Focus: Monta Ellis

Monta Ellis, uno dei più letali attaccanti dell'intera NBA

Monta Ellis, alla Lanier High School, nel suo ultimo anno viaggiava a più di trentotto punti a gara. Ora, al primo lustro di Golden State Warriors, sta frantumando i venticinque di media: è alla miglior stagione del quinquennio, sebbene rimanga, su di lui, ancora qualche incertezza.

I dubbi sono dovuti in massima parte alla disabitudine a vedere Ellis su questi standard, tanto che ci si chiede a gran voce se non si tratti soltanto di una stagione sopra le righe, e nulla più. Ad ogni modo, attenendosi al 2009-'10, è senz'altro tra i Most Improved Players, a prescindere da chi riceverà  il riconoscimento in questione.

Ora, c'è una particolarità  non da poco: Ellis si è già  visto assegnare il prestigioso premio, in concomitanza con le cifre che mise assieme nel proprio anno da sophmore, il 2006-'07. Con un minutaggio raddoppiato (da 18 a 34 giri di lancette), passò da 6.8 a 16.5 ppg, crebbe in rimbalzi e stoppate, raddoppiò ampiamente gli assist, triplicò i recuperi. I maligni, pur con qualche valido motivo, pronosticavano la vittoria di Kevin Martin.

Ma è la natura stessa del M.I.P. a precludere un bis al giocatore: si suppone, in effetti, che un atleta, già  celebrato per la crescita del proprio rendimento, non possa ripetere il successo già  ottenuto. A parte eclatanti casi di crescite esponenziali, dipanate per giunta in anni consecutivi (Nowitzki o Garnett, tanto per dire), sarà  bene fare caso a quanto Ellis abbia accresciuto il proprio bottino nella stagione in corso.

Nel 2008 sforò al di sopra del ventello, stabilizzandosi a 20.2 ppg; nel 2009, complici le sole 25 presenze effettive, era pressoché stabile a quota 19. A circa venti partite dal termine della regular season 2010, il nostro viaggia a 25.7, career-high pari al sesto posto assoluto tra i marcatori NBA.

Passando in rassegna i percorsi di alcuni giocatori che ebbero anni di grazia, tornano alla mente alcuni exploit realizzativi. Sono paragoni talvolta tra ruoli diversi, ma si badi soltanto al fattore dei punti a referto: sono pensati in chiave "classifica marcatori".

Sono nomi quasi presi a caso, rispetto ai quali sarà  opportuno distinguere le peculiarità  di Monta. Ma chi abbia dubbi sulla futura costanza di rendimento dell'atleta, pensi a loro.

Si potrà  ricordare il luminoso biennio di Jerry Stackhouse a Detroit.
Le medie carriera sono stabili a circa 18 ppg, anche ora che parte dalla panchina dei Bucks e segna non più di quattro canestri a sera.

Ai Pistons si verificò un climax ascendente: dapprima passò dai 14,5 ppg del 1999 ai 23,9 del 2000. Infine, nel 2001, salì a 29,8 ppg. Considerando le pur ottime cifre che ebbe ai Wizards, in cui rimase uno dei penetratori d'area più letali, quel momento coincise con il massimo splendore di Stack.

Xavier Mc Daniel, un esempio "storico" degli anni '80-'90.
Cinque annate oltre il ventello a Seattle, con l'apice nell'anno da sophmore, in cui arrivò a 23 netti. Dopo i Supersonics, sette campionati decisamente al di sotto delle qualità  mostrate agli esordi: carriera da 15,6 ppg, ma condotta in parabola decisamente discendente o quantomeno altalenante.

Larry Hughes, come terzo ed ultimo metro di paragone.
Un incostante per antonomasia, un "non-voluto" dalle ultime franchigie in cui è stato spedito: i primi Cavs di James, i derelitti Knicks (che in James non hanno mai smesso di sperare), i Bulls e, non ultimi, i Sacramento Kings di quest'anno, che l'hanno raccattato per poi tagliarlo all'istante.

Eppure, ha fatto registrare alcuni picchi per effetto dei quali poteva tranquillamente essere annoverato entro la cerchia dei migliori top-scorers. Nel passaggio da Phila (dove era chiuso da un tale in maglia numero 3 – si pensi che anche Stackhouse è un ex 76ers) ai Golden State Warriors, si espresse per metà  stagione a 22,7 ppg.

Era il 2000: per rivederlo ancora sopra i 20, bisogna andare al 2005, quando in maglia Wizards ne mise 22 a sera, proprio nell'anno in cui il suo compagno Stackhouse si spostò a Dallas in cambio, sostanzialmente, di Antawn Jamison.

Tuttavia il caso di Ellis sembra ben diverso, o comunque non si tratta di una mera questione realizzativa. In due parole, la questione è la seguente: è tutta farina del suo sacco, o solo l'ennesimo beneficiato del sistema Nelson?

La risposta risiede, come quasi sempre avviene, nel mezzo: Ellis è di certo a proprio agio nel meccanismo di gioco in cui è coinvolto, di cui è in sostanza la punta di diamante e beneficiario principale; non è, evidentemente, neppure il primo degli incapaci.

Si potrà  certo discutere della vera efficacia di questa macchina da punti, se essa sia realmente determinante o sia destinata a rimanere isolata negli almanacchi, se sia accostabile in una qualche misura a squadre da titolo, se non da Play Off. Ma a parte un'altra certezza, ovvero il fatto che, per avere 25 punti a partita, sono necessari di norma quaranta minuti, Monta Ellis è anche qualcos'altro.

Attualmente, figura tra i primi cinque in ben due delle maggiori graduatorie.
La prima è senza dubbio una nota non lieta, ma strettamente connessa all'elevato impiego del numero 8. E' il numero uno della Lega in palle perse (4,2 a partita), persino davanti a Nash, Durant, James e Howard.

La seconda classifica ha un certo peso in fatto di difesa. Non solo i Warriors sono il team con più recuperi all'attivo, ma, di questi, Ellis è il migliore, con più di due palle rubate di media. E' secondo assoluto, preceduto dal solo Rajon Rondo, ma davanti a Kidd, Stephen Jackson e Iguodala.

Ne consegue un quarantaseiesimo posto nel rapporto recuperi / palle perse: se nei prossimi anni riuscirà  a migliorare questo dato, per Ellis non ci saranno problemi di impiego, né di longevità  cestistica.

Ci sono, poi, altri elementi esclusivamente "quantitativi".
E' tra i primi cinque nei tiri dal campo, sia in quelli tentati che in quelli realizzati; è tra i primi venti ai tiri liberi totali; è tra i primi trenta alla voce "efficiency".

Ma trascurando il secondo posto nel minutaggio, il sedicesimo posto negli assist è un piazzamento del tutto onorevole. Quindi Ellis segna, fa segnare, recupera palloni. E, inoltre, il mediocre 33% dalla lunga è compensato da ottime percentuali da 2 (46% quest'anno, 48 % in carriera).

Per queste ragioni, che sono decisamente più positive che negative, Monta Ellis è sia l'uomo-franchigia di Golden State, sia uno dei giocatori che farebbero più gola al resto delle squadre NBA.

Una grande e suggestiva sfida sarebbe quella di vederlo all'interno di un roster vincente, magari da post-season, che Ellis ha visto in una sola occasione.

Era il 2007, e l'allora Most Improved Player fu un mezzo disastro: giocò per poco più di venti minuti a sfida, ben al di sotto dell'impiego avuto in regular, collezionando la miseria di 8 ppg, l'esatta metà  delle statistiche dell'intera stagione. A dimostrazione del fatto che il vero miglioramento doveva ancora verificarsi, tirò con il 39% da 2 e con un vergognoso 11% dall'arco.

Dunque, ancor più suggestivo, sarebbe vedere Ellis ai Playoff con Golden State, posto che ha sempre e soltanto militato nella franchigia di Oakland. Sarebbe, anzi, sacrosanto aspettarsi una ricostruzione dei Warriors imperniata su di lui.

Allo stato attuale coach Nelson ha ben poco di cui compiacersi, visto il pessimo record di 17-46, per una percentuale di vittorie che non arriva al 30%.

In un ipotetico futuro, accanto ad Ellis, sono da "salvare" giusto Corey Maggette (un quinto-sesto uomo ideale), Kelenna Azubuike (con il cui infortunio Golden State ha perso un contributo fondamentale), e i due giovani Stephen Curry ed Anthony Morrow.

Potremmo menzionare il Marcin Gortat della situazione, alias Anthony Tolliver, ma non ha troppo senso a fronte dei nomi appena citati. Resta, poi, l'incognita Biedrins. Nel caso contrario, di una cessione ad una grande, sarà  da vedere come il nostro riuscirà  ad essere non tanto "centrale", quanto "complementare". Ed è questo il principale interrogativo: ne sarebbe in grado, Monta Ellis?

Per ora, limitandoci semplicemente al concetto per cui unusquisque faber fortunae suae, tutto è nelle mani del giocatore. Per un roseo prosieguo non dovrebbe avere grossi problemi, mentre per una carriera di vertice c'è qualcosa che ancora andrebbe perfezionato.

Ma poiché è la riconferma, notoriamente, l'impresa più ardua, sarà  interessantissimo vedere come Ellis tenterà  di mantenersi a questi livelli. A patto che riesca a moderarsi nei turnovers, e acquisisca costanza nelle triple…

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