Il Redentore nell’Olimpo

6 settembre 1995: Cal Ripken disputa la partita consecutiva numero 2131, divenendo il nuovo Iron Man del baseball.

In mezzo alla costellazione di cartelli esposti la sera del 6 settembre 1995 dal pubblico di Caltimore - pardon, di Baltimore – uno recitava: "We consider ourselves the luckiest fans on the face of Earth".

Perchè Cal Ripken Jr. è entrato nella Hall Of Fame al primo anno di eleggibilità ?
Per aver salvato il baseball, potrebbe essere già  un argomento convincente.
L'aver battuto un record vecchio di mezzo secolo, e a lungo ritenuto inavvicinabile, non guasta, sebbene uno dei promemoria sulla scheda degli elettori ricordi che il raggiungimento di una milestone non debba essere decisivo nell'indicazione della preferenza.
Ridare lustro alla carriera e alla vita di un grande giocatore e grande uomo del passato è un'ulteriore stellina da apporre al compito di Ripken, ma a Cooperstown ci si entra con mazza e guanto, non con nobiltà  d'animo.

Calvin Edwin Ripken Jr. ha tutti i numeri a posto.
La sua media battuta non è tra le migliori ospitate nel tempio del baseball, ma la sua longevità  gli ha consentito di accumulare 3184 valide e 431 fuoricampo.
Nei primi dieci anni di carriera, Ripken non è mai sceso sotto quota 20 HR, numero importante nei "meno scoppiettanti" anni '80.
In poche parole, il nostro uomo è stato un affidabilissimo clean-up.
Linee offensive come la sua in genere dispensano un giocatore dal dover sapere usare il guanto diligentemente (in American League consentono persino di lasciarlo a casa!).
Cal, invece, ha trascorso il cuore della propria vita baseballistica nella più difficile posizione dell'infield, lo shortstop.
Le sue capacità  sono dimostrate dai guanti d'oro ricevuti, dalle convocazioni all'All Star Game (19), dalle elevatissime fielding percentage (.979 in carriera all'interbase) registrate anno dopo anno e dalle strisce mostruose di inning senza fallo disseminate nella sua carriera.
Gli analisti moderni che non si accontentano della fallace media difesa hanno rielaborato i play-by-play dei decenni passati, stabilendo che, nella sua epoca, Ripken non ha avuto eguali col guanto in American League e, in assoluto, deve inchinarsi soltanto alle prodezze di Ozzie Smith.
Con credenziali simili si potrebbe sopravvivere in MLB battendo a .230!
Se qualcuno non fosse ancora convinto della legittimità  dell'incoronazione di Ripken, aggiungete un paio di titoli MVP, l'anello delle World Series 1983, e una delle migliori stagioni mai messe a segno della storia (1991).

The Streak

E poi c'è The Streak
Che cos'è The Streak?
Semplicemente quel 162 periodico nella colonna G.

Questa storia inizia negli anni '20, con un prima base che chiede al proprio manager un giorno di riposo per un mal di testa.
Il suo sostituto è Lou Gehrig, che si ancora al cuscino di fronte al dugout Yankee per 15 anni.
Nel baseball ci sono alcuni numeri che evocano molto di più della quantità  che rappresentano: la corsa al record di fuoricampo di Bonds ha oggi reso familiari, anche ai tifosi più distratti, i numeri 714 e 755.
Al vero appassionato di baseball, opportune combinazioni di cifre accendono ricordi, fanno affiorare aneddoti e compongono intere biografie: 56, .406, 1.12," se non solleticano alcunché nella vostra mente - o nel vostro cuore – la vostra baseball-experience è molto lontana dall'essere completa.

Anche The Streak aveva un numero: 2130.
Duemilacentotrenta parla di quel mal di testa, di un figlio di immigrati tedeschi, della squadra più forte di tutti i tempi e di una malattia tuttora incurabile.
Duemilacentotrenta sono gli incontri disputati consecutivamente da Lou Gehrig, dal giorno in cui Wally Pipp si prese le due aspirine a quando la Sclerosi Laterale Amiotrofica - oggi conosciuta anche come Morbo di Gehrig – lo tolse definitivamente dal campo, per poi strapparlo prematuramente da questo mondo.

"So che se Lou Gehrig sta guardando quaggiù le attività  di questa notte, non è preoccupato dal fatto che qualcuno sta giocando una partita consecutiva in più di lui, invece, sta vedendo questa sera semplicemente come un altro esempio di ciò che è buono e giusto nel grande gioco americano".

Il 6 settembre 1995 Cal Ripken Jr aveva giocato la partita consecutiva numero 2131; alla sua rievocazione del giocatore a cui stava strappando il primato, fece eco Joe DiMaggio, presente alle cerimonie quale prestigiosissimo compagno di squadra dell'Iron Horse: "Ovunque si trovi in questo momento Lou Gehrig, sono certo che stia levando il suo cappello a te".
Joltin' Joe c'era anche il 4 luglio 1939, quando al microfono parlava Lou Gehrig; c'era anche Babe Ruth, c'era Joe Mc Carthy, c'erano i vecchi e i nuovi compagni di Lou, una schiera di Yankees leggendari e uno stadio stipato, che ascoltavano un uomo – che andava inesorabilmente incontro alla morte – definirsi "the luckiest man on the face of Earth".

Una striscia di incontri con almeno una valida comincia a notarsi già  a quota 10; quando ci si avvicina a 30 (è passato appena un mese) tutti i media ne parlano, sebbene la corsa al record di Joe DiMaggio sia appena a metà  strada.
Il 30 maggio 1982, durante il lungo regno di Earl Weaver quale manager di Baltimore, Ripken esordì in terza base contro i Blue Jays.
Al 10 aprile 1985 non aveva ancora saltato un inning: tre anni e 444 partite, ma l'idea di una corsa al record non era ancora affiorata nella testa di nessuno; quel giorno, su un pick off al terzo inning, Cal si procurò una distorsione al ginocchio sinistro.
Finì l'incontro, si riposò l'indomani nell'esibizione contro l'Accademia Navale, e rientrò nel lineup nell'imminente serie con Toronto.
Sarebbero passati altri otto anni prima che un infortunio a seguito di una rissa contro i Mariners diventasse affare di stato.
The Streak era a 1790, a un paio d'anni di distanza da Gehrig; Ripken terminò il match, ma durante la notte il suo ginocchio si gonfiò; l'indomani decise di giocare solo dopo essere riuscito ad eseguire tutto il prepartita.

Si dice che un esame radiografico rivelò 17 fratture in vari punti della mano di Lou Gehrig, che incurante del dolore non si era mai posto il problema di farsi visitare, tanto meno di lasciare il campo.
In alcune occasioni, per la verità , il capitano degli Yankees chiese qualche ripresa di riposo, quando l'esito dell'incontro non era in discussione.
Dal canto suo, invece, Ripken ha giocato oltre il 99% degli inning disponibili durante The Streak; dal giorno d'esordio ha anche inanellato più di 8000 inning senza sosta finchè, in un incontro che gli Orioles perdevano per 18-2, fu richiamato in panchina dal manager, tale Cal Ripken Sr.
Lou avrebbe dovuto interrompere la serie di partite consecutive a un certo punto, ma era troppo orgoglioso del proprio primato; per questo motivo leggete, nelle statistiche della sua carriera, un incontro disputato da interbase.
In realtà  il mancino non si posizionò mai in difesa tra i cuscini di seconda e terza.
Semplicemente, un giorno in cui era assalito da un terribile mal di schiena, fu schierato come lead off (gli Yankees erano in trasferta) e sostituito immediatamente dopo il turno di battuta - il cui esito, peraltro, fu un singolo.

Interbase, come Ripken.
Avevamo lasciato Cal in terza il giorno del proprio esordio, e lì doveva stare secondo i piani dell'organizzazione di Baltimore: nelle minore stava fiorendo Bob Bonner e il ruolo di shortstop doveva essere suo per gli anni a venire.
In terza doveva rimanere anche per rispetto della storia secolare del baseball: non si era infatti mai visto un interbase di un metro e novanta e della stazza di Ripken.
Earl Weaver decise diversamente.
Earl Weaver era stanco di aspettare l'esplosione di Bonner.
A Earl Weaver non importava un fico secco della tradizione quando intravedeva la possibilità  di vincere qualche partita in più con scelte non convenzionali.

Come si diventa Cal Ripken?

Mr. Cal Ripken Sr. ha trascorso una vita nell'organizzazione Orioles, in qualità  di coach e manager a vari livelli; Cal Jr. saliva in macchina per godere di 20 minuti con papà , mentre questi raggiungeva il campo di Elmira o Rochester.
Una volta allo stadio, sempre per essere vicino al padre, il dodicenne raccoglieva groundball accanto a futuri Major Leaguer.
Il giorno in cui si tenne il draft 1978, in pochi pensavano che aver respirato tanto baseball avesse fatto di Ripken un prospetto di cui tener conto: sei interbasi furono scelti prima di lui.

Nel corso della propria carriera Ripken non solo ha giocato praticamente ogni partita e ogni inning; nessuno ricorda di averlo mai visto saltare la preparazione pre-gara: quando iniziava il batting practice, Cal era già  piazzato nella propria posizione a raccogliere rimbalzanti provenienti dalle mazze dei compagni nel cage o dal fungo di qualche coach.
Alle sedute catcher-pitcher in cui la batteria concordava come affrontare ogni battitore dell'imminente match era sempre presente un terzo Oriole, pronto a raccogliere qualsiasi informazione utile per decidere se piazzarsi un passo più vicino alla seconda base sul conto di due strike, al settimo inning, con il clean-up avversario nel box.
Accanto alla propria abitazione, Ripken ha fatto costruire una palestra, dotata di un tunnel di battuta dove eliminava le imprecisioni che di tanto in tanto si insinuano nello swing di qualsiasi battitore, e di un campo da basket, con cui si teneva in forma durante l'inverno al ritmo di cinque incontri la settimana.

Un giorno del 1996, un rookie dei New York Yankees stazionava nel dug out ospite ancora vuoto a Camden Yards.
Gli Orioles erano in campo e Ripken, la cui striscia era ormai oltre quella di Gehrig, aveva già  raccolto un centinaio di groundball.
"Ecco come si diventa Cal Ripken" disse il giovane Derek Jeter a Joe Torre.

Il salvatore del baseball

Le Major Leagues hanno attualmente una striscia aperta di tre stagioni consecutive con il record di pubblico negli stadi: anche qui c'è lo zampino di Ripken, sebbene non giochi più a baseball da cinque stagioni.
Se siete appassionati recenti dell'Old Ballgame e non avete idea di cosa sia accaduto tra la fine del 1994 e l'inizio del 1995, potete scoprirlo andandovi a leggere qualche numero - nel baseball c'è sempre un numero che ci racconta una storia.
No, i 43 home-run di Matt Williams, leader in National League, e i 40 di Ken Giffey jr, primo in American, non ci sono di particolare aiuto: sono esattamente in linea con i primati degli anni precedenti.
Il numero strano è 112, gli incontri disputati da Cal Ripken nel 1994; a questo punto potete sfogliare l'albo d'oro e leggere, in corrispondenza di quell'anno, che le World Series non si sono disputate, così come le partite che mancano a Ripken per smarcare al suo consueto 162.

L'11 agosto 1994 la guerra tra giocatori e proprietari per il rinnovo del contratto collettivo raggiunse un punto di non ritorno e il baseball si fermò, senza che all'orizzonte si potesse intravedere la data della nuova alba.
Quando giunse la primavera successiva nulla era cambiato e tra i proprietari iniziò a circolare l'idea di dare vita a un campionato riempiendo le formazioni con minor leaguers.
Senza scomodare le implicazioni politiche che avrebbe avuto il rimpiazzo di lavoratori scioperanti, il replacement baseball avrebbe avuto due conseguenze:

– un esterno dei Birmingham Barons, tale Michael Jordan, avrebbe giocato in MLB con i Chicago White Sox;
– The Streak avrebbe avuto termine.

Dal sindacato dei giocatori, nella persona di Todd Jones, uscì persino la possibilità  di una dispensa per Ripken, che sarebbe stato autorizzato dai colleghi a giocare tra i minor leaguer per preservare la rincorsa al proprio record; Cal dichiarò di non volerne sapere di fare il crumiro approvato.
Il Replacement Baseball non entrò mai in azione; si trovò un accordo, si affrettò uno spring training tardivo e ridotto, e tutto riprese come prima.

Non proprio come prima.
I fans erano stati traditi e non volevano saperne di ripopolare le tribune: perché appassionarsi a una corsa ai playoff se in qualsiasi momento il sipario poteva chiudersi per i capricci di una fazione sulla spartizione di una torta di cui il pubblico stesso era un ingrediente principale?
L'interesse per il baseball andava verso i minimi storici finché, sul finire dell'estate, 2130 fu in vista.
Lo scandalo delle World Series vendute dai White Sox nel 1919 aveva avuto bisogno degli homerun di Babe Ruth perché la gente si reinnamorasse del baseball.
Nel 1995 servivano Cal Ripken e The Streak.
Il record di Cal non era messo insieme accumulando numeri che, incidentalmente, a fine stagione fanno lievitare il proprio contratto; era, al contrario, il prodotto del semplice desiderio di giocare.
Man mano che 2130 si avvicinava e che le interviste si addensavano e si facevano ripetitive, alla domanda ricorsiva "perché lo fai", Ripken ribatteva con costanza "perché, se tu potessi giocare a baseball ogni giorno, non lo faresti?".
C'era ancora qualcuno che giocava a baseball per il piacere di farlo, e i tifosi si riavvicinarono ai diamanti, cominciando dagli stadi in cui di scena erano gli Orioles.

La fine di The Streak

Come ogni cosa, anche The Streak, prima o poi, doveva raggiungere una conclusione.
Alcuni giornalisti avevano lanciato la proposta di interromperla prima di quota 2130, in omaggio a Lou Gehrig.
In qualche momento gli uomini della stampa erano stati molto meno romantici, sostenendo, ad esempio nel 1990, che la stagione sottotono del numero 8, stava danneggiando la formazione di Baltimore.
In quella particolare occasione Ripken rispose con un 1991 che gli valse il trofeo quale MVP e che, nelle scorse settimane, è stata valutata dagli analisti di Baseball Prospectus la seconda prestazione individuale della storia, alle spalle dell'estate da 60 HR di Babe Ruth.

The Babe, compagno di Lou Gehrig, salvatore del baseball negli anni '20, re dei fuoricampo.
Nel 1998, quando gli occhi della nazione erano puntati sul duello a suon di homerun tra Sosa e McGwire, Ripken decise che era giunto il giorno i prendersi un meritato riposo.
Il momento era perfetto, l'America era nuovamente innamorata del suo gioco, e a Camden Yards erano ospiti i New York Yankees.
La catena di incontri consecutivi inanellata dalla bandiera di Baltimore si è conclusa a 2632; questo numero non è ancora impiantato nella storia, e forse lo diventerà  soltanto quando sarà  avvicinato da qualche nuovo Iron Man.
I numeri che raccontano Cal Ripken Jr sono, per ora, 2130 e 2131.

A me quelle due quantità  ricordano una videocassetta estratta dal mio zaino del liceo e inserita nel videoregistratore, e 23 minuti di standing ovation per un uomo che non aveva saltato una partita da quando andavo all'asilo.
Oggi ho avuto l'onore di celebrare quel campione e, pertanto, tocca a me considerarmi il più fortunato sulla faccia della terra.

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