Joakim Noah: buon sangue non mente…
"My game is made outside": così, citando lo slogan di una famosa pubblicità , Joakim Noah definisce il suo stile di gioco, pieno di energia e di continui movimenti sul campo da basket.
Nei playground a nord di NYC, l'anno prima della vittoria del titolo in NCAA, gli venne affibbiato il soprannome di "The Noble One", da AG, la voce di Harlem, dovuto alla notorietà di suo padre. Da queste poche parole si può già cercare di interpretare uno dei giocatori più eclettici e freak dell'intera NBA.
La sua storia è nota ed arcinota: figlio del grande tennista Yannick e di una top model svedese, Cecilia Rhode, molto in voga negli anni '80, nasce e cresce nella Big Apple per decisione dei genitori, in particolare della madre, che vuole mantenere i suoi due figli lontani dalla fama e dalle attenzioni dei media, come sicuramente sarebbe accaduto in Francia.
Frequenta la Lawrenceville HS a Princeton, liceo di primissimo livello nel panorama statunitense, per poi approdare a Gainsville, nella sede della University of Florida. Con i Gators vince due volte il titolo NCAA, alzando anche il trofeo di MVP delle Final Four nel 2006. Proprio questi sono i momenti più importanti della sua vita cestistica, in cui cresce per prima cosa come uomo e poi anche come giocatore.
In un'intervista rilasciata alla Rivista Ufficiale NBA ricorda così quel periodo: "Il miglior momento della mia vita cestistica. Lavori così tanto per ottenere qualcosa, dando tutto quello che hai dentro" Quando vinci, non c'è sensazione migliore mi sembrava di essere in cima al mondo"
La decisione da parte sua e dei suoi compagni di squadra di rimanere un'altra stagione al college gli ha permesso di far parte di una delle squadre universitarie più forti e vincenti di sempre, consentendogli nel nel 2007 di essere scelto con la nona chiamata assoluta al draft dai Chicago Bulls, che ne vogliono fare il centro del futuro.
Durante il primo anno, nonostante sia un rookie, il ragazzo fa subito capire di avere un carattere tutt'altro che fragile, con alcuni episodi che lo metteranno in pessima luce agli occhi dei compagni: infatti durante un allenamento, nel gennaio 2008 litiga con un assistent coach, Ron Adams, per questioni tattiche. I compagni, come forse mai accaduto prima nella storia del gioco, lo ostracizzano, sospendendolo per due partite.
Al suo ritorno in quel di Orlando, dimostra di non aver paura nell'affrontare anche grandi veterani NBA come Ben Wallace e Joe Smith, colpevoli secondo il nostro Joakim di ridere a bordo campo, non osservando la partita con la dovuta attenzione. In spogliatoio i conti con Wallace vengono regolati "alla vecchia maniera", con il povero Deng a cercare di portare la pace tra i contendenti.
Infine, nel maggio dello stesso anno, la polizia lo ferma vicino alla sede della sua vecchia università , trovandogli addosso marjuana ed una bottiglia di superalcolici. A sua detta, questi episodi hanno avuto un ruolo rilevante nella sua maturazione.
Durante la scorsa stagione, trova infine il feeling con un allenatore attento alle esigenze dei suoi uomini, quel Vinnie Del Negro che di certo non verrà ricordato nella Lega come un mago di tattiche e schemi (forse, semplicemente, non verrà ricordato affatto), ma sicuramente un ottimo motivatore, un cosiddetto player coach, in grado di stabilire un rapporto particolare con ogni singolo giocatore del roster e toccare i tasti giusti per stimolarne il talento.
Sotto l'egida di Del Negro, Noah è riuscito finalmente ad esprimere il suo potenziale, mostrando un vastissimo bagaglio tecnico in difesa e sotto le plance. Le caratteristiche principali del francese sono una propensione a rimbalzo fuori dal comune, un vero e proprio tornado in grado di mettere sempre il proprio corpo addosso all'avversario tagliandolo fuori, ed una capacità di trovarsi sempre nella posizione adatta, sapendo anticipatamente dove cadrà il pallone.
Negli scorsi PO, si è scontrato contro un altro animale da rimbalzo come Kendrick Perkins: il duello ha innescato molte scintille tra i due, ma Noah deve ritenersi più che soddisfatto del lavoro svolto, avendo chiuso la serie, poi persa a gara -7, con un'incredibile doppia doppia di media da 10,1 ppg e 13,1 rpg.
Per stile di gioco e carattere, vista anche la maglia che indossa, non può che ricordare uno dei suoi predecessori in quel ruolo, quel Dennis Rodman che tanto fece sognare i tifosi di Chicago. Con Dennis ha anche in comune una buona visione di gioco sia dal post alto che basso; ciò gli permette di scrivere a referto 2,1 assist ogni volta che scende in campo in quest'annata.
Cattura la bellezza di 3,8 rimbalzi d'attacco, dai quali arriva la maggior parte dei suoi punti; la fase offensiva è infatti attualmente una delle note dolenti del suo gioco, essendo totalmente privo di un gioco in post-basso e di un tiro frontale affidabile. La meccanica di tiro è a dir poco spaventosa: prima del rilascio, scrive una S nell'aria con le braccia, per poi lasciar partire la palla troppo in basso, in linea con il petto.
Sicuramente di giocatori così energici ed attivi ne esistono ben pochi nella Lega, dovrà però lavorare intensamente sulla costruzione di un movimento offensivo credibile, così da attirare quante più attenzioni possibili sotto le plance.
In difesa, a parere mio, è sopravvalutato: certo ha un buon movimento di gambe ed il tasso di attività è notevole, scarseggia un po' in tecnica individuale, fondamentale in cui il suo ex-compagno di squadra Ben Wallace è (era) un vero maestro. Il sistema difensivo dei Bulls è però, in generale, di buon livello, il che gli permette di coprire le numerose sbavature che compie nell'1v1.
Attualmente è ai box per una fascite plantare, dovrebbe però rientrare entro un breve periodo. Le sue cifre in stagione sono di tutto rispetto; viaggia infatti in doppia doppia di media con 11,2 punti e 12 rimbalzi, con un incredibile Plus/Minus di +20,37.
Le speranze dei Bulls di approdare ai PO sono affidate nelle mani della loro prima scelta dello scorso anno, Rose e di questo giovane franco-statunitense dal carattere poco malleabile, soprattutto dopo la dipartita di Salmons. Starà a Del Negro cercare di mantenere il gruppo unito, per mostrare di essere un allenatore che vale il posto che ha e creare appeal per i free-agent della prossima estate.