Le sfide Melo – Lebron riservano sempre sorprese…
Un'altra regular season si è conclusa. Salutiamo cinque mesi e mezzo di buon basket NBA, durante il quale abbiamo avuto le solite conferme, qualche gradita sorpresa e soprattutto tanto, tanto spettacolo.
Da qui a metà giugno le 16 migliori squadre di questo 2009/2010 combatteranno tra loro per la conquista del titolo, e per fornire a noi appassionati il miglior basket esistente sul pianeta: quello dei play-off della Lega di basket più importante al mondo.
Nel corso di questi giorni si discute delle varie sfide, delle chiavi tattiche in esse contenute e si cerca di capire quali franchigie riusciranno ad arrivare fino in fondo.
Noi, in pieno clima play-off, vogliamo ricordare tre grandi prestazioni individuali (in realtà quattro, come vedrete…) alle quali abbiamo assistito nel corso della regular season.
LeBron vs. Melo
18 febbraio, Quicken Loans Arena di Cleveland. Sulle tribune, a vedere la partita, siede il nuovo acquisto dei Cavaliers, Antawn Jamison, a fianco del GM Danny Ferry. In campo va invece in scena una delle migliori partite della stagione, con i leader delle due squadre, LeBron James e Carmelo Anthony, a farla da padroni.
Quella tra questi due straordinari talenti è la classica partita nella partita. Si marcano a vicenda, prendono la palla in mano nei momenti che scottano e cercano di portare a casa la vittoria per il proprio team. Un duello di altri tempi, che esplode nell'ultimo quarto a suon di giocate.
Parte Anthony, che all'inizio dell'ultimo periodo evita la stoppata di James e conclude il contropiede con una schiacciata. Ancora lui, cinque minuti dopo, va via con una spin-move al 23 dei Cavs e appoggia a canestro. La sfida è lanciata, e LeBron ha tutta l'intenzione di raccoglierla.
A 48 secondi dalla fine, sul 106-103 in favore dei Nuggets, "Il Prescelto" prende la palla in mano, elude la marcatura di Carmelo e piazza la tripla del pareggio, con tanto di sguardo cattivo nei confronti dell'avversario, che da parte sua tira fuori un sorrisetto beffardo.
Sul 106-106 si va all'Over-Time.
La partita continua a rimanere in bilico, e a 20 secondi dalla fine i Cavaliers si trovano sotto di 3 punti. James prende palla, penetra in area e, pur subendo il fallo di Nenè, infila il canestro e il successivo libero del pareggio.
Neanche il tempo di festeggiare che i Nuggets battono la rimessa. Anthony si trova a 5 metri dal canestro defilato sulla sinistra. Mancano 5 secondi alla fine del tempo, e deve decidere cosa fare, naturalmente marcato da LeBron. Attaccare il canestro? Passare la palla a qualche compagno?
No. Melo sceglie la soluzione più difficile, un tiro dalla media con la mano in faccia. La retina si gonfia, a 2 secondi dalla fine i Nuggets vanno sopra 118 a 116 e vincono la partita, ponendo fine alla striscia di 13 vittorie consecutive dei propri avversari. Il vincitore, Carmelo Anthony, chiude con 40 punti, 6 rimbalzi e 7 assist, più il fondamentale canestro della vittoria.
Per LeBron, invece, una tripla doppia da urlo. 43 punti, 13 rimbalzi e 15 assist, il che vuol dire la miglior prestazione della sua regular season. A febbraio abbiamo potuto vedere di cosa sono capaci queste due stelle…le ammireremo anche in Finale?
Il record di Brandon Jennings: 55 punti!
Ad ottobre, mese in cui inizia il campionato NBA, le perplessità intorno a Brandon Jennings erano molte. Questo ragazzo di appena 20 anni, fino a quel momento, aveva fatto parlare di sé più per alcuni suoi comportamenti fuori dal campo che non per il suo talento.
Intendiamoci, già da diversi anni si parlava di lui come di un giovane potenzialmente molto interessante. Poi arrivò una scelta coraggiosa come quella di saltare un anno di college per venire a giocare in Europa, e proprio qui da noi in Italia, alla Virtus Roma.
Un'esperienza che ha portato questo ragazzo a togliersi ben poche soddisfazioni sul campo, visto che con il passare del tempo veniva utilizzato sempre di meno dai suoi allenatori, a causa delle prestazioni non propriamente brillanti.
Queste sue difficoltà vennero notate anche in America, tant'è vero che se prima di arrivare in Italia il suo nome veniva dato come sicuro tra le prime 5 scelte del draft 2009, alla vigilia del suo ingresso in NBA sembrava già molto difficile che potesse essere scelto tra i primi 10.
E in effetti Jennings venne scelto proprio alla decima chiamata, dai Milwaukee Bucks. I quali, incuranti delle sue acconciature stravaganti, di un anno in Europa al di sotto delle attese e dei suoi limiti tecnici, decisero di puntare forte su di lui, aprendogli da subito le porte del quintetto titolare, affidandogli le chiavi della squadra.
Le prime sei partite furono decisamente incoraggianti, dopodichè arrivò "la Partita". Con la p maiuscola. Eh sì, perchè segnare 55 punti (record della stagione regolare appena conclusa) al primo anno nella Lega, in quella che è la tua settima partita disputata in carriera, vuol dire solo una cosa. Che sei un giocatore speciale.
Il tutto avviene il 14 novembre a Milwaukee, con i Bucks che alla fine vinceranno 129 a 125 contro i Golden State Warriors. 55 punti, di cui 29 nel solo terzo quarto (!!!): roba da libro dei record. Grazie a questa incredibile prova, il ragazzo di Compton è diventato il più giovane ad aver segnato almeno 50 punti in una partita NBA.
Per non parlare poi del fatto che, in 62 anni di storia, solo un altro giocatore è riuscito a segnare più punti (58) nell'anno da rookie. Un certo Wilt Chamberlain, vero e proprio mito del basket nonché uno dei realizzatori più devastanti di sempre.
Al di là di tutto, nella prestazione fornita contro i Warriors il numero 3 dei Bucks ha dimostrato di avere un talento del quale in pochi sono stati dotati negli ultimi anni. Sa tirare da 3, è rapido, ha un ottimo trattamento di palla, e se c'è da buttarsi nella mischia lo fa, senza paura. Con lo stesso coraggio che lo ha portato a rinunciare alle sue certezze per sbarcare in Italia, Jennings attacca le difese avversarie.
E pazienza se il suo tiro in sospensione e la sua lettura del gioco sono ancora deficitari…soprattutto se continuerà ad avere la stessa voglia di mettersi in discussione e di migliorarsi che ha dimostrato nella sua breve carriera professionistica.
Andre Miller: una serata di grazia
30 gennaio 2010: un giorno che, nell'immaginario di Andre Miller, playmaker dei Portland Trail Blazers, verrà ricordato come il più bello della sua carriera, a meno che non riesca a vincere il tanto agognato anello da qui al ritiro.
Parliamo di un giocatore di 34 anni, molto valido ma penalizzato dal fatto di aver giocato in squadre non molto competitive. Basti pensare che, in 10 stagioni nella Lega, per 5 volte Miller ha partecipato insieme alle sue squadre ai play-off, senza riuscire mai a superare il primo turno.
Questi risultati gli vanno stretti, tant'è che due anni fa lo stesso giocatore dichiarò di voler approdare, finalmente, in una franchigia che potesse avere delle chance concrete di arrivare fino in fondo.
La grande occasione arrivò nell'estate 2009, quando questo valido playmaker decise di firmare da free agent un contratto con i Blazers, squadra nella quale si trova tuttora. Compagni giovani e forti, un'ottima organizzazione societaria, la volontà di puntare al titolo nel breve periodo. Queste sono state le principali ragioni che hanno spinto Andre ad operare la sua scelta.
Per i play-off attualmente in corso, Portland molto probabilmente non gli darà alcuna possibilità di arrivare all'anello. Con le due stelle Roy e Oden infortunate, per non parlare degli altri infortuni che hanno colpito a turno altri membri del roster, il potenziale della squadra si è praticamente dimezzato.
Incurante di tutto ciò, Miller ha fatto e sta facendo la sua parte. In modo egregio, come sempre d'altronde. Con una differenza rispetto agli anni passati.
Una differenza che ha una data ben precisa: 30 gennaio 2010, una serata in cui il numero 24 dei Blazers decide di salire sul palcoscenico e di prenderlo tutto per sé. Da notare che la sera prima, a Houston, aveva chiuso una mediocre prestazione da 2 punti in 21 minuti, con 1 su 6 dal campo. Impalpabile.
La sera dopo Miller e i suoi fanno visita ai Dallas Mavericks, una delle squadre più temibili della Western Conference. Ad inizio partita il playmaker prende palla e tira: primo errore per lui. Uno dei pochi, se è vero che alla fine scriverà 52 punti (massimo in carriera), con 22 tentativi andati a segno su 31 dal campo, con un ottimo 7 su 8 ai liberi e due sole palle perse.
Due palle perse…un dato impressionante se consideriamo tutte le responsabilità che il giocatore dei Blazers si è preso durante la partita. Tanto per dirne una, il gancio messo a segno a 14 secondi dalla fine dei tempi regolamentari, che è valso il pareggio per la sua squadra e il conseguente over-time.
E ancora: un altro tiro nell'over-time, che vale il pareggio ad un minuto e mezzo dalla fine, 112-112. La partita verrà poi vinta proprio dai Blazers grazie ad un canestro di Juwan Howard. Ma tutti sanno chi è stato il vero protagonista della serata, l'eroe da applaudire.
Lo sanno soprattutto Jason Kidd, Jason Terry, JJ Barea e Shawn Marion: tutti giocatori dei Mavericks a cui viene dato il compito di marcare Andre Miller. Tutti accomunati dalla frustrazione per non essere riusciti a fermarlo.
Una serata da ricordare…l'highlight di una carriera, nella speranza di poter festeggiare, da qui in avanti, una soddisfazione più grande, per non essere ricordato "solo" come un grande solista.