La morale per le eliminate

I playoff sono una favola a lieto fine solo per chi li termina con l'anello al dito; alle altre pretendenti non resta che anticipare le vacanze, magari congedando l'allenatore, recente moda estiva dell'East Side: su sette squadre eliminate, già  tre (Bulls, Cavaliers, Hawks) hanno perso "sul campo" il loro coach, un altro pare vacillare (giusto, Erik?), Skiles è invece risultato meritatamente secondo per il trofeo di Coach of the year ed un ulteriore sopravvissuto all'epurazione è un certo Larry Brown, intoccabile in quanto patrimonio vivente del basket. Van Gundy, l'ultimo a "togliersi la giacca", ha certamente qualcosa su cui riflettere, ma in fondo ben poco da temere.

Ad Ovest, invece, ogni re siede sereno sul proprio trono; ed è inevitabile considerando che troviamo nomi da annali Nba come Karl, Popovich e Sloan, il neo-coach dell'anno Brooks, Gentry (che ha portato i Suns ben oltre l'umanamente prevedibile), McMillian (stoico con ciò che restava del suo roster) e Carlisle (forse quello del gruppo con le notti più insonni, visti i risultati…).

Lasciamo pure i coach al loro destino futuro e diamo piuttosto una "rivisitata" al passato recente. Al di là  dei fattori contingenti che potrebbero giustificare l'uscita di scena di ciascuna squadra, può essere interessante cercare di individuare la lezione, la "morale della favola", che ciascun team può trarre dalle proprie (dis)avventure nella post-season.
Proviamo ad azzardare…

1st Round – West

Dallas: neanche un roster maestoso garantisce il passaggio del primo turno e Nowitzki non dovrebbe reggere da solo il peso (e la qualità ) dell'attacco.
Denver: Karl è un insostituibile cocchiere.
Oklahoma: senza dubbio, è solo una questione di tempo…
Portland: nulla da imparare. Erano già  ben consapevoli dell'importanza di Roy.

1st Round – Est

Charlotte: il coach può ottimizzare al 110% ciò che ha, ma non sempre basta ad evitare lo sweep…
Chicago: sempre meglio non incontrare James & co. in post-season… manca ancora qualche tessera al puzzle, ma Rose nei playoff è già  una certezza invidiabile.
Miami: se il secondo realizzatore è Chalmers con 10.8 di media ed O'Neal tira con il 20%, super-Wade non ne ha colpa…
Milwaukee: hanno sfiorato l'impresa. Meglio di così, in quelle condizioni, si sarebbe chiamato "miracolo"…

Conf. Semifinals -West

San Antonio: la Phoenix di Gentry non è la Phoenix di D'Antoni… (e "il tempo passa per tutti"…).
Utah: l'altezza non si insegna. Nulla da fare contro le "twin towers" losangeline.

Conf. Semifinals – Est

Atlanta: il talento "grezzo" del quintetto ed il sesto uomo dell'anno possono garantire una regular season sontuosa. Ma ai playoff non bastano (ci vuole la lavagnetta…).
Cleveland: l'Mvp è pur sempre un essere umano ed il potenziale degli altri va valorizzato, non collezionato come figurine. Il discorso potrebbe essere infinito, ma, secondo chi scrive, il problema dei Cavs è stato il cosiddetto "supporting cast": il fatto stesso di identificarlo come tale, facendo così ricadere il peso della "dittatura tattica" su LBJ, lasciando agli altri solo bagliori di riflesso… già , gestire un giocatore che ha il doppio del talento di qualunque altro compagno, non è impresa facile; un grosso "in bocca al lupo" al prossimo coach di James.

Conf. Finals

Alle finali di Conference c'erano due squadre caratterizzate da pick n' roll reiterati, da due playmaker-realizzatori, da molto tiro "a base tre" e da un ala/centro con buon tocco perimetrale come contraltare dell'assenza di un affidabile realizzatore "statico" da post basso. Le altre due squadre non avevano invece queste caratteristiche, ma sono approdate all'ultimo livello…

Qualcosa su cui ponderare?

Indubbiamente sono passati i due team con l'attacco più organizzato, sebbene una sia senza play (L.A.) mentre l'altra abbia invece un signor play (Rondo assomiglia sempre più ad un Kidd saggiamente timido da oltre l'arco); in entrambi i casi, siamo comunque lontani dall'apporto offensivo di un Nash o un Nelson versione playoff.

Di fatto, nessuna della due squadre abusa del pick n' roll, né esagera con il tiro da fuori, né ha un lungo tiratore (Odom, al limite, è un lungo-passatore…), schierando invece un lungo-realizzatore alla vecchia maniera: spalle a canestro sia Gasol che Garnett hanno lezioni da impartire a molti…

Sul perimetro ci sono invece due squisiti go-to-guy che salvano dall'estinzione il mid-range game: Bryant e Pierce sono il miglior bilanciamento esterno per la coppia interna Gasol/Garnett (a scriverli vicini, si guardano storto anche le lettere…). C'è poi, in entrambi i team, la guardia "apriscatole" perimetrale: Allen e Fisher sono perentori nei playoff, soprattutto quando la palla pesa.

A ben vedere, né i Magic né i Suns avevano questi tre "ingredienti" (lungo-realizzatore, go-to-guy esterno e "triplista") così limpidamente delineati: Stoudemire ed Howard sono letali nelle giocate dinamiche (Stat anche tirando dal "gomito") ma non hanno un gioco spalle a canestro degno di nota; Richardson e Carter non sono Bryant e Pierce; i bombardieri non mancherebbero, ma chi è "il risolutore"? Forse Lewis a Orlando, anche se dopo la serie opaca contro i Celtics sorge qualche lecito dubbio…

Dopo questa post-view è il caso di lasciare spazio alle preview delle Finals: i campioni degli ultimi due anni incrociano le armi in una rivalità  storica, non si amano né si temono… ne vedremo delle belle.

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