenti, anche per questa grande cavalcata.
Alzi la mano chi pensava che un ragazzo così potesse tenere così tanto ad infilarsi un anello al dito. Quando divenne free-agent l'1 luglio 2009, il numero 37 giallo-viola si sarebbe potuto accasare tranquillamente in un'altra squadra in cambio di svariati milioni di dollari in più.
Ron, invece, la pensava diversamente. A 29 anni era ora di dare la caccia al titolo, di dimostrare che oltre alle risse e ai comportamenti discutibili c'era anche tanta, tanta sostanza. Ma il suo arrivo in California fu accompagnato da un grande scetticismo, tant'è che la dirigenza dei Lakers sembrò essere l'unico gruppo di persone realmente convinte a puntare su di lui.
I dubbi erano tre, tutti di un certo spessore: innanzitutto se avrebbe tenuto la testa a posto per tutta la stagione. In secondo luogo, e qui entriamo in un aspetto tecnico, come si sarebbe adattato all'attacco triangolo. Infine, se davvero il suo arrivo e la conseguente partenza di Trevor Ariza avrebbe migliorato la squadra.
Ebbene, dopo averlo visto sul campo da gioco per un anno possiamo dire che i dubbi sono volati via. Artest si è fatto subito amare dal pubblico di Los Angeles, andando a trovare i tifosi a casa, mostrandosi disponibile ed ironico, senza mai mancare di rispetto a nessuno.
Per l'ennesima volta nella sua carriera, è arrivato in una nuova squadra accompagnato da dubbi e preoccupazioni, ma a conti fatti non ha deluso le aspettative. Come lui stesso dice: "Ovunque io sia andato le persone, al mio arrivo, non mi vedevano di buon occhio. Ai Kings i tifosi non mi volevano, visto quello che avevo combinato coi Pacers. Poi andai ai Rockets, e Yao Ming dubitò del fatto che io potessi aiutarli a crescere. La stessa cosa è successa ai Lakers. Ma io credo che, al di là dei dubbi iniziali, nessuno si sia mai pentito di avermi scelto"
Aver mantenuto la calma a livello caratteriale lo ha aiutato a rendere meglio anche in campo. Ci sono stati avversari con cui si è scontrato (Pierce su tutti), ma oltre alle legittime risposte, sia dal punto di vista verbale che dal punto di vista fisico, non è mai andato. Anche questo è un segnale che indica quanto ci tenesse a far bene.
"Una volta terminato il mio contratto con i Rockets, ricevetti subito una chiamata da Los Angeles. Dissero che mi volevano, e io non ci pensai su due volte ad accettare. Dei soldi non mi fregava nulla, mi bastava sapere che, se fossi andato in quella squadra, avrei avuto la possibilità di essere ricordato come uno dei più grandi difensori della storia"
Ora, noi non sappiamo come verrà ricordato tra una decina d'anni, quando presumibilmente si sarà ritirato. Di sicuro, questa è stata un'annata magica per lui. Kobe Bryant, compagno di squadra attentissimo ad ogni dettaglio, ha esplorato una caratteristica del numero 37 che molti non hanno preso in considerazione, non potendo ovviamente vivere l'ambiente-Lakers dall'interno.
A febbraio, dopo 5 mesi di "convivenza", venne chiesto a Kobe dell'inserimento di Artest e di quali benefici avesse tratto la squadra dal suo arrivo.
Kobe si disse soddisfatto del suo nuovo compagno, non solo per ciò che faceva sul campo ma anche per l'intensità mostrata in allenamento.
Ciò che aveva notato è che, grazie al suo impegno e alle sue doti di difensore, Artest rendeva gli allenamenti più efficaci: chi attaccava contro di lui sapeva di dover dare qualcosa in più, e una volta affrontato un mastino del genere qualunque avversario diventava più abbordabile.
Questo aumento dell'intensità generale della squadra si è visto contro i Celtics. Non è un caso se, nel 2008, la serie fu nettamente sbilanciata a favore di Boston, mentre quest'anno è stata equilibratissima, con i Lakers che hanno strappato la vittoria grazie a dei nervi saldi e anche ad un ragazzo di Queensbridge che, parole di Phil Jackson, "è stato l'MVP di questa Gara-7".
Al di là di tutto, nei momenti che contavano il numero 37 ha risposto presente. Farsi trovare pronti nei momenti importanti è una dote fondamentale per un giocatore, e Ron ha mostrato davvero di non avere paura.
Cosa ci ricorderemo di questa sua annata? Molte cose.
Innanzitutto la splendida difesa su Kevin Durant nel primo turno dei play-off, contro colui che ha vinto la classifica dei cannonieri NBA quest'anno, e che promette di essere una delle superstar per il prossimo decennio.
Poi il canestro che ha dato la vittoria ai Lakers in Gara-5 delle finali ad Ovest, un tap-in messo a segno dopo aver letteralmente strappato il pallone dalle mani di Jason Richardson. Fondamentale, se consideriamo che le squadre erano in parità nella serie sul 2 a 2…e anche nella partita dopo, 25 punti e volo alle Finali assicurato.
Infine, la difesa su Paul Pierce. Proprio lui, l'uomo che aveva annichilito la difesa dei Lakers solo due anni fa. Pierce era ed è uno splendido realizzatore, ma è stato limitato benissimo dal suo diretto marcatore, che non lo ha mollato un secondo.
In tutto questo, il ragazzo di Queensbridge ha trovato anche il modo di segnare 20 punti in Gara-7, tenendo a galla i suoi compagni nel secondo quarto e realizzando la ormai celebre tripla del +6 ad una manciata di secondi dalla fine.
"I Lakers l'anno scorso vinsero il titolo. Quest'anno l'unico nuovo acquisto sono stato io…perciò, se non riusciremo a vincere, i tifosi saranno legittimati a prendersela con me. Lasciate perdere i miei compagni di squadra, se non diventeremo campioni sentitevi liberi di tirarmi pomodori!"
Non ti preoccupare, Ron: al di là della tua possibile reazione, nessuno si sognerà di tirarti pomodori per quello che hai fatto in campo…