Aaron Brooks è stato il miglior Rocket di questa stagione appena terminata.
La stagione regolare è terminata solo da poche ore, con una sconfitta arrivata in nottata che non ha né aggiunto né levato alcun che ad un campionato che può essere interpretato in due modi differenti. Dal punto di vista di molti, il fatto che gli Houston Rockets siano riusciti a chiudere questa regular season con un record appena sopra la soglia del pareggio (42-40) nella ultra competitiva Western Conference pur senza qualificarsi per la postseason (nona squadra assoluta di conference) è quasi un'impresa.
Questo perché la squadra era partita giocando in ogni occasione con le spalle al muro, con gli sfavori dei pronostici, trovando unità ed orgoglio laddove classe e talento non potevano evidentemente arrivare, spremendo al massimo una tenuta atletica che, proprio perché non supportata dal talento medesimo, è andata vistosamente in calando dopo l'All Stars break, fase del cammino in cui la franchigia ha definitivamente perso di vista i playoffs, barcamenandosi assieme a Memphis e New Orleans tra la nona e l'undicesima posizione, senza mai riuscire a piazzare la striscia di vittorie necessaria a rincorrere seriamente l'ultimo posto ad ovest.
C'è anche chi la vede nell'altro senso: pur con chiari difetti la squadra era considerata competitiva per farli questi playoffs, perdendo il treno per essi a causa della grande mancanza di continuità di risultati utili, e tramite l'accumulo di diverse sconfitte arrivate per mano di squadre nettamente inferiori a Houston, che durante l'anno si è comunque permessa di battere Cleveland, Denver, Boston e persino i Lakers, incompleti com'erano i Rockets ad inizio campionato. Sarebbe bastata una maggiore continuità mentale e fisica, e la qualificazione per proseguire il cammino sarebbe quasi sicuramente pervenuta.
La verità , come sempre, se ne sta comoda nel mezzo. Il cammino appena terminato ha sicuramente evidenziato ulteriormente quali siano i metodi di riparazione per giocare una stagione 2010/2011 migliore, ma ha contemporaneamente mostrato che la dirigenza sembra aver intrapreso la direzione giusta. I Rockets non erano obbiettivamente una squadra da playoffs, questa era l'idea di partenza, ed è da questo presupposto da cui si deve partire a ragionare per giungere alla conclusione che questo campionato, in qualche modo, è stato davvero positivo.
A Houston si era partiti sapendo di essere svantaggiati in partenza, dovendo soffrire per l'assenza ben conosciuta del big man Yao Ming, e sapendo di dover decidere presto come comportarsi nei confronti di Tracy McGrady e del suo contrattone, correttamente utilizzato a tempo debito per portare a casa un bel pezzo di futuro.
L'assenza di Yao ha sicuramente modificato la natura e l'attitudine del collettivo, che ha continuato sulla strada della serie persa contro Los Angeles nel 2009, quando il cinese aveva dovuto salutare la compagnia per l'ennesimo infortunio. Ed ecco (ri)nata quella squadra dal grande cuore, così evidentemente priva dei centimetri che servono per vincere con continuità , che nemmeno la trade deadline è riuscita a portare, visto il repentino taglio di Hilton Armstrong, un lungo che sapeva correre come questo schema avrebbe richiesto, ma che non ha minimamente inciso sulle sorti di squadra. Il buon Chuck Hayes ci ha provato in tutti i modi, ma il cuore non sempre arriva dove chi rende quindici centimetri riesce ad approdare.
Chi aveva confuso Trevor Ariza come uno di quei talenti che, ritrovatisi a cambiare casacca dopo essere stati nascosti da altre star, esplodono fragorosamente, non aveva ben capito di che tipo di giocatore si stesse parlando, ed il solo fatto di essere stato la principale acquisizione del mercato free agents di luglio/agosto, non poteva dare luogo a ragionamenti di questo genere.
Questo perché era preventivabile che Ariza non si trasformasse in quel tipo di giocatore, semplicemente in quanto non era quello il suo ruolo in questa lega. L'ala ha sicuramente segnato come non mai per via dell'alto numero di possessi di cui ha usufruito, ma un'occhiata alle sue percentuali fanno intuire un eccesso di responsabilità offensive a suo carico, nonostante la continua richiesta di coach Adelman di osare di più nella metà campo offensiva.
E da questo punto di vista, l'acquisizione di un accentratore/realizzatore come Kevin Martin, ad Ariza sembra aver giovato, dal momento che l'ex Ucla ha così potuto fare rientro nella sua dimensione ideale, quella di tenace difensore pronto a sporcare i palloni, a marcare il miglior attaccante avversario in campo, ad effettuare entrate concluse sovente in schiacciata, e punire da oltre l'arco dei tre punti.
Il nome di Martin giunge a puntino, essendo parte integrante di due argomenti cari a Houston: il futuro e gli infortuni.
L'ex Sacramento, per il quale è stato sacrificato il soldato Landry, ha faticato nell'inserirsi a stagione in corso in una squadra nuova, ha sofferto una condizione fisica non eccellente perché i problemi alla spalla che lo avevano tenuto fuori a lungo ai Kings non lo hanno lasciato in pace un istante, e quindi il giudizio sul suo parziale campionato in Texas non può essere definitivo, ma semplicemente proiettato in avanti, quando, con una trentina di gare d'esperienza alle spalle, l'anno venturo sarà senza dubbio avvantaggiato nel riuscire a giocare come sa, essendo peraltro riuscito a mostrare molte delle qualità per cui è stato preso già nella presente annata.
L'uomo che potrebbe essere stato il più rappresentativo del finale di stagione è uno che invece ad inizio anno c'era già : Luis Scola ha sfruttato a dovere ogni singolo minuto in più che la cessione di Landry gli ha regalato, sfociato in un career high di 44 punti ed un accumulo di statistiche sostanzialmente in costante doppia doppia, un punto di riferimento sotto le plance praticamente irrinunciabile, un segno che il suo contratto da rinnovare deve essere la priorità della prossima offseason.
L'uomo che invece può essere considerato complessivamente il miglior giocatore è, con pochi dubbi, Aaron Brooks, miglioratissimo e con ulteriori margini di progresso (soprattutto di corporatura), un condottiero pronto a sacrificare il suo corpo che ha saputo prendersi tante responsabilità nei momenti caldi delle gare, quegli stessi momento che Houston spesso non sapeva a chi affidare, ad inizio stagione, trovando più tardi in lui una persona con risposte e leadership da dare.
Jordan Hill potrebbe essere un altro dei segni della bontà e della lungimiranza spesso abbinata a Daryl Morey, essendosi proposto come giocatore diverso dal mezzo bust che aveva faticato a mettere piede in campo a New York, dove Mike D'Antoni aveva ben presto perso le speranze sulla quinta chiamata assoluta del draft 2009.
Hill ha mostrato interessanti segni d'attività , entrando stabilmente a far parte della rotazione approfittando dei numerosi acciacchi registrati negli ultimi tempi (Houston ha presentato talvolta otto uomini attivi"), si è rivelato un buon combattente che sa come raccogliere punti e rimbalzi sotto canestro, correggendo un tiro errato di un compagno oppure regalando una preziosa seconda occasione offensiva. Si dovesse mai trovargli una posizione definitiva tra i pro, giungeranno ulteriori notizie interessanti dal ragazzo.
Assieme a lui si sono viste cose egregie dal rookie Chase Budinger, che ha comprensibilmente giocato a corrente alternata, trascorrendo intere partite a litigare con il canestro, e mischiandole ad altre dove l'estrema precisione al tiro l'ha addirittura portato tra i migliori marcatori in alcune occasioni, confermando quel mix di tiro da tre, atletismo, ed abilità di finire le penetrazioni con decisione che Morey aveva intravisto in lui sono e saranno molto utili per il basket giocato da Adelman.
Jermaine Taylor, invece, si è visto poco avendo disputato molte gare nella lega minore nella squadra-satellite dei Vipers, ma quando è stato chiamato ad esordire anche in quintetto, sempre per la generosa occupazione dell'infermeria, ha risposto con contributi molto interessanti, senza fare la figura del trovatello sperduto contro, ad esempio, il signor Kobe Bryant. David Andersen, infine, ha sofferto molto gli adattamenti difensivi ed i diversi ritmi della Nba, ma è pur sempre un lungo con raggio di tiro che può far comodo in molte situazioni.
Indipendentemente dalle prestazioni dei singoli giocatori, l'unico modo di aggiustare le cose in vista del futuro è la programmazione di interventi mirati per correggere quelle che si sono rivelate essere le falle di squadra. Il ritorno di Yao preso come fatto isolato non garantirà la risoluzione ai problemi in area pur restituendo un minimo di intimidazione, quindi la priorità al draft parrebbe essere quella di trovargli un backup adeguato, soprattutto in caso di nuovi infortuni.
Bisognerà inoltre capire che cosa non ha funzionato in difesa, dato che sarebbe opportuno evitare di registrare nuovamente punteggi imbarazzanti come i 133 punti recentemente concessi ai Pacers.
Gli interventi da eseguire non sono poi molti, e, come spiegato sopra, le basi per competere presto ad alti livelli paiono esserci. Non resta che attendere il corso degli eventi, e seguire le mosse di una offseason che vede la squadra economicamente impacciata dal cap, ma che è condotta da un proprietario disposto a spendere per vincere.