Cinque stelle cadenti nel firmamento NBA

Rivedremo ancora Allen Iverson su un campo NBA?

Qualche tempo fa abbiamo parlato di cinque giocatori che si sono particolarmente distinti nella prima metà  di stagione. Cinque belle storie di altrettanti atleti in ascesa, che stanno facendo parlare di loro quest'anno e che promettono di rimanere protagonisti anche per gli anni a venire.

Non sempre le cose vanno bene, però, e a fronte di piacevoli sorprese spesso ci sono delle delusioni. L'età  che avanza, gli infortuni, le troppe pressioni, i limiti tecnici sono tutti motivi che possono portare un giocatore di basket (e un atleta in generale) a rendere al di sotto delle aspettative.

Anche stavolta abbiamo scelto cinque protagonisti dal vasto panorama della Lega di David Stern. Pronti? Si parte col botto…

Allen Iverson

Il suo ritorno a Philadelphia, la città  che fin dal 1996 lo ha adottato con un affetto senza eguali, è una delle storie più belle di questa stagione NBA. Allen I è tornato nel luogo che lo ha visto nascere, crescere ed affermarsi come giocatore professionista, se non altro per mancanza di alternative.

Facciamo un breve passo indietro: dopo un'estate passata nel mercato free agent a cercare una squadra che puntasse su di lui, il nostro approdò a Memphis. "E' Dio che ha scelto questo destino per me", fu l'esordio del numero 3 non appena sbarcato in Tennessee. Iverson si dimostrò subito pieno di buone intenzioni e voglioso di portare la sua nuova franchigia ai vertici della Lega.

In realtà , nessuno credeva ad una grande stagione dei Grizzlies. Un giocatore da solo non può cambiare così radicalmente il volto di una squadra, tantomeno "The Answer", che per quanto generoso ha pur sempre 34 anni suonati, di cui 13 spesi in giro per le arene americane a dare spettacolo.

Lui continua ad essere convinto delle sue doti, al punto di dire che l'ultima stagione disputata con la maglia dei Detroit Pistons non era stata affatto negativa a livello personale. "Tutti mi criticano, ma se vado a vedere le mie statistiche ho segnato 17 punti e distribuito 5 assist a partita: non mi sembra di aver fatto male". Eh sì, caro Allen, peccato che solo l'anno prima (2007-2008 con Denver) i punti di media erano 26 e gli assist 7…

Senza contare che la trade che ha visto Detroit acquisirlo in cambio di Billups verrà  ricordata come una delle più sbilanciate, naturalmente a favore di Denver. I Pistons da squadra approdata in finale di Conference si trasformarono in un team discreto e nulla più, mentre i Nuggets fecero il percorso inverso. Da squadra eliminata l'anno prima al primo turno, arrivarono ad impensierire i futuri campioni dei Lakers, arrivando ad un passo dalle Finals.

Insomma, il modo di giocare di Iverson non è cambiato nel corso degli anni e questo non è un bene. Lui è ancora convinto di essere un formidabile realizzatore e un uomo-franchigia, quando la realtà  dei fatti dice che le cose non stanno più così.

Rimane un giocatore dal talento incredibile, ma anche un grande accentratore, che non si è voluto "abbassare" a fare il sesto uomo a Memphis quando era chiaro che quello sarebbe stato il ruolo più adatto a lui. La sua parabola è in discesa, ed è inevitabile vista l'età .

Ora, dopo solo 25 partite giocate senza incidere più di tanto nella città  dell'amore fraterno, ennesimi problemi personali, un nuovo addio, forse l'ultimo alla pallacanestro giocata.

Richard Jefferson

Gli Spurs, grandi protagonisti dell'ultimo decennio NBA con 4 anelli in bacheca (1999, 2003, 2005, 2007), sono in crisi. Dopo il titolo del 2007 qualcosa sembrava essersi rotto in Texas, ma il front office ha comunque continuato a puntare su quel nucleo di giocatori che tanto bene aveva fatto nelle scorse stagioni.

Risultato? Eliminazione netta in finale di Conference contro i Lakers nel 2008 e clamorosa uscita al primo turno nel 2009, per mano dei Dallas Mavericks. Dopo queste due cocenti delusioni, arrivò la decisione: serviva qualcuno da affiancare a Tony Parker, Manu Ginobili e Tim Duncan, e questo qualcuno venne identificato in Richard Jefferson, acquistato dai New Jersey Nets in cambio praticamente di nulla (Bowen, Oberto e Thomas, tutti atleti sul viale del tramonto).

Jefferson, in un ideale "gioco delle figurine", sembrava un ottimo innesto. Realizzatore completo, capace di penetrare o di tirare da fuori con buone percentuali, difensore sopra la media e nel pieno della maturità  cestistica…insomma, il classico giocatore bravo a far tutto, senza eccellere in nulla.

Fin qui abbiamo parlato della teoria. Da quello che si è visto sul campo, invece, notiamo un giocatore che con il sistema di coach Popovic non c'entra molto. Innanzitutto gli Spurs con lui hanno perso molto nella propria metà  campo, ma questo era prevedibile.

Il problema è che il ragazzo di Arizona non risulta incisivo neanche nella metà  campo avversaria, che dovrebbe essere il suo territorio di caccia. L'impressione che si ha è quella di un ottimo elemento messo in un contesto che non gli appartiene.

A fianco dei vari Duncan, Parker, Ginobili, McDyess e via dicendo risulta sicuramente più utile un giocatore come Bowen, il quale sapeva fare solo due cose ma le sapeva fare estremamente bene e, soprattutto, erano le due cose che più servivano alla sua squadra: tiro da 3 e difesa.

Jefferson sa fare altre cose, ma in squadra c'è già  chi le fa al posto suo. Se c'è da tagliare la difesa come il burro ecco Parker e Ginobili, mentre l'ex ala piccola dei Nets viene utilizzato più che altro come tiratore e raramente gli viene lasciata la possibilità  di esprimersi. Non viene innescato a dovere e di conseguenza il suo rendimento è discontinuo.

Staremo a vedere come si evolverà  la stagione di questo ragazzo, che è arrivato in una grande squadra a 29 anni ma non sembra poter dare ai suoi compagni ciò di cui loro hanno bisogno per tornare a vincere.

Hedo Turkoglu

Per il turco vale più o meno lo stesso discorso fatto per Jefferson.
Dopo aver firmato un ricco contratto con i Raptors, Turkoglu portava in dote alla squadra la sua esperienza e la sua tecnica. Tutto bene, se non fosse per il fatto che nel quintetto dei canadesi questo giocatore c'entra poco e niente.

Cosa se ne fa di un difensore mediocre una squadra che ha bisogno di un maggiore apporto difensivo? Nulla. Certo, avere in ala piccola un giocatore capace di creare gioco come pochi altri pari-ruolo è importante, e in regular season la mossa può anche dare i suoi frutti, ma come si alza l'intensità  la convivenza di questi attaccanti formidabili può risultare dannosa.

Tra Calderon, Bosh, Bargnani e via discorrendo il talento offensivo non manca di certo alla squadra allenata da Jay Triano, e sarebbe stato più saggio prendere un giocatore con meno qualità  ma più quantità , capace di dare un contributo sostanzioso in difesa.

Turkoglu, invece, rischia di essere un'illusione: l'illusione che basti aggiungere fonti di gioco su fonti di gioco ad una squadra per rendere quest'ultima vincente. Non è così, e questa prima metà  di stagione lo dimostra. Il turco, peraltro, non sta incantando per percentuali al tiro (40%, risultato minimo in carriera), e se attorno non gli viene affiancata gente che sappia difendere rischiamo di trovarci di fronte all'ennesimo uomo giusto nel posto sbagliato.

A Toronto sembrano averlo capito, vista la fiducia che sta ricevendo gente come Jarrett Jack e DeMar DeRozan che, pur essendo inferiori come attaccanti ad altri pari-ruolo presenti nel roster (Calderon e Belinelli, per esempio), sono disposti a mettere più energia in difesa, risultando utili alla causa.

Marcin Gortat

Indicato come una delle sorprese più liete della scorsa stagione, il centro polacco sembrava all'inizio di una buona carriera NBA. Malgrado il suo essere la prima riserva del miglior centro d'America (Dwight Howard), Gortat era riuscito a convincere in quei pochi minuti a sua disposizione.

Le sue caratteristiche?
Gioco offensivo essenziale, grande fisicità  ed applicazione in difesa, ottimo rimbalzista. Gli mancava soltanto una squadra che credesse un po' di più nelle sue qualità .

Intendiamoci, non che coach Stan Van Gundy non lo apprezzi…semplicemente, nel roster ci sono giocatori migliori di lui. Alla forza, alla difesa e alla leadership di Howard non si può rinunciare, mentre la posizione di ala grande, teoricamente alla portata del giocatore polacco, è già  occupata da un ottimo Rashard Lewis, il quale ha il pregio di saper allargare il campo come pochi altri lunghi col suo gioco perimetrale.

La scorsa estate i Dallas Mavericks bussarono alla porta del giocatore per metterlo sotto contratto, offrendogli 35 milioni in 5 anni. Le valigie erano già  pronte, così come il biglietto aereo sola andata per Dallas, ma il front office dei Magic decise di pareggiare l'offerta. Da quel momento Gortat si è sentito come in gabbia, e invece di esplodere si è dovuto accontentare di 12 minuti a partita.

Le sue cifre parlano di 3.5 punti e 3.8 rimbalzi a partita, ma ciò che più colpisce è il fatto che, anche nelle rare occasioni in cui gli viene concesso un minutaggio superiore ai 20 minuti, questo centro 25enne non riesca ad incantare.

In una Lega in cui i centri puri come lui mancano, Gortat appare come il giocatore giusto nella squadra sbagliata…in attesa di poter dimostrare il proprio valore altrove.

Kevin Garnett

Ai giornalisti che gli domandarono quali fossero le sue condizioni fisiche al rientro dall'ultimo infortunio, Kevin Garnett rispose: Mi sento bene. Non sono ancora al massimo delle mie possibilità , ma sono certo di poter tornare a dare il mio contributo. Gli infortuni che ho subito nel recente passato non mi impediranno di tornare ad essere il giocatore che ero prima.

KG ci scuserà  se ci permettiamo di dubitare delle sue parole.
Da buon leader emotivo della sua squadra, il numero 5 dei Boston Celtics fa bene ad essere ottimista sul suo futuro, anche per dare la carica ad un gruppo che sta vivendo un momento di difficoltà .

Ma la realtà  non è quella da lui descritta. La gamba destra non ha più la mobilità  pre-infortunio, e quell'incredibile atleta che abbiamo potuto apprezzare nelle scorse stagioni difficilmente ritornerà . D'altronde, parliamo di un giocatore che calca i parquet di tutta l'America da 15 anni e a maggio le primavere saranno 34.

In attacco KG si accontenta sempre di più del suo tiro dalla media e cerca sempre di meno l'affondo o più in generale le giocate in cui viene richiesto l'uso del corpo. Le cifre parlano di un buon 54% dal campo per 14.5 punti a partita, non male se consideriamo il fatto di dover spartirsi i tiri con gente del calibro di Rondo, Allen e Pierce.

E' in difesa che manca l'apporto di quel giocatore che, grazie alla sua determinazione e ad un fisico portentoso, riuscì a vincere il premio come miglior difensore nel 2008. Il problema sta solo nelle gambe, le quali non riescono più a seguire tutto ciò che dice loro la testa.

Tutto questo porta ad un ritardo nelle marcature, ad un numero inferiore di rimbalzi e stoppate, e più in generale ad una maggiore vulnerabilità  dell'intera squadra. Se è il leader del sistema difensivo a perdere colpi per primo, difficilmente i compagni possono acquistare fiducia…e questo sembra il maggior problema di Boston, finora.

Riuscirà  KG a ritrovare sé stesso?
Dalla risposta a questa domanda dipendono le fortune della sua squadra e l'esito della stagione.

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