Dopo il leggendario 'The Chosen One' di Lebron James tocca a Telfair la cover di Sports Illustrated
THROUGH THE FIRE
Titolo originale : Through the fire
Anno : 2005
Genere : documentario (ESPN Film)
Regia : Jonathan Hock
Cast : Sebastian Telfair, Jamel Thomas, Ethan Telfair
Sebastian Telfair palleggia sull'asfalto di New York e il suono della palla è la melodia più bella che si possa sentire. Come quella della retina. Swish. Il basket nelle arene ancora lì da venire.
Through the fire racconta l'avventura verso l'alto dell'ultimo prodotto dei playground di New York, Sebastian Telfair alias Bassy, cuginetto di Stephon Marbury. Ne più né di meno è la trasposizione documentaristica del film di Spike Lee He Got Game, che proprio da Starbury trae ispirazione.
Stessa storia, stessa ambientazione, diversi stili registici. Telfair è come Jesus Shuttlesworth, ovvero il talento del liceo con ambizioni NBA nel bel mezzo dell'hype, non solo mediatico. Siamo a Brooklyn, NY, più precisamente a Coney Island.
E' da qui che parte la storia di entrambi. Stesse radici, stesso destino NBA, simile journey attraverso le mille insidie tra il liceo e lo sbarco tra i pro. Sia Steph che Bassy hanno avuto carriere liceali piuttosto pubblicizzate ed è proprio questo periodo di sospensione e di decisioni difficili il soggetto dei due lavori cinematografici.
Oramai la NBA ha imposto ai ragazzi almeno un anno di college prima di andare tra i pro, regola girata alla grande da Brandon Jennings verso Roma, ma questa è un'altra faccenda. Il punto è che le storie come quelle di Bassy e prima in modo diverso di Steph non appartengono più al mondo d'oggi.
Dopo la rivoluzione imposta dal commissioner David Stern un talento promettente non ha più davanti a sé la scelta, a volte drammatica, di dover scegliere tra il college e il salto doppio nella NBA. Questo bivio è stato cancellato e allora niente più Kobe o Lebron, o si va al college o niente. Oddio, come ci ricorda ancora BJ ci sarebbe anche l'estero, ma questa a quanto pare è stata una scelta assolutamente eccezionale e per ora non ha ancora fatto scuola.
Resta il ricordo di un era, con alti e bassi. Lebron era idolatrato già durante il junior year alla St. Vincent - St. Mary e bene disse, mi ricordo tra gli altri Danny Ainge, chi lo considerava già allora uno dei migliori giocatori d'America, NBA players compresi.
Il suo hype fu esagerato, ma col senno di poi assolutamente giustificato. Ci mancherebbe pure. Lebron è allo stesso livello di Michael e Kobe, adesso deve solo vincere un titolo.
Bassy ha avuto più o meno lo stesso livello d'attenzione, un po' meno a essere sinceri, ma non troppo. La sua ID Card è piuttosto chiara. New York City point guard. Basta e avanza. Poi è cugino di Marbury, come detto. Ci voleva anche questo.
Un documentario a lui dedicato è niente a confronto con la messa cantata che aveva intorno da liceale. La ESPN riprende live il suo anno da senior perché il ragazzino è un fenomeno fin dai suoi 15 anni e va seguito passo dopo passo.
Onore a Spike mio regista preferito e al suo capolavoro, ma un documentario fatto bene racconta una storia in una maniera assolutamente fantastica. Quando siamo ad alti livelli la realtà combacia esattamente con la macchina da presa.
Bella la storia, bello il documentario. Anzi, stupenda la storia, stupendo il documentario. Through the fire appartiene a questa categoria.
Dunque, siamo a Coney Island. Si comincia dai projects, come molto spesso quando si tratta di una basketball star. Le enormi palazzine, un pugno in faccia all'estetica e all'urbanistica "razionale" che vorrebbe prevenire i ghetti città -stato, sono proprio dall'altro lato della strada rispetto al playground meglio noto come "Garden", in onore del MSG della Manhattan più a nord ricca e prosperosa.
Sebastian ci racconta la sua vita di sacrifici, ci mostra il mural dell'eroe locale, ci presenta i suoi amici. Ognuno a turno racconta come si vive da queste parti e non facciamo troppa fatica a crederci. Ogni parola è musica, ogni screenshot è un quadro d'arte purissima.
Le scarpe appese ai fili sono forse segnali degli spacciatori che la loro droga è nei paraggi, forse ancora più semplicemente ricordano chi li indossava ai piedi, ora in un carcere o peggio deceduto. Le parole di chi non c'è la fatta è poesia di un realismo che uccide. Ai bordi del playground si racconta la storia che avrebbe dovuto essere e non è stata. I giovani lo ascoltano e prendono nota.
Bassy gioca per la Lincoln HS, e ha già vinto due titoli cittadini per le scuole pubbliche (PSAL). Un suo fratellone è anche assistant coach e fa da mentore e motivatore a tutta la squadra, ovviamente fedele supporting cast per le sue imprese.
Un altro suo fratello è Jamel Thomas, ala piccola, meteora NBA visto anche in Italia. Il suo rapporto fraterno gli tornerà utile non più delle sue abilità in campo. Intanto però è in Grecia ed è costretto ad osservare da lontano le gesta del suo fratellino.
La stagione da senior segue il prevedibile e affascinate percorso parallelo. In campo Bassy porta la sua squadra partita dopo partita fino ai playoff, con giocate entusiasmanti tra grandi assist e anche un game winning shot, rivisto come sigla della ESPN anche in Kobe doin' work. Il documentario esalta le sue qualità forse troppo generosamente. Grande point guard, con tiro che va e viene, ma decisamente spettacolare e con grande visione di gioco.
Binario parallelo. C'è Spike Lee a bordo campo e c'è anche Jay Z. New York City basketball picture, con Jigga che va anche negli spogliatoi e qui onorato come il più grande modello vincente. I soldi, i gioielli e le cosce di Beyoncè è tutto quello che questi ragazzi sognano di avere un giorno anche loro.
Non finisce qui. La copertina per SLAM Magazine con Lebron James e per Sports Illustrated con immancabile sfondo della spiaggia che fu dei Warriors e ancor di più l'immarcescibile Sonny Vaccaro che parla di contratti milionari condiscono il tutto. Se non c'è lui non s'inizia nemmeno a parlare di fenomeni e compagnia varia.
Arriva finalmente il fatidico momento. Che fare ? He got game lo sapete, il personaggio interpretato da Ray Allen, decide di andare al college per salvare le chiappe assassine del padre. Le promesse di ricchezza dell'agente mafioso non hanno avuto la meglio sulle due bionde tettone del campus, anche se il college che ha scelto non è quello.
Bassy invece convoca una bella conferenza stampa. Ha scelto. Colpo di scena. D'improvviso la sua crew mostra ai fotografi l'esito di cotanto soffrire. "Telfair says Louisville" è scritto sulle loro magliette. Il dado è tratto.
Rick Pitino, a proposito di italo-americani più o meno impomatati, già pregusta il suo prossimo sensazionale freshman e lo si vede ringraziarlo per la scelta accurata. Bassy si fa accompagnare da tutta la squadra a visitare il college. Anzi, lui il campus lo ha già visto e spiega agli amici quello che loro non si possono permettere, a meno che non abbiano una borsa di studio per meriti sportivi o tanti e tanti soldi da scialacquare.
Fortunato lui che andrà a vivere qui, penseranno gli altri, servito e riverito come una star. Le sale pulite e ordinate con TV a schermo piatto d'ultima generazione, sala pesi meritoria d'ogni sincera acclamazione e il mitico ping-pong passatempo preferito ad ogni latitudine che impera nella stanza insieme ad un non visto biliardino.
Tutti felici, tutti contenti, il ragazzo andrà da Pitino per risollevargli una carriera mai più gloriosa fin dai tempi di Kentucky. E invece no. Colpo di scena, quello vero.
NBA Draft, "I'm coming". Non ci è dato sapere come il coach abbia reagito. O forse già se l'aspettava. Una point guard newyorchese con quel background non può che fare questa scelta.
Intanto però la stagione liceale va avanti. Prima i playoff e poi il periodo caldissimo della vetrina nazionale. C'è l'incontro con Dwight Howard e i suoi compagni dalla Georgia, c'è Derek Jeter a bordo campo, il simbolo degli Yankees e di quell'hat da indossare ovunque nel mondo come prestigio, stile e autorità .
La Lincoln HS va avanti come un razzo, fino in finale. Madison Square Garden, da Coney Island alla 33rd Street, Manhattan.
Contro la Cardozo HS (Queens) è di nuovo vittoria, la terza consecutiva. Le azioni di Bassy s'impennano. Il draft è l'unico destino possibile ma i dubbi tuttavia della stampa non mancano. Troppo basso, pessimo tiratore, ancor più inetto difensore, eccentrico con la palla in mano oltre ogni misura.
Il McDonald's All American Game è l'occasione più importante per smentire tutti. Bassy si impegna a battere il record degli assist ma nessuno sa a quanto ammonti. Peccato. Intanto fa amicizia con amici e nemici di quell'incontro. Bella combriccola. Tra gli altri, LaMarcus Aldridge, Rajon Rondo, Rudy Gay, Al Jefferson, J.R. Smith, Josh Smith e Dwight Howard, il favorito "for that #1 spot".
Scena cult. Nel pullman della sua selezione domanda agli altri la loro provenienza. Poi non si trattiene e in qualche modo lo dice, alla prima occasione lontano da casa. "I'm from NY, yo from country" e se ne va entrando nel palazzo intonando orgogliosamente "Is Brooklyn in the house, is Brooklyn in the house" featuring Biggie Smalls.
Il draft intanto si avvicina e tocca fare tutta la trafila tra workout e interviste. Si trova il tempo però per un fugace viaggetto in Grecia. Lì gioca Jamel che ha da dargli qualche dritta. Il momento è vicino e non si può fallire. Come ha fatto lui.
Si lavora principalmente sul tiro, difetto suo e della tradizione di cui porta il peso in quanto "the greatest or at least the latest from New York". I tamburi degli ultras incazzati fanno da sfondo sonoro al cordone di polizia intorno al campo durante la gara di campionato. Scena che comunque sia mai avrebbe potuto vedere nei campus d'America e che lui adesso scruta giustamente sorpreso.
Jamel saluta i ragazzini ellenici che vogliono fargli pronunciare correttamente una parola greca. Misero tentativo. Già l'americano medio è tanto Homer Simpson nei confronti del resto del mondo, figuriamoci un ragazzo di New York che sta inculcando il suo fratellino a farcela nella NBA.
Il linguaggio è decisamente un altro. Il contratto con la Reebok gli permette già l'assaggio e forse di più. Via al negozio per comprare l'ultimo Rolex, status simbolo universale di ricchezza, via alle gare one on one tra i ragazzini con in palio l'ultimo modello delle sneaker. Gli stessi ragazzini che pregano per avere la copia ingigantita come poster di Sports Illustrated con Bassy che saltella allegro.
Il draft è arrivato. Il documentario grazie a questo script è anche un po' un thriller, con i colpi che aumentano a poco a poco fino al giorno del giudizio. Il fratellone un po' chiattone parte dai projects di Coney Island con la sua auto e non si fa pregare a gridare ai passanti che finalmente è arrivato il tempo della rivincita. E la rivincita da queste parti è la collana d'oro, i cerchioni luccicanti e il rispetto di tutti.
Direzione Manhattan, ancora una volta. Bassy è al MSG, lui va dritto al 40/40 club di Jay Z, da dove apprenderà con modesta sobrietà l'esito finale.
"With the 13th pick in the 2004 NBA Draft the Portland Trail Blazers select Sebastian Telfair from"" boato della folla. Non resta che aspettare l'eroe, che puntualmente arriva, acclamato come una star.
Qui il documentario si fa commozione autentica, una verità che in un film sarebbe forse pomposità scenica. E' che qui invece fa la differenza, una volta di più.
Il finale è romantico, unica concessione, benemerita però, allo spettacolo. Il fratellone indottrina il prossimo talento del quartiere, un bambino ancora alle elementari. Non c'è età migliore per mettergli in testa non il jump shot né figuriamoci il pick and roll.
L'unica possibilità di uscire vincenti da lì è la voglia di diventare i migliori. Brooklyn finest.
p.s. : il suo record di punti in carriera alla Lincoln HS è stato battuto l'anno scorso da Lance Stepehenson aka Born Ready, oggi freshman a Cincinnati e prossimo allo sbarco nella NBA
p.p.s.: a proposito di Lebron, Bassy è stato appena scambiato ai Cavs. Jay Z ha un altro motivo per tifare Cleveland, prima di portarli magari entrambi a Brooklyn"
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