Finals 2010: Analisi tattica (Gara 1)

Bryant vs. Thibodeau: il primo round è del mamba.

La prima tacca sulla pistola è dei Lakers.
Una prestazione convincente per i gialloviola su entrambi i lati del campo, che imporrà  ai biancoverdi significativi accorgimenti per provare a strappare il fattore campo in una Gara2 che, in caso di ulteriore vittoria dei padroni di casa, potrebbe già  mettere una seria ipoteca sulla serie.

Prima di pensare al futuro, però, è meglio iniziare la nostra analisi con uno sguardo al passato, partendo dalla serie finale del 2008 cui questa sfida è stata più volte paragonata; in quella occasione, i Celtics si portarono a casa alcuni record significativi: Kevin Garnett si portò a casa almeno 10 rimbalzi in ogni singola gara, Ray Allen segnò 22 triple, i Celtics nel complesso ne mandarono a bersaglio 52.

La differenza non potrebbe essere più stridente con quanto visto in Gara1, con i miseri 4 rimbalzi di KG, l’1/10 complessivo dalla lunga distanza per i biancoverdi, lo zero tondo nella casella delle triple messe a segno da Ray of Light.

Numeri che evidenziano alcuni dei temi tattici più significativi visti nella prima sfida:

– Il difficile matchup Allen-Bryant.
Il mamba ha letteralmente torchiato la sua controparte, caricandola di falli e generando attacco a suo piacimento: contro Ray 4/7 dal campo, 5 assist, una sola palla persa, 12 punti su 10 possessi; contro Tony Allen e Pierce, complessivamente, 2/10 dal campo, nessun assist, tre palle perse, 10 punti in 16 possessi.

Costretto ad una partita “a singhiozzo”, affaticato dai continui assalti dal palleggio da parte del mamba, il #20 biancoverde non ha mai trovato il ritmo necessario a qualsiasi tiratore, privando l’attacco della sua prima opzione a difesa schierata.

Il primo aggiustamento da attendersi per Gara2 è quindi una rivisitazione della staffetta tra gli esterni nei confronti di Kobe: Rivers potrebbe partire con Pierce su Bryant, sfidando i Lakers a sfruttare l’abbinamento Artest-Allen.

Sulla carta è un confronto improponibile, ma proprio per questo Ron Ron potrebbe trovare irresistibile la tentazione di attaccare Allen ad ogni possesso, facendo deragliare la fluidità  offensiva dei suoi: per i Celtics, a prescindere dal risultato, ogni tiro preso da Artest è comunque un affare, perché rappresenta un possesso offensivo in meno per i ben più letali Bryant o Gasol.

– I rimbalzi difensivi.
Una delle costanti della vittoria celtica del 2008 fu il controllo del proprio pitturato: nelle sfide di finale, i biancoverdi conquistarono rispettivamente l’83,7%, 71,1%, 77,5%, 77,3%, 72,2%, 94,4% dei rimbalzi disponibili; Garnett, in particolare, non scese mai sotto al 25%, andando oltre il 30% in Gara2 e oltre il 40% in Gara6.

Nella partita di Giovedì, invece, KG ha messo a referto solo due rimbalzi difensivi in tutto, e Gasol da solo ha catturato più rimbalzi in attacco (8) di quanti ne abbiano presi in difesa Garnett, Perkins e Glen Davis messi assieme (6): i Celtics, nel loro complesso, hanno portato a casa solo il 65% dei rimbalzi difensivi disponibili, una cifra semplicemente disastrosa (basti pensare che, durante la regular season, la squadra peggiore della lega in questo fondamentale – i Golden State Warriors – si è fermata a 68,5%).

Dall’altra parte, invece, i Lakers hanno controllato a piacimento il proprio tabellone, soprattutto grazie ad Andrew Bynum, che ha fornito una prestazione estremamente efficiente (29%), senza dimenticare l’apporto di Kobe (che ne ha catturato il 21%).

E’ evidente che con questa consistenza nessuna squadra può fare molta strada: già  non è semplice disinnescare l’attacco dei Lakers in prima battuta, figuriamoci se si concede loro l’opportunità  di banchettare con i secondi e terzi tiri quando le percentuali scendono. Il problema è che in questo ambito non c’è aggiustamento tattico che tenga: i lunghi biancoverdi dovranno metterci più voglia, dovranno dimostrare più “fame” per il pallone di quella mostrata in Gara1.

Anche se nessuno dubita della prevedibile reazione d’orgoglio in questo senso, resta qualche perplessità  in più, invece, sul fatto che possano farcela anche con le gambe, oltre che con la testa: nella prima sfida Garnett e Perkins sono sembrati privi di energia e vitalità , lenti e poco reattivi, e solo il prosieguo della serie ci dirà  se è stato un caso, uno strascico lasciato sui loro arti già  doloranti dal lungo trasferimento aereo, o se sono entrati definitivamente in riserva.

Le carenze a rimbalzo, però, hanno portato ad un’ulteriore, devastante conseguenza nell’attacco dei Celtics:

– L’inefficacia del gioco in transizione.
In sede di presentazione della serie, uno dei più significativi vantaggi tattici attesi per i Celtics era rappresentato dal contropiede e dalla early offense: i Lakers, infatti, sono tradizionalmente deficitari nella transizione difensiva, una falla accentuata dalla loro tendenza ad affidarsi in attacco a troppi “long jumpers” che, se sbagliati, incendiano la transizione offensiva delle squadre che amano correre.

I Celtics, pur non essendo certo una squadra che gioca costantemente ad alto ritmo, sono ampiamente a loro agio nelle situazioni di early offense, che permette loro di generare punti rapidi grazie alle scorribande di Rondo e ai suoi servizi per i compagni che arrivano a rimorchio: una situazione tattica dimostratasi devastante nelle passate finali, in cui le carenze in transizione difensiva dei Lakers erano state brutalmente esposte dai futuri campioni.

In Gara1, invece, i Celtics sono riusciti a generare soltanto 9 situazioni di transizione offensiva in tutta la partita (di cui solo 3 nel secondo tempo), ottenendone cinque miseri punticini.

Un’inattesa battuta d’arresto, determinata in gran parte dalle già  citate difficoltà  a rimbalzo: i Lakers hanno diligentemente rinunciato a sparacchiare dalla lunga distanza (solo 10 tiri da tre, minimo assoluto in una postseason in cui ne hanno tentati, in media, circa il doppio a partita), negando ai Celtics i rimbalzi difensivi “puliti” di cui si nutre qualsiasi contropiede; inoltre, a causa delle difficoltà  dei lunghi biancoverdi a contenere le loro controparti, Rivers si è visto costretto a tenere “inchiodati” i suoi esterni nel pitturato difensivo per dare una mano a Garnett e Perkins, privandosi così della possibilità  di scatenarli in contropiede lungo le corsie esterne (una delle specialità  della casa di Paul Pierce, che in queste situazioni si esalta sin dalla sua gioventù a Kansas, e invece ha passato gran parte della sua partita a doversi preoccupare del proprio tabellone, per evitare un tracollo a rimbalzo ancora più grave).

Gli aggiustamenti necessari ai Celtics per ribaltare il risultato di Gara1, però, non finiscono qui. Doc Rivers dovrà , soprattutto, trovare i modo di generare attacco contro una difesa losangelina che ha lentamente ma inesorabilmente soffocato l’attacco degli ospiti, senza quasi mai permettergli di mettere a segno più possessi offensivi efficaci di fila.

Lo si è visto in tutti i break decisivi della gara, a cominciare dagli ultimi minuti del primo quarto: in tutte le gare decisive delle serie contro Orlando e Cleveland, questo è sempre stato il momento in cui i Celtics prendevano il largo, piazzando improvvisi parziali che spaccavano in due la partita; Gara1 non sembrava fare eccezione, nel momento in cui, sul 18 pari, i Celtics si sono ritrovati, grazie al secondo fallo di Artest, ad affrontare un quintetto angelino senza Artest, senza Bynum e infine anche senza Bryant, con una drammatica batteria di esterni Farmar-Brown-Walton.

Sarebbe stato lecito quindi attendersi un netto parziale a favore degli ospiti, che fornisse loro un po’ di abbrivio in vista del secondo periodo, e invece i Celtics sono riusciti a mettere assieme soltanto tre punti (e subendone 8, soprattutto grazie a due penetrazioni consecutive di Brown e Farmar contro un Finley letteralmente immobile sul parquet).

La stessa scena si è ripetuta, questa volta con i titolari in campo, in occasione dei due break che hanno deciso la gara nel secondo e terzo periodo:

4’30’’ al termine del primo tempo, 39-35 Lakers dopo che Gasol ha punito un raddoppio su Bryant con un morbido jumper dal post alto.

Si va dall’altra parte, e i Celtics cercano insistentemente di liberare Ray Allen, prima di tutto isolandolo in post basso contro Fisher; Perkins però non è efficace da quella distanza, non guarda nemmeno il canestro, e quindi Bynum può tranquillamente staccarsi e negare la linea di passaggio per Allen con le sue braccia da pterodattilo:

Si tenta allora un’altra variante: Perkins ricomincia da Pierce e piazza un blocco per Allen, che esce a ricevere il passaggio del 34:

Fisher, però, nonostante tutte le sue carenze difensive nell’1vs1, è tuttora un sontuoso difensore quando c’è da inseguire un avversario sui blocchi, e gli nega il tiro da tre spingendolo verso il pitturato, dove Bynum è già  appostato:

Allen non può quindi trovare sbocchi, né in proprio (la presenza di Bynum gli oscura il canestro) né ai compagni (Kobe e Gasol difendono egregiamente le linee di passaggio, mentre Artest è francobollato su Pierce).

L’unica scelta è quindi scaricare di nuovo su Perkins, che ancora una volta non guarda nemmeno il canestro, giustificando il clamoroso “battesimo” della difesa dei Lakers nei suoi confronti, e affida palla a Garnett: a questo punto i Celtics provano un’ennesima variante, un doppio blocco di Pierce e Perkins per l’uscita di Allen sul lato debole, ma anche in questo caso Fisher è attento e non concede il minimo spazio:

I Celtics si trovano quindi a 6’’ dal termine dell’azione, a dieci metri dal canestro, senza aver ancora costruito nulla:

Allen proverà  ad allargarsi sulla sinistra sfruttando il blocco di Garnett, ma riuscirà  soltanto a mandare per aria una preghiera, stoppata da Gasol allo scadere del ventiquattresimo secondo.

Da qui in poi, i Celtics sprecheranno una lunga serie di azioni offensive successive: due triple senza ritmo di Pierce e Allen, una stoppata di Gasol a Rondo sulla linea di fondo, una palla persa banalmente sul perimetro da Allen in uscita dai blocchi, un jumper di Rondo dal gomito e un fadeaway di Garnett dal post basso nuovamente stoppato da Gasol; l’aridità  offensiva dei biancoverdi troverà  momentaneo sollievo con un lob di Rondo per KG in transizione, ma poi, dopo una perfetta sequenza difensiva di Artest contro Pierce, chiuderanno questa galleria degli orrori con altri tre long jumper contestati, uno di KG, a vuoto, e due di Rondo, questa volta a segno (di cui l’ultimo, sulla sirena, particolarmente avventuroso).

In quest’arco di tempo, l’attacco dei Celtics non è riucito a produrre praticamente nulla, se non tiri in sospensione contestati dalla lunga o lunghissima distanza: a casa dei Lakers nessuna squadra può permettersi di non generare attacco per quasi metà  periodo e non pagarne le conseguenze, e infatti in questa sequenza gli ospiti (pur avendo difeso in modo egregio) hanno concesso ai Lakers il comodo “cuscinetto” di una decina di punti su cui i padroni di casa si sono attestati fino al colpo di grazia, l’ulteriore break arrivato, più o meno nello stesso momento, nel terzo periodo.

3’ al termine del quarto, 73-62 Lakers; la prima azione di questa sequenza è un “dai e vai” tra Rondo e Garnett, che hanno tutta la metà  campo sinistra per loro: Kobe segue il taglio di Rondo, ma non appena il suo avversario esce dal pitturato, rimane indietro a fare il “portiere” su Garnett, mentre su Rondo scala Fisher.

KG non riesce a trovare spazio con le sue finte contro Gasol, e quindi si affida al taglio di Tony Allen: l’azione è efficace, ma l’attacco biancoverde non ha mosso la difesa, e quindi Allen finirà  proprio tra e fauci di Kobe, che gli rifila una stoppata da highlights incendiando lo Staples.

Dopo una buona difesa celtica su Kobe, che costringe i Lakers ad accontentarsi di un tiro in corsa di Fisher, i Celtics tornano dall’altra parte e ricominciano con la litania di inefficaci long jumpers da fermo: il primo è di Garnett, che trova appena il ferro dopo soli cinque secondi dall’inizio dell’azione, e conduce ad una schiacciata volante di Bryant in contropiede:

Dopo il timeout è la volta di Glen Davis, che scheggia appena il ferro con il piazzato dalla linea di fondo:

Due liberi di Sheed (inseriti però in mezzo ad altrettanti liberi per Bryant e Fisher) muovono il tabellone, ma le azioni successive vedono una disperata tripla di Pierce dagli otto metri all’ultimo secondo, anch’essa molto lontana dall’andare a bersaglio,

uno sfondamento di Rondo grazie ad un eccellente Fisher appostato sulla linea di penetrazione,

ed infine un ultimo tiro da tre di Wallace dall’angolo, con Gasol a un passo.

Non c’è bisogno di essere degli esperti per rendersi conto che si tratta di tiri scarsamente qualitativi, presi senza ritmo, senza far muovere la difesa, senza avere posizione a rimbalzo offensivo: i Celtics hanno faticato terribilmente nel pitturato contro la rinvigorita difesa gialloviola (un pessimo 44% nei tiri da sotto come squadra, esemplificato dal 2/6 di Garnett e dall’1/6 di Rondo), ma questo non è un buon motivo per rinunciare ad attaccare il ferro.

I biancoverdi non possono permettersi di lasciar calare l’aggressività  in attacco: Rondo deve attaccare il canestro con l’idea e la volontà  di andare a segnare in proprio, non penetrare al solo scopo di muovere la difesa e cercare un uomo libero, perché i Lakers difendono più sulle linee di passaggio che verso il canestro, sfidandolo a punirli come scorer, anziché come uomo-assist; KG, Davis, Sheed e Perkins devono aggredire il proprio avversario giocando in avvicinamento a canestro, anche a costo di subire qualche stoppata di troppo, ma facendo muovere i lunghi gialloviola; Ray Allen deve sfruttare il mismatch con Fisher nell’1vs1, facendo pesare il suo vantaggio di centimetri e chili, e non cercando di seminarlo dietro ai blocchi, che è impresa tutt’altro che semplice; Pierce deve provare a battere Artest sul suo terreno, superandolo in palleggio, anziché accontentarsi di guadagnare spazio per il tiro con il passo di arretramento; in generale, è imprescindibile aumentare quei miseri 27 tentativi nelle vicinanze del ferro, che sarebbero stati troppo pochi anche se fossero riusciti a convertirli con una percentuale migliore del pessimo 44% ottenuto.

Nelle analisi del post-partita si sta parlando molto di come l’attacco dei Lakers sia riuscito a scardinare la difesa dei Celtics, ed in effetti i gialloviola hanno ottenuto in discreto successo nel fare quello che la difesa di Thibodeau vorrebbe impedire, cioè aggredire il pitturato (43 tiri dalla brevissima distanza sui 76 tentati in totale, con il 55% abbondante dal campo), ma al tempo stesso sono riusciti a somministrare agli ospiti una cospicua dose della loro stessa medicina.

La realtà  è che la grande difesa biancoverde non può vincere questa serie da sola: può tenere a contatto i Celtics per gran parte della gara, tenere botta, ma per rompere quell’equilibrio in favore dei Celtics c’è bisogno che sia l’attacco a piazzare l’allungo decisivo: in Gara1 non è successo, e non ci sono andati nemmeno vicini: ma ora la mossa sta a Doc Rivers, e vedremo cosa sciorinerà  in Gara2 per invertire la tendenza e scardinare quello che ben pochi si aspettavano: una tignosa difesa gialloviola.

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