Focus: Stephen Curry

Stephen Curry ha confermato in NBA il talento che aveva mostrato nei suoi anni al college

"Scouts often try to find the worse instead of what makes the player special"
(Eddie Johnson, ex giocatore NBA e ora analyst ESPN durante Raptors@Warriors).

Quella scienza così inesatta come spesso si rivela essere il draft NBA o più in generale la valutazione dei giocatori universitari in una prospettiva PRO, in realtà  non sembra essere altro che una specifica applicazione di quella che è la più generale natura umana: cercare il peggio invece che il meglio, considerare il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno, e soprattutto alimentare quel pessimismo di fondo per cui un limite diventa una barriera invalicabile che inevitabilmente comprometterà  tutto.

E' il peggior errore che si possa fare con Step Curry, soprattutto se ci si limita a giudicarlo in relazione alla sua esteriorità  fisica. Non che madre natura abbia fatto molto per sconsigliare agli scouts questa pericolosa prospettiva di giudizio: magro, undersized, struttura fisica gracile, neppure velocissimo.

E poi quel look da bravo ragazzo il cui candore sembra trafiggere lo schermo con la stessa naturalezza con cui il sorriso di Magic illuminava gli schermi. La sensazione traspare limpida da un' intervista rilasciata dal giocatore e mostrata durante un time-out della gara tra Warriors e Raptors (nuda cronaca: vittoria Warriors 124-112 con Curry che inchiostra 35p, 10ass e 5/8 da dietro l' arco): faccia pulita, camicia a righe perfettamente inamidata, cravattino impeccabile.

Mancherebbero solo i classici occhiali da studio e il quadro sarebbe perfetto: non un giocatore emergente che ha già  distribuito lampi di immarcabilità , ma il tipico figlio modello, tutto mamma e torta di mele, e che trovandosi poi a San Francisco frequenta magari il campus della Berkeley University in attesa di superare il prossimo esame.

Tutto estremamente gratificante, considerando poi che il background culturale/familiare è un pilastro importante che può aiutare i giocatori a maturare e ad affrontare un mondo professionistico dove in certi casi è fin troppo facile farsi ingolosire e perdersi dietro a quei valori negativi che possono vanificare il talento sportivo. Gratificante ma, almeno sulla carta, non sufficiente per intraprendere una solida carriera da professionista perché poi il basket, a questi livelli, pretende pure qualche altra dote che a differenza della cultura e della morale non si insegnano ma si hanno per genesi: il fisico.

Il fisico: una prerogativa ritenuta così necessaria da diventare una tremenda spada di Damocle che Curry ha visto sempre incombere su di sé e contro cui ha sempre dovuto lottare per conquistare la meritata credibilità  a dispetto di un talento illuminante.

Ed è sempre quest' ultimo il parametro che gli analysts dell' ultimo draft hanno impugnato per sollevare tutta una serie di dubbi più o meno fondati su un possibile futuro del giocatore tra i PRO: troppo piccolo e debole fisicamente, non una point-guard pura, manca di esplosività  e velocità , e poi, in fin dei conti, i giocatori come lui che al college erano gradi realizzatori, raramente hanno avuto fortuna perché poi a livello NBA non hanno saputo cambiare ruolo e mentalità .

Tali dubbi erano così profondi e radicati nel suo identikit di giocatore da averne limitato il reclutamento persino ai tempi dell' Università . Infatti, pur avendo ampiamente riscritto il record della sua High School (Charlotte Christian School) per punti realizzati, furono ben poche e di scarsa importanza le università  che erano disposte ad investire su di lui tanto che neppure la sua alma mater Virginia Tech decise che valeva la pena impegnare una borsa di studio.

Il problema era sempre e principalmente uno: una taglia fisica che sembrava inadeguata per reggere i confronti con i pariruolo più tosti sia in attacco che principalmente nella metà  campo difensiva. La questione venne poi inevitabilmente esasperata la scorsa estate prima del draft NBA considerando la potenza muscolare e l' atletismo di alcune point-guard come Chris Paul, Deron Williams, Westbrook, lo stesso Tyreke Evans che era tra i più papabili per una delle primissime scelte.

Tuttavia, se c'è un allenatore che non ha paura delle sfide, con un gusto quasi perverso nel ribaltare qualsiasi standard riconosciuto, e che ricorda sempre con piacere che tra le caratteristiche che il basket reclama e che nessuno ti insegna ci sarebbe pure il "talento", questo è Don Nelson per cui divenne una pura formalità  scegliere Curry con il numero 7.

La scelta aveva anche dei precisi presupposti tecnici: i Warriors, dopo la partenza del Barone, avevano bisogno di una point-guard con un trattamento di palla affidabile, in grado di innescare il contropiede e le soluzioni in transizione, possibilmente con punti nelle mani perché questa è la tipologia di play che Nelson ha sempre prediletto per il suo sistema (Hardaway, Nash, Baron Davis).

Tuttavia nemmeno la benedizione di Nelson ammorbidì sensibilmente l' ingresso di Curry nella Lega, poiché fu Monta Ellis, ovvero il nuovo uomo franchigia (almeno nei piani dirigenziali), ad arroventare il primo giorno di camp prestagionale prendendo un deciso e netto distacco da questo tipo di scelta: entrambi troppo piccoli e leggeri per formare un backcourt credibile e vincente, una soluzione priva di chimica e solidità .

Un bel modo di cominciare la propria carriera tra i PRO, e prima ancora di averci giocato un singolo minuto: un "voto di sfiducia" ricevuto da chi per primo avrebbe dovuto accoglierlo e consigliarlo in qualità  di uomo-immagine della squadra, una barriera innalzata da chi per primo avrebbe dovuto provare a costruire un' intesa essendo suo diretto compagno di reparto.

In realtà  le frecciate lanciate dal Monta erano il sintomo non solo di perplessità  tecniche e fisiche plausibili, ma toccavano un tasto piuttosto delicato che riguardava il ruolo di Ellis in qualità  di nuova guida tecnica e caratteriale della squadra. Ellis probabilmente considerò la scelta di un altro play come un' attestato di sfiducia nella possibilità  che la guardia dei Warriors potesse davvero convertirsi in una reale e credibile point-guard.

Tali incertezze divennero vere e concrete problematiche con l' inizio della stagione NBA in cui Curry non solo si ritrovò ad dover vivere sulla propria pelle le difficoltà  che gli erano state pronosticate, ma faticò persino a dimostrare con continuità  quelle doti tecniche che invece gli venivano riconosciute.

I motivi di queste iniziali difficoltà  vanno ricercate nel logico periodo di transizione che il giocatore dovette affrontare nei primi mesi di regular season e nelle precise controindicazioni di uno sistema così particolare e sfrenato come quello dei Warriors.

Innanzitutto, Curry trascorse il primo periodo nel tentativo di rimodellare il proprio stile di gioco, cercando di convertirsi da realizzatore puro a first-pass player in grado di coinvolgere i compagni e dare ritmo e continuità  all' attacco: una svolta radicale rispetto al college.

A Davidson Curry era il principale e sostanzialmente unico realizzatore della sua squadra, abituato perciò non solo a collezionare valanghe di punti ma ad essere il punto di partenza e di arrivo dell' attacco stesso. Non che le sue doti di ball-handling e passatore non fossero emerse, ma la pochezza dei suoi compagni di squadra era tale che i suoi punti e le sue iniziative erano decisamente prioritarie rispetto alla coralità . Tuttavia Curry aveva deciso di trascorrere al College anche il suo anno da senior per giocare con più frequenza da point-guard e anticipare perciò la conoscenza del nuovo ruolo.

In secondo luogo, Il problema consisteva nel fatto che i principi di Nelson prevedevano continui e sistematici isolamenti per Ellis e Maggette e in generale soluzioni molto rapide e istintive senza equilibrio e coinvolgimento corale.

Il ruolo di Curry perciò si limitava molto spesso a servire Monta e Mags per le loro iniziative e a rimanere pronto sul perimetro per tirare sul qualche (raro) assist. Le sue doti tecniche erano talmente educate che inevitabilmente venivano già  notate ("The second quarter isn't finished yet, but Step Curry is already the best passer on the team", Jim Barnett durante la telecronaca di Rockets@Warriors, prima gara di regular season") anche perché, dopo la fuga del Barone, una delle lacune più evidenti nel reparto guardie dei Warriors era proprio il trattamento di palla e la capacità  di passaggio.

Il fatto di giocare in un sistema privo continuità  ed equilibrio, portava con sé due sviluppi negativi: in primo luogo, la difficoltà  nel poter esprimere pienamente la sua abilità  nel creare dal palleggio per sé e per la squadra, la capacità  di eseguire soluzioni di screen&roll con i lunghi, e più in generale di leggere la difesa avversaria.

Inoltre un attacco spesso indisciplinato non rappresentava di certo il presupposto ideale per permettere ad un rookie di approfondire la conoscenza e la lettura del gioco, di maturare cioè una più precisa consapevolezza dei tempi e delle soluzioni necessarie per superare le difese NBA: in pratica era come se il "learning process" di Curry fosse affidato esclusivamente al giocatore senza ricevere però un solido aiuto dalla squadra o dallo staff tecnico.

I primi due mesi NBA (soprattutto Novembre ma in parte anche Dicembre) sono stati caratterizzati dalla ricerca del giocatore di una nicchia personale, trovare cioè una precisa dimensione all' interno della squadra e dare nuovi equilibri al proprio stile di gioco: se al College Curry era la fine e l' inizio di quasi ogni possesso, ora nei Warriors spesso si limitava ad eseguire il primo passaggio per poi rimanere a guardare.

Ciò che la ha aiutato a superare in modo convincente questo difficile e comprensibile periodo di adattamento sono state le sue doti personali ma anche una situazioni infortuni che a Gennaio e Febbraio in particolare ha messo fuori causa per varie partite propri i giocatori che per caratteristiche tecniche (Mags ed Ellis) stavano oscurando Curry.

La sicurezza e una fiducia smisurata in sé stesso sono sempre stati gli attributi principali che hanno sempre sostenuto il giocatore nel corso di tutta la sua carriera, la convinzione di mandare a bersaglio qualsiasi tiro e di poter trovare sempre un rimedio adeguato a qualsiasi difesa: d' altra parte non può essere diversamente soprattutto per chi deve fare quasi esclusivamente affidamento sulle doti balistiche e vuole oltrepassare precisi limiti atletici.

E' questa la principale dote che ha ereditato dal padre Dell a sua volta uno degli interpreti più puri del tiro da 3p a livello NBA e che proprio della fiducia in sé ha fatto il mantra fondamentale per costruirsi una carriera da PRO che il suo fisico di certo non gli avrebbe permesso. Altra dote trasmessagli direttamente dal padre è la costanza e l' infaticabile voglia di allenarsi e di migliorare. A Okland, nella facility in cui si allenano i Warriors sono ormai riconosciute le sedute di tiro extra che Curry esegue dopo ogni allenamento serale: un'ora e mezza di tiro in cui Curry, accompagnato dalla musica del suo Ipod, scaglia tiri da 3p da ogni posizione fino a toccare la soglia dei 5oo tentativi.

Altro fattore che ha contribuito in modo determinante alla crescita di Curry sono stati gli infortuni che se da un lato sono stati uno dei motivi dell' ennesima disgraziata stagione della franchigia, dall' altro si sono rivelati una sorta di "provvida sventura" per il rookie al quale improvvisamente si sono aperti spazi e opportunità  fino a quel momento. Tra Dicembre e Febbario, Maggette ha saltato 9 partite, Ellis 11, pure Morrow, il principale tiratore puro della squadra, è stato assente in 10 occasioni: non è un caso che la crescita esponenziale di Curry sia coincisa con l' assenza in particolare di Mags e Monta, e cioè i due giocatori che per il loro stile di gioco più rilegavano il rookie ad un ruolo di secondo piano.

Con la possibilità  di gestire più palloni e responsabilità , Curry ha iniziato a sfoderare tutto il suo personale repertorio offensivo (19.1ppg a Gennaio e 21.5 a Febbraio) che gradatamente ha fatto ricredere chi cominciava a storcere il naso per il fatto che i Warriors avessero deciso di puntare su di lui piuttosto che su di una vera point-guard come Brandon Jennings.

Innanzittuto è rimerso con continuità  quel tiro mortifero (48.6% da 3p a Dicembre, 42% complessivo) che già  aveva esibito al College e che fino a auel momento eras stato un po' intermittente. Ovvio che anche questo aspetto, come la sua etica lavorativa, sia una probabile eredità  del padre che gli ha trasmesso l' efficacia nel fondamentale e pure alcuni aspetti comuni nell' esecuzione: come il padre Dell anche Curry è solito tirare con una sospensione appena accennata con una perfetta impostazione delle mani sulla palla ma con un piegamento delle gambe quasi nullo.

Proprio questo caratteristico uso delle gambe è uno dei segreti tecnici che rendono il rilascio di Curry assolutamente fulmineo, prerogativa essenziale tanto per un giocatore di pochi centimetri come nel caso del figlio quanto per un giocatore monodimensionale come il padre. Pur in tante somiglianze, c'è però anche una differenza che crea una immediata distanza tra i due: Dell tirava quasi esclusivamente nelle classiche situazioni in cui si esalta un tiratore puro, ovvero dietro ai blocchi e in situazioni di penetra-e-scarica. Stephen invece ama creare il proprio tiro pure dal palleggio, tirando dietro un blocco durante un pick&roll oppure dopo aver fintato la penetrazione in palleggio.

Curry ha dimostrato inoltre di essere più che un semplice tiratore puro. Principalmente ha esibito quelle doti di trattamento di palla che già  si erano intraviste, in particolare la sua abilità  di passare la palla (5.5 ass pg) indifferentemente con la mano destra e sinistra sia nell' esecuzione dei giochi a due che contro la pressione difensiva (Turiaf è uno dei principali ricevitori degli assist di Curry).

Tali doti si abbinano poi con la visione di gioco che è gradatamente migliorata nel corso dell' anno sia nelle scelte di gioco che nella rapidità  di lettura tanto che ormai, quando si tratta di avviare il contropiede o il gioco in transizione, i tempi con cui la palla esce dalle sue mani sono pressochè infinitesimali.

Questi progressi hanno permesso poi al giocatore di gestire con più intelligenza e efficacia le soluzioni in penetrazione. Ad inizio anno Curry infatti aveva la (presuntuosa) abitudine di voler arrivare sino al ferro dove però la fisicità  e l' atletismo delle difese NBA evidenziavano la sua mancanza di potenza vanificandone perciò le iniziative.

Per di più, i limiti strutturali e l' inesperienza non gli permettevano di guadagnare tutela e credibilità  da parte degli arbitri. In seguito quindi, Curry ha preferito sempre più arrestarsi dalla media distanza per punire con il suo jump letale o comunque anticipare la conclusione con il classico arcobaleno. In questo senso, il fatto di non essere velocissimo paradossalmente quasi lo favorisce in quanto permette al giocatore di esser sempre sotto controllo, con una visione globale di quello che sta succendo e decidere la soluzione migliore.

Con Curry più protagonista e coinvolto, il record della squadra è rimasto ugualmente disastroso ma d' altra parte è impensabile credere che il talento di un singolo possa da solo rimediare a tutti problemi di una situazione disperata come quella dei Warriors.

In ogni caso il gioco della squadra sembra averne beneficiato complessivamente. La circolazione di palla è diventata più fluida e continua, è migliorata la qualità  nell' esecuzione grazie alla sua visione di gioco e ai suoi passaggi. Quello che in varie circostanze ha fatto riconoscere in lui le stimmate del leader è stata la sua intrigante capacità  di trovare un equilibrio tra le sue iniziative personali e la ricerca della giocata per i compagni: anche quando prende 20 tiri, Curry non altera gli equilibri della squadra, non rende l' attacco asfittico e monocorde, ma trova sempre il modo di coinvolgere chi gli gioca a fianco.

Probabilmente non è un caso che le migliori prestazioni offensive dei Warriors si siano verificate prorpio quando il baricentro dell' attacco è diventato Curry.

Da questa prospettiva, si sviluppa inevitabilmente una questione che era già  stata sollevata ad inizio anno da Ellis e che gli sviluppi successivi hanno ulteriormente sottolineato: "The Ellis-Curry vibe", capire cioè in che misura Curry ed Ellis siano compatibili e, in caso di risposta negativa, identificare quale dei due giocatori la franchigia debba privilegiare.

Tematica indubbiamente scottante se è vero che dalla coesistenza tra i due esterni dipenderanno i futuri equilibri della squadra e le future scelte dirigenziali. Al momento attuale, la sensazione è che Ellis con le sue dichiarazioni brutali e inopportune abbia tuttavia anticipato una precisa realtà  di fatto.

I due giocagtori sembrano difficilmente compatibili e persino più profondamente di quanto Ellis non avesse previsto. La diffIcoltà  si notano principalmente in difesa dove entrambi mancano obbiettivamente di chili e centimetri per marcare i pariruolo avversari. Se a ciò si aggiunge che nessuno dei due è un grande difensore naturale, si fa presto a capire perché i Warriors siano quasi sistematicamente imbarazzati dai backcourt avversari. Ellis nella prima fase della stagione aveva provato ad intensificare il proprio sforzo difensivo responsabilizzato dall' immagine di nuovo uomo franchigia ma certi limiti strutturali si sono rivelati inevitabilmente più determinanti: troppo piccolo e leggero per marcare big- guards come Joe Johnson, Richardson e comunque le energie spese in attacco si ripercuotevano poi in difesa.

Per Curry lo situazione è addirittura più complicata in quanto la sua velocità  ed esplosività  non sono nemmeno paragonabili a quelle di Monta, il che gli ha fatto vivere in prima persona quanto cinica e spietata sia la NBA per come porta a colpire ripetutamente un avversario nei suoi punti deboli: il play dei Warriors è stato spesso isolato in 1c1 per essere attaccato fisicamente dai vari Arenas, D.Williams, C.Paul, T.Evans.

Il tutto si inserisce in un sistema difensivo inesistente che esaspera questa lacuna ed è ne esasperato a sua volta: mancando rotazioni collettive, se da un lato Curry ed Ellis vengono ulteriormente isolati nelle loro difficoltà , dall' altro i due, venendo sistematicamente battutti in 1c1, evidenziano ancora di più come manchino regole collettive per aiutare il singolo.

I due giocatori, come d' altra parte tutta la squadra, hanno spesso cercato di limitare i danni intercettando e rubando palloni (4 recuperi per gara in coppia), ma non sempre i ladri di palloni sono realmente difensori credibili. Il numero di palloni rubati riflette il tentativo di nascondere o rimediare certe debolezze scommettendo sulla palla recuperata.

Anche in attacco, almeno per ora, la situazione risulta complessa per la natura tecnica delle due guardie.

Ellis è un realizzatore che ama gli isolamenti in 1c1 e ha quasi sempre bisogno di un paio di palleggi per andare in ritmo e tirare in sospensione. Curry è un realizzatore che fin dai tempi dell' Università  è sempre stato abituato a gestire il pallone con continuità  per creare situazioni di gioco e anche lui ama creare dal palleggio.

Entrambi i giocatori hanno perciò il bisogno di avere il pallone tra le mani ed essere centri nevralgici dell' attacco per dare il meglio di sé, il che ovviamente causa una sovrapposizione di personalità .

La sensazione personale è che sia Ellis a doversi adattare a Curry. La stagione in corso ha infatti visto evaporare piuttosto rapidamente il tentativo di trasformare Ellis in point-guard a favore del rookie: la superiorità  di Curry nella visione di gioco e nel saper trovare quel difficile e complicato equilibrio tra soluzioni personali e coinvolgimento dei compagni (=qualità  complessiva dell' attacco) sono criteri essenziali che lo favoriscono come leader offensivo. Ellis perciò dovrebbe essere in grado di muoversi e trovare soluzioni in relazione alle iniziative di Curry, ovvero saper tirare sui penetra-e-scarica, prendere iniziative rapide e sufficientemente istantanee per non far ristagnare l' attacco nelle sue mani, creare a sua volta per il compagno di reparto.

Al momento attuale, non sembra che da parte di Ellis vi sia questo tipo di disponibilità . Da inzio stagione Ellis non solo ha sempre tirato a volontà  grazie ad un sistema offensivo così spregiudicato che esalta un realizzatore con i suoi istinti, ma soprattutto ha dimostrato di soffrire la personalità  di Curry. Personalità : è questo il termine chiave attorno al quale ruota la questione perché un equilibrio tecnico tra i due giocatori può trovarsi solo nel momento in cui Ellis sarà  realmente disposto a riconoscere in Curry il punto di riferimento della squadra, il "floor general" che decide e dirige per tutti, e che manca dai tempi di Baron Davis.

Ellis, al contrario, sta risentendo della rivalità  con Curry da un punto di vista personale prima ancora che tecnico, facendo affiorare in campo quel malumore dischiarato dopo il draft: Ellis sta soffrendo la popolarità  che il rookie ha guadagnato presso i tifosi e la stampa, la fiducia della dirigenza, i minuti e i riconoscimenti di Nelson, il fatto che Curry si stia imponendo sempre più all' attenzione di tutti mettendo in discussione il suo ruolo di uomo-franchigia. Negli anni scorsi, Ellis si muoveva sugli spazi creati dalle iniziative del Barone (e anche Jackson) perché prima di tutto né riconosceva la leadership incontrastata, ma ora che il suo ruolo è cambiato all' interno dell' organizzazione non è detto che sia disposto a fare altrettanto con quello che fin dei conti è solo un rookie all' esordio.

Non si dovesse trovare questo tipo di sintonia, i Warriors sarebbero obbligati a fare una scelta e le stesse voci di mercato farebbero intuire una decisione in favore di Curry.

Alla base di questa scelta potrebbe esservi pure la volontà  di scaricare il pesante contratto di Ellis per alleggerire il salary cap facilitando una eventuale cessione del club, in ogni caso anche tecnicamente la scelta sarebbe del tutto comprensibile: più facile trovare un relizzatore puro che non un play in grado di segnare e far segnare.

In secondo luogo, visto che il reparto dietro dei Warriors va migliorato in termini di muscoli e centimetri, sarebbe più facile trovare una big guard da affiancare ad Curry che un play di potenza da accoppiare con Ellis (come lo era Davis). Sono circolati alcuni nomi prima delle deadlines di Febbraio come quelli di Ray Allen, O.J.Mayo, ma la soluzione potenzialmente sarebbe già  presente in casa con Raja Bell ma soprattutto Azubuike. Ellis a quel punto diventerebbe una pedina importante da giocare sul mercato per rinforzare altre posizioni, per esempio quello di ala piccola, sempre che nel frattempo di chiariscano le situazioni di Randolph e Biedrins nel reparto lunghi.

Intanto Curry continua a dispensare lampi di talento e grandezza rischiarando (anche se solo parzialmente) l' ennesima stagione disgraziata dei Warriors e nell' attesa infinita che i talenti giovani della squadra sia valorizzato da un progetto finalmente coerente.

"It's like flashes of greatness we're watching, we watch an All-Star forming every game" (Maggette)

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