Finals 2010: Analisi tattica (Gara 2)

la storica prestazione di Ray Allen ha lasciato tutti esterefatti.

In un contesto tatticamente esasperato come l'NBA gli allenatori tentano di pianificare scrupolosamente a tavolino ogni situazione ed ogni movimento: talvolta, però, l'interpretazione di un singolo virtuoso fa impallidire lo spartito, ed è quello che successo in Gara2 con Ray Allen.

Una prestazione balistica semplicemente storica, che ha inciso pesantemente sul risultato della partita in un modo che va al di là  del semplice apporto numerico. Senza voler fare un torto alla grandezza dell'interpretazione individuale, proviamo a vedere in che modo Doc Rivers è riuscito a metterlo nelle migliori condizioni tattiche per ottenere questi risultati.

La principale innovazione tattica è stata il ricorso continuativo ad un set di partenza 1-4:

Una impostazione semplice, ma che permette ai Celtics di mettere ciascuna delle sue stelle nella posizione preferita sul campo: un movimento ripetuto di frequente per iniziare i giochi è stato un doppio blocco dei due lunghi, in uscita "a sandwich" sull'uomo di Rondo, mettendo subito in allarme tutta la difesa gialloviola per il rischio di una esplosione del play indifferentemente a destra o a sinistra:

Dopo questa "ouverture", casomai Rondo non si fosse già  messo in proprio, arriva il momento di Ray Allen: sfruttando il movimento a rientrare di uno o entrambi i lunghi, "Jesus" si prende prima il blocco dell'uomo vicino a sé, che gli permette un triplo movimento a rientrare verso il portatore di palla, ad allargarsi nell'angolo ricevendo un lob (uno dei passaggi che Rondo esegue con maggiore precisione) oppure proseguendo in un lampo dal lato opposto utilizzando il secondo blocco.

Un altro sviluppo potenziale prevede invece che uno dei lunghi (preferibilmente Garnett, vista l'inettitudine di Perkins come passatore) resti alto al gomito, permettendo ad Allen un movimento "curl", a ricciolo, verso il centro dell'area, oppure la solita circumnavigazione della difesa avversaria lungo la linea di fondo; il tutto mentre Pierce e Rondo generalmente distraggono la difesa con il classico gioco a due "esca" sul lato forte:

Dopo i primi sette centri su sette, Allen si è (umanamente) raffreddato, chiudendo con un canestro negli ultimi quattro tentativi; l'effetto del suo primo tempo stellare sulla partita è rimasto però a lungo, dal momento che i Lakers per il resto della gara si sono imposti forsennate rotazioni difensive per negare al #20 le comode uscite dal blocco, con l'effetto di aprire varchi per altri compagni:

In questo caso, dalla già  vista posizione di partenza 1-4, Allen aggredisce subito la linea di fondo sfruttando ben tre blocchi consecutivi.

I Lakers questa volta sono intenzionati a non concedergli nemmeno un metro, e scalano da uomo a uomo in modo che Bynum possa uscire sul tiratore oscurandogli la visione del canestro; in questo modo, però, le rotazioni difensive di Fisher, Artest e Bynum determinate dalla presenza di Allen hanno lasciato Gasol in inferiorità  numerica tra Pierce e Garnett: trovandosi costretto a scegliere tra uno solo dei due, il catalano in questo caso sceglie di difendere il canestro, concedendo a Pierce un comodo piazzato

In questo caso la reazione dei difensori è stata eccessiva, lasciandosi sbilanciare eccessivamente sul lato sinistro: ma se anche fossero riusciti a rimanere uomo contro uomo, tutta l'azione avrebbe provocato (come in effetti è successo in più di un'occasione del secondo tempo) numerosi mismatch su tutto l'arco d'attacco, con Allen contro Bynum e un lungo (Perkins o Davis) già  appostato in post basso contro Fisher.

Senza dimenticare che i Celtics, in ogni caso, amano metter su tutto questo tourbillon soltanto per distrarre la difesa, e punire gli avversari con l'unico uomo che è rimasto fermo ed apparentemente inutilizzato, cioè Rondo: in un momento decisivo della gara, con i Lakers sopra di tre a 5' dalla fine, i biancoverdi hanno utilizzato una variante costruita su questi stessi movimenti, ma portando anche Pierce sul lato destro del campo e facendo uscire Garnett a portare un blocco alla sinistra di Bryant, per garantire a Rondo un comodo layup con la partenza a sinistra.

La serata di grazia dei trifogli e di Allen, però, non si è limitata alle semplici (si fa per dire) evoluzioni attorno ai blocchi: i Celtics sono riusciti finalmente a sfruttare al meglio le situazioni di transizione e semi-transizione, da cui hanno generato buona parte del loro attacco (16 possessi in tutto) con risultati straordinari: 7/11 dal campo, 3/3 dalla lunga distanza, nessuna palla persa, cinque falli subiti; per fare un confronto, nelle nove occasioni in cui hanno disegnato un gioco in isolamento hanno raccattato soltanto un canestro su cinque tentativi, con due palle perse e due falli subiti.

Una rinnovata vena "contropiedista" innescata da un Rondo molto più grintoso e coinvolto, pronto a torchiare gli avversari in velocità  dopo ogni rimbalzo e ogni palla persa, aggredendo la linea centrale del campo e trovando comodi scarichi sugli esterni quando i difensori si focalizzavano su di lui: tutto nasce dal controllo dei tabelloni difensivi, con i lunghi biancoverdi, aiutati da un Rondo "alla Oscar Robertson", che sono riusciti finalmente a guadagnarsi una buona dose di carambole sotto al proprio tabellone (75% del totale, più o meno in linea con la media NBA), mentre i Lakers tornavano alle cattive abitudini delle troppe triple tentate (22 in totale, con risultati rivedibili, dopo le 10 di Gara1).

Già  che abbiamo parlato di Rondo, per chiudere il discorso sull'attacco celtico non possiamo non menzionare gli ultimi, decisivi, 9 possessi della partita, in cui i Celtics sono sempre andati a segno , ribaltando il risultato di 87-90 fino al +9 finale: in quegli ultimi 5' è stato proprio Rondo a salire in cattedra, con 9 punti segnati, due falli subiti in attacco e altri due in difesa, un cruciale rimbalzo offensivo, un rimbalzo difensivo, una palla rubata e una stoppata con recupero ai danni di Derek Fisher.

Passando all'analisi di quello che è successo nell'altra metà  campo, un altro significativo aggiustamento da parte dei Celtics rispetto a Gara1 è stato un evidente cambio di strategia difensiva nei confronti di Kobe Bryant: visto che Allen da solo non aveva chance di contenerlo, ci eravamo permessi di suggerire a Thibodeau un accoppiamento Pierce-Kobe dal primo minuto, pur consapevoli di tutte le controindicazioni del caso.

La soluzione del prossimo allenatore dei Bulls è stata, com'è ovvio, ben più elegante e raffinata: Allen è stato impiegato non per contenere Kobe, ma per negargli i movimenti verso il lato destro, nel movimento c.d. di " shading", con cui si concentra la difesa individuale esclusivamente sulla mano forte del giocatore, "invitandolo" dalla parte opposta dove i lunghi si posizionano in aiuto.

Come si può vedere dai seguenti screenshot, Kobe si è trovato quasi sempre a doversi accontentare di un jumper cadendo a sinistra, spesso contestato da uno o entrambi i lunghi dei Celtics, mentre Allen risparmiava energie e non si esponeva al rischio di falli difensivi.

Una strategia radicale e non priva di rischi, dal momento che permette in ogni caso a Bryant di arrivare praticamente indisturbato sino a pochi metri dal ferro, una situazione tattica in cui di solito sbaglia poco e nulla, e che in Gara2 ha invece trovato inaspettatamente indigesta.

I Celtics non possono fare affidamento sul lungo periodo in un Bryant da 4/11 nelle vicinanze del ferro (a fronte di una percentuale stagionale vicina al 55% in questo settore del campo), a prescindere dal fatto che siano tiri più o meno contestati: anche perché Jackson ha iniziato ad adeguarsi già  nel secondo tempo di Gara2, favorendo Kobe con blocchi altissimi di Gasol o Bynum che troncavano sul nascere il tentativo di shading di Allen.

Parlando di Lakers e aggiustamenti, non ci si può esimere dal pensare a cosa possono trarre i gialloviola dalla sconfitta di Gara2, dal momento che hanno appena ceduto il servizio: la prossima mossa, com'è ovvio, spetta a loro.

I messaggi che arrivano da questa sfida sono ambivalenti: da un lato è evidente a tutti, e ai giocatori gialloviola per primi, che la sconfitta è stata molto più netta di quanto non dica il risultato: i Lakers sono riusciti a rientrare in partita, e a mettere addirittura il muso davanti, grazie ad alcune giocate estemporanee e quasi miracolose, non certo con un gioco convincente, e sono andati sotto in quasi tutte le categorie statistiche significative (rimbalzi offensivi e difensivi, palle perse, assist, tiri da fuori, punti in contropiede).

D'altra parte, un motivo di speranza può derivare proprio dal fatto di essere riusciti a restare in partita in una situazione in cui ai Celtics andava tutto bene (compresi i falli prematuri di Garnett e Perkins, giocatori che ora come ora rappresentano più un tallone d'achille che un punto di forza, e sono stati surclassati nel rendimento, oltre che nell'intensità , da Wallace e Glen Davis), mentre i Lakers giocavano come peggio non potrebbero (Bryant nervoso e clamorosamente inefficace al tiro, Fisher – e tutti gli esterni – un non fattore su due lati del campo, Odom non pervenuto, Artest semplicemente distruttivo, Bynum e Gasol dominanti per tre quarti e poi ignorati dai compagni nell'ultimo).

Senza dimenticare che i duelli chiave della serie continuano ad essere, per la maggior parte, colorati di gialloviola: ormai è chiaro che Bynum e Gasol possono dominare a piacimento contro tre lunghi avversari su quattro, trovando qualche resistenza difensiva nel solo Sheed; Kobe, come detto, non può tirare peggio di così, considerando la qualità  dei tiri di cui ha goduto, e Odom prima o poi si deciderà  a scendere in campo in questa serie.

Ci sarebbe, inoltre, da parlare del tiro da tre: i Lakers, pur essendo una squadra nel complesso deficitaria nel tiro dalla lunga, al momento sfoggiano un putrido 28% in questa serie, troppo brutto per essere vero (nei playoffs sono assestati sul 33%); potrebbero quindi trovare, prima o poi, una mano decente dalla distanza, ma dovrebbero in ogni caso riuscire a raffreddare i tiratori avversari: i gialloviola sono stati la miglior squadra della lega nella percentuale concessa da tre punti in stagione - 32,8% - migliorando ulteriormente nel corso dei playoffs e concedendo un miserrimo 31,9% ai fucilieri avversari, pur avendo incontrato squadre ricche di specialisti del settore. I Celtics, anche combinando l'orrido 1/10 della prima sfida con il surreale 11/16 della seconda, rimangono tuttora in credito con le leggi statistiche, trovandosi ampiamente al di sopra (46%) della loro media in questi playoffs (37%).

Non c'è bisogno quindi di grandi aggiustamenti, ma soltanto di ritrovare i concetti tattici che li hanno portati sin qui, che hanno permesso loro di vincere e convincere in Gara1, e che contro la difesa di Thibodeau diventano una questione di vita o di morte: si tratta delle annose problematiche derivanti da un gruppo di esterni che spreca troppi possessi con tiri da fuori sparacchiati a pochi secondi dall'inizio dell'azione, senza ritmo e senza muovere la difesa, oppure palleggiando insistentemente e tenendo la palla ferma e la circolazione statica.

Attaccare la difesa dei Celtics staticamente, partendo dal palleggio, è un vero e proprio suicidio tattico, come dimostrato egregiamente da questa “splendida” improvvisazione di Ron Artest, impietosamente ma meritatamente sottolineata dalla derisoria colonna sonora di Benny Hill.

I comandamenti dell'attacco losangelino sono sempre quelli: muovere la difesa, servire i taglianti dal lato debole, creare gioco partendo dal post e poi sviluppandolo con penetrazioni e tiri da fuori per punire gli aggiustamenti della difesa: le uniche armi con cui i Lakers possono (o meglio devono) strappare almeno una W dal TD Garden.

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