Finals 2010: Analisi tattica (Gara 4)

Se Bynum non risolve i suoi problemi, potremmo vedere in campo uno di loro…

Dopo quattro gare di finale, queste due squadre hanno ben pochi segreti l'una per l'altra, ben pochi dubbi su quali siano le chiavi per consentire loro di spostare a proprio favore il piatto di una bilancia che si presenta in equilibrio quasi perfetto.

Per i Lakers, la chiave è la corretta esecuzione del Triangolo, in cui i giocatori lontani dalla palla, ed in particolare i lunghi, effettuino precisi e puntuali tagli dal lato debole alle spalle della packline dei Celtics, per consentire agli esterni di avere una comoda valvola di sfogo quando la marea biancoverde li circonda; allo stesso tempo, però, gli esterni devono tenere viva la circolazione di palla, effettuando frequenti ribaltamenti e senza limitarsi a palleggiare in continuazione o ad una sterile ragnatela di passaggi al di fuori della linea del tiro da tre.

Errori tipici del backcourt losangelino, ivi compreso il loro terminale offensivo principale, il #24, che col passare della serie sta via via tirando sempre più da fuori e sempre meno dal medio e corto raggio: in Gara4 il Mamba si è ridotto a sparare dalla lunga distanza per ben 16 volte, contro i soli 6 tentativi nelle vicinanze del ferro.

Per i Celtics, invece, la chiave è riuscire ad attaccare la difesa dei Lakers prima che possa schierarsi, prima che il vantaggio gialloviola in termini centimetri, rapidità  e braccia lunghe disturbi i loro set a metà  campo: la risposta sta nel contropiede e nella early offense, in soluzioni rapide che consentano loro di non dover fare a sportellate con una difesa che sembra aver trovato valide contromisure per ciascuno dei "big four".

C'è anche però un leit-motiv comune ad entrambe, rappresentato dai rimbalzi, visto che, in ognuna delle partite giocate, la squadra che ha ottenuto il controllo dei tabelloni ha anche portato a casa la vittoria.

E' sufficiente prendere ad esempio il quarto periodo di Gara4, in cui la "bench mob" guidata da Robinson e Davis ha permesso ai bostoniani di piazzare l'allungo decisivo: in quel quarto, i Celtics hanno catturato ben 5 rimbalzi offensivi, all'interno di una gara in cui hanno portato a casa il 38% dei palloni a disposizione sotto il tabellone degli ospiti; cifra impressionante per qualsiasi squadra (la media NBA è di poco superiore al 25%, e la migliore del lotto, i Grizzlies, si è fermata al 31%), ma a maggior ragione per una compagine come Boston, che in regular season è stata penultima in assoluto (22,8%) e nei playoffs è migliorata solo lievemente.

In Gara3 i Trifogli si erano distinti per non aver preso nemmeno un rimbalzo in attacco in tutto il decisivo quarto periodo, con una percentuale del 20% nell'intera gara; in Gara2 24,4% in totale e 4 nel quarto periodo (ma ricavandone 2 soli punti, considerando che tre di quei rimbalzi eran stati catturati in una sola azione, consecutivamente, da Glen Davis, che però aveva sbagliato il tiro successivo ogni volta); in Gara1 due rimbalzi offensivi nell'ultimo quarto (entrambi di KG, ed entrambi inutili, non avendo portato a nulla di buono) e 21,1% in totale.

Nell'ultima partita, invece, i Celtics hanno messo a segno ben 13 punti da "second chance", che accompagnati ai 14 punti guadagnati in contropiede hanno fatto la differenza rispetto ad un attacco a difesa schierata dimostratosi stagnante e poco efficace per tre quarti della partita.

Cosa aspettarci da Gara5, e più in generale dalla mini-serie al meglio delle tre partite che ci aspetta nei prossimi giorni?

La risposta, guardando alle ultime sfide, sembra semplice: una gara tirata, da decidersi nell'ultimo quarto a favore di chi riesca a vincere la battaglia dei tabelloni e ad eseguire meglio e con più continuità  i propri set offensivi, a fronte di due difese sempre più soffocanti di partita in partita.

In un contesto così equilibrato qualsiasi dettaglio, qualsiasi imprevisto potrebbe rivelarsi decisivo ed insormontabile: ora come ora, in effetti, il dettaglio più determinante in questo senso sembra essere il ginocchio di Andrew Bynum, ulteriormente infortunatosi e deterioratosi in Gara3, eliminandolo in pratica dalla contesa.

Non si possono prevedere le effettive condizioni fisiche del centro gialloviola in occasione della cruciale Gara5, che metterà  una delle due squadre di fronte al baratro di una elimination game: quello che è certo, e Gara4 lo ha dimostrato, è che senza Bynum il baricentro della serie si può spostare nettamente a favore dei Celtics, restituendo una sfida più simile a quella del 2008 rispetto a quanto visto sinora.

L'aspetto più evidente di questa assenza è rappresentato dal controllo del pitturato: non solo, come detto, sotto il profilo dei rimbalzi vaganti in area gialloviola, in cui i Celtics sono improvvisamente esplosi dopo tre partite in cui era stato sempre un loro tallone d'Achille, ma anche dal punto di vista dell'intimidazione difensiva.

Su 18 tiri presi dai Celtics nel decisivo quarto periodo, un clamoroso 11/12 è arrivato nel pitturato, con una lunga sequela di layup, schiacciate e tiri comunque comodi, praticamente indisturbati, che la imponente presenza fisica del giovane #17 avrebbe (ed ha, in tutte le gare precedenti) impedito o quantomeno disturbato ed alterato, mentre nelle restanti conclusioni, nonostante l'inerzia dalla loro parte ed un Garden incendiato dalla rimonta, hanno segnato solo un misero 1/6; un confronto stridente con le altre gare della serie, ma anche con lo stesso primo quarto di Gara4, cui Bynum bene o male ha preso parte, e in cui i padroni di casa hanno segnato soltanto 4 volte su 11 tentativi dalla corta distanza.

Se questa situazione dovesse ripetersi anche in Gara5, il piano di battaglia per entrambe le squadre si modificherebbe in modo radicale: i Celtics, dopo essere stati tenuti alla larga dal pitturato per quasi tutta la serie, dovrebbero iniziare ad attaccarlo senza tregua, alternando i propri quattro lunghi per affrontare a sportellate il duo Gasol-Odom, due ottimi difensori ma che fanno più dell'agilità  e della mobilità , piuttosto che della mera forza fisica e del tonnellaggio, la loro forza.

I gialloviola, per parte loro, dovrebbero trovare il modo di dosare il minutaggio dei propri lunghi, ed in particolare del catalano, che inizia a dare chiari segni di affaticamento dopo una serie in cui è stato in campo più di chiunque altro (oltre 43' a partita); ma soprattutto dovrebbero trovare il modo di coinvolgere emotivamente un Lamar Odom il cui rendimento non si può che definire disastroso: nel secondo tempo di Gara4, in 22' minuti giocati, il giocatore che dovrebbe essere l'"arma segreta" a disposizione di Phil Jackson ha portato a casa un solo rimbalzo, senza mettere a segno nemmeno una stoppata, e facendosi travolgere dal punto di vista fisico ed emotivo da un giocatore ampiamente meno talentuoso come Big Baby.

Una situazione che non può che richiamare alla mente le finali del 2008, con una frontline gialloviola letteralmente in balia degli eventi al confronto con un reparto avversario più riposato, grazie alla possibilità  di ruotare diversi uomini, più fisico, più affamato: se Bynum non riuscisse a fornire il suo consueto apporto, o se Odom non riuscisse ad elevare il proprio, questa è la situazione che si prospetta in Gara5.

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