Finali di Conference, le sfide

Rajon Rondo oramai è il Big 4 dei Boston Celtics.

Le Finali di Conference 2010 sono due serie per buona parte impreviste. Se è vero che anche quest'anno, come sempre, sono arrivate fino a questo punto le 4 migliori squadre, allora non dobbiamo dubitare dello spettacolo che ne può derivare.

Le semifinali sono state strane e volendo anche bruttine. 3 serie su 4 si sono concluse con uno sweep (ovvero 4-0 per chi ha vinto), la rimanente, Cleveland vs. Boston ha riservato invece la sorpresa più dolorosa. L' eliminazione prematura di LeBron James.

Ad Ovest arrivano dei caldissimi Suns, capitanati da un addirittura eroico Steve Nash in versione "Polifemo", ma dall'altra parte ci sono i campioni in carica, i Lakers di Kobe Bryant, finalisti NBA anche la stagione precedente.

Steve Nash può guidare il suo attacco senza freni continuando l'allegra cavalcata iniziata fin dall'era D'Antoni. Lo marca, almeno all'inizio, quel Derek Fisher oramai monumento vivente di cui si sa, fa il suo nei momenti decisivi e spesso (vedi Finals '09 con le due triple nel finale) è colui che vince le partite.

Nash, come noto, difende a modo suo, e di certo né Fisher né Shannon Brown né tantomeno Jordan Farmar gli possono creare troppi problemi in punta. Da questo punto di vista è stato fortunato, perché diverso sarebbe stato, per pura ipotesi, affrontare un Russell Westbrook o un Derrick Rose, giusto per essere chiari.

Di contro anche per Fisher la sorta non è stata troppo malvagia. Nash lo si limita, se lo si riesce a fare, con un adeguato sistema di rotazioni difensive che sappiano sapientemente rallentare la sua visione di gioco. Al movimento frenetico dei Suns si risponde solo cercando innanzitutto di tornare subito in difesa e di non concedere contropiedi, primari o secondari che siano, e a metà  campo, facendo il più possibile per confondere le acque.

Ovvero con raddoppi di marcatura tanto rapidi quanto efficaci, perché Nash sa leggere velocemente eventuali smarcamenti. La soluzione quindi è proprio la via di mezzo. Né troppo rigidi sulle proprie marcature né troppo frenetici nel cambiare accoppiamenti. L'atletismo di Shannon Brown può ritornare molto utile in questo senso.

Per quanto riguarda Kobe, che dire, è stato già  detto tutto. Jason Richardson può dargli fastidio il giusto, è ancora un ottimo atleta, ha voglia di difendere e di costruirsi a fine carriera un nome vincente, ma Kobe versione playoff è difficile da contenere.

Storicamente la difesa dei Suns è a larghi tratti "obiettrice di coscienza" e il triple post offense dei Lakers può essere addirittura letale. Solo a livello teorico un sistema così perfetto e vincente contro un'anarchia difensiva è qualcosa di impraticabile, ma Grant Hill, anche alla sua età , è un lavoratore serio e Jared Dudley, oltre al suddetto J-Rich, sono gli uomini giusti per provare a levare le armi.

Anarchia sì quindi, ma con raziocinio. Un'anarchia di probi operai e di vecchi leoni pronti al riscatto. Ron Artest ha già  scalato le marce alte nei playoff, soprattutto contro il top scorer Kevin Durant nel primo turno, adesso lo aspetta Grant Hill, che però, nonostante l'età , è un giocatore meno statico di quello che si potrebbe pensare a prima vista.

E' facile prevedere finisca spesso sulle tracce di J-Rich, sul quale deve tappare i buchi che si creano dagli scarichi di Nash. Lavoro quindi di diversa fattura. Non più il classico one on one, ma sporcare le linee di passaggio e rendere, magari in prima persona, più macchinoso il mortifero pick and roll tra Nash e Stoudemire.

Non dico infatti che un utilizzo full time di Artest su Hill sia sprecato, ma quasi. Coach Zen può utilizzarlo direttamente su Nash, anche se il vecchio canadese cittadino del mondo potrebbe aggirarlo a piacimento, siccome Artest è settato originalmente, come sui playground da cui nasce, a marcare forte l'uomo faccia a faccia aspettando che questi lo batta dal palleggio.

Con Nash invece è diverso, e la differenza così evidente di sistemi di gioco, l'uno lento contro l'altro velocissimo, può produrre una strana competizione alla pari. Sotto canestro invece non di discute. Gasol, Bynum e Odom non solo hanno i centimetri ma anche la giusta intelligenza, anche Bynum, di adattare le proprie soluzioni offensive.

Qui però non serve molto. I Lakers insisteranno molto per portare il più spesso possibile la palla in vernice. Jarron Collins e Amare Stoudemire possono fare poco, come pure l'energia dalla panchina di Amundson.

Meglio ribaltare la prospettiva. Channing Frye è un lungo che ha imparato a tirare da fuori, ma Odom ha imparato da sempre ha giocare esterno. E' una forza dentro-fuori come pochi, quindi qui il giochetto dei Suns può riuscire molto meno.

Gasol se la dovrà  vedere con la strapotenza fisica di Stoudemire, ma se è pur vero che Odom può essere impegnato fuori c'è sempre Bynum. Amare domina contro i lunghi poco mobili e atletici, Gasol non ha i muscoli per contrastarlo ma appunto ha la giusta mobilità  di gambe, come in parte anche Bynum.

In definitiva quindi i Lakers sono favoriti e non già  dai diversi matchup. Sono i favoriti perché la faccia di Kobe in queste occasioni non ce l'ha nessuno. E' questa, oltre ogni tatticismo, a vincere le partite di maggio e anche, come l'anno scorso, di giugno.

Ad Est la sfida è più equilibrata, tra due sistemi sicuramente diversi, ma che comunque non disegnano una forbice così ampia di antitesi. Ai Magic piace giocare un po' all'europea, con penetra e scarica ripetuti, fidandosi della percentuale al tiro, soprattutto dalla lunga, con il necessario contro-bilanciamento offensivo e difensivo di Dwight Howard sotto canestro.

Visto così l'attacco dei Magic è spettacolare quanto infallibile ma in realtà  ha diversi punti deboli. I Celtics sono forse la squadra giusta per approfittare di questi difetti.

Innanzitutto non vanno sotto nel mezzo perché Kevin Garnett non è mai stato uno che si fa mettere i piedi in testa e così pure Kendrick Perkins. Glen Davis farà  a sportellate a sufficienza, così come Rasheed Wallace.

Dwight Howard deve ancora sviluppare, se mai lo farà , un auto-sufficiente gioco in post basso, quindi può certo produrre grandi numeri ma Doc Rivers si fida troppo del guru difensivo Tom Thibodeau, che non cadrà  troppo facilmente nel tranello di raddoppiarlo lasciando liberi gli esterni al tiro. La pressione di Perkins può non bastare, ma la mobilità  da mordi e fuggi divensivo di Garnett sì.

E' questo il punto. Una grande difesa, i Celtics, contro un grande attacco, i Magic. Ma se più o meno gli opposti si attraggono, ribaltando la frittata l'attacco dei Celtics è più forte della difesa dei Magic, nonostante Superman sia stato generosamente nominato MVP difensivo della stagione.

Premio generoso perché la sua difesa è più che altro stoppate e intimidazione, con tanti rimbalzi certo. Ma la cara vecchia scuola vi dirà  che difesa è il sacrificio di Pierce di combattere fianco a fianco a LeBron James, è la capacità  di prendere gli sfondamenti, è la carica, che può apparire addirittura eccessiva di KG, è la lotta a denti stretti e senza sorrisi di Perkins, è la capacità  di Ray Allen di non andare dietro ai blocchi, è anche la furbizia di Rajon Rondo, mani lunghe e veloci nel divorare palloni.

Sotto canestro la potenza fisica di Howard si può contenere, la maestria del post basso e medio di KG molto meno, soprattutto se sarà  quello di gara 6 contro i Cavs. Per il resto i Magic sono maestri nello spacing, ovvero usufruire di ogni centimetro costruito dalle trame tattiche e dagli spostamenti dei giocatori, ma di contro i Celtics sono la migliore difesa NBA per adattamenti difensivi come del ritmo e del movimento di squadra.

Paul Pierce può contenere Rashard Lewis e molto meno il contrario, soprattutto se si pensa che a Pierce in attacco piace giocare con la palla in mano in uno contro uno e non sugli scarichi come il ragazzo del Texas. Tornerà  utile Matt Barnes, specialista difensivo, più che mai sulle tracce di Pierce piuttosto che su quelle di Allen.

Sulla stessa linea la sfida tra lo stesso Allen e Vince Carter. Vince è ammirevole per come si battendo a fine carriera ma non è inimmaginabile vederlo perdersi rincorrendo Allen nella selva dei blocchi.

Jesus Shuttlesworth è un maestro in questo, Vince ha ancora l'atletismo giusto ma forse non lo aiuta la mentalità  offensiva di coach Van Gundy. Nel ruolo di point guard Jameer Nelson deve rompere gli schemi e dare la giusta dinamicità  al suo attacco.

Ma Rajon Rondo può dargli molto fastidio, perché ad uno come Nelson cui piace molto penetrare la mano lesta di Rondo e il suo atletismo possono fare molto male.

E' una serie che si gioca molto sui tiri dagli scarichi. Rashard Lewis, JJ Redick e Mickael Pietrus da una parte, con Vince Carter a seguire, e Ray Allen, Rasheed Wallace e volendo anche Paul Pierce e Michael Finley dall'altre devono farsi trovare pronti.

Come ultima parola, queste finali di conference sono due serie molto diverse e molto simili nello stesso tempo. Si affrontano due attacchi scintillanti, le corse folli dei Suns e il penetra e scarica dei Magic, contro due sistemi meno veloci ma più quadrati, certamente più esperti e vincenti.

Chi crede alle rivoluzioni tifi per Nash e Howard, chi crede alla rabbia dei vecchi leoni, tifi invece per Kobe e Garnett.

Comunque sia è un confronto doppio tra modi diversi di interpretare il basket. Vedremo chi la spunterà .

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