Chris Bosh è forse al suo ultimo anno a Toronto?
Siamo a gennaio, e la stagione del basket professionistico americano si appresta ad entrare nel vivo. Tutte le squadre hanno giocato almeno 30 partite di stagione regolare e tra certezze, sorprese e delusioni vengono scritte nuove storie.
Storie che riguardano squadre, certo, ma anche singoli giocatori. D'altronde, la NBA è popolata da personaggi che in un modo o nell'altro riescono sempre a far parlare di sé. Noi abbiamo scelto di dedicare particolare attenzione a cinque di loro: scopriamoli insieme!
Vola tedesco, vola!
No, non parliamo di Dirk Nowitzki. Tanto si è parlato del giocatore dei Dallas Mavericks, da anni sulla cresta dell'onda e capace di vincere addirittura il premio di MVP nel 2007 (primo europeo a riuscirci). Meno abituato agli onori delle cronache è Chris Kaman, centro dei Los Angeles Clippers, affermatosi come uno dei migliori esponenti del suo ruolo.
Spesso frenato dagli infortuni negli anni passati, il numero 35 dei Clippers sta finalmente trovando continuità , e oltre a giocare tanto lo fa pure bene. Non è un caso che la sua ottima annata stia coincidendo con dei buoni risultati di squadra, vista l'importanza che ricopre il tedesco nella fase offensiva e in quella difensiva.
Ottimo rimbalzista, passatore accettabile, Kaman è un giocatore che oltre a far valere il proprio fisico (2 metri e 13 per 120 chili) è dotato anche di una buona tecnica. Il suo tiro dalla media è affidabile, così come i movimenti in post basso, che lo rendono uno dei lunghi più completi dell'intera Lega.
Che fosse un buon giocatore si sapeva, ma in questo inizio di stagione ha sorpreso tutti. Sicurezza nei propri mezzi, capacità di giocare per la squadra, rendimento costante e mai messo in discussione dagli infortuni…un giocatore ritrovato, insomma. Le cifre parlano di 20 punti e 9 rimbalzi a partita, ma soprattutto di buone percentuali al tiro (51% dal campo, 75% ai liberi).
Il fatto di essere diventato la seconda opzione offensiva della squadra, dietro al solo Baron Davis, non lo spaventa, e a 27 anni Kaman può dire di essere finalmente maturato. A Los Angeles aspettano con ansia l'esordio della prima scelta assoluta del draft 2009, Blake Griffin, che insieme al tedesco potrà formare una coppia di tutto rispetto.
Sulla eventuale compatibilità tra i due ci sono pochi dubbi: Kaman sotto canestro può giocare in coppia con qualsiasi compagno, figuriamoci con un talento come Griffin. Il tedesco ha già iniziato a volare…fin dove arriverà ?
J-Will insegue un altro titolo
Ormai è ufficiale, la Florida è uno Stato speciale per Jason Williams. Lì si è iscritto all'Università e ha iniziato a conoscere il grande basket, lì ha vinto il suo primo (e finora unico) titolo NBA vestendo la casacca dei Miami Heat, e sempre lì sta disputando una grande stagione.
La differenza sostanziale nei suoi due periodi in Florida sta nella casacca: prima Miami, Shaquille O'Neal e Dwayne Wade, adesso Orlando, Dwight Howard e Vince Carter…entrambi ambienti molto competitivi, e se è vero che gli Heat nel 2006 riuscirono a portare a casa l'anello, anche i Magic hanno pensato che si poteva chiedere aiuto a questo talentuoso playmaker per provare a vincere.
Per spiegare la splendida storia di questo ragazzo occorre fare un breve passo indietro nel tempo. Il 26 settembre 2008, a sorpresa, J-Will decise di ritirarsi dal mondo della pallacanestro. La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno, dato che aveva firmato da poco un contratto con i Los Angeles Clippers. Di lì a qualche mese, spiazzando tutti come è nella sua indole, Williams annunciò la volontà di tornare a giocare.
Tra le offerte arrivategli per la stagione 2009-2010 spiccava quella degli Orlando Magic, vice-campioni della Lega in cerca di un giocatore che potesse aiutarli a compiere quel passo necessario per arrivare al titolo. Entusiasta di poter tornare in Florida, il playmaker soprannominato "White Chocolate" decise di accettare, ponendo la sua firma su un contratto annuale al minimo salariale di 1 milione e 300 mila dollari.
Malgrado i 34 anni, Williams si sta ritagliando uno spazio importante all'interno della sua nuova squadra. Il titolare nel ruolo rimane Jameer Nelson, uno dei giocatori più rappresentativi della franchigia, ma coach Stan Van Gundy gli sta comunque dando fiducia, come testimoniano i 23 minuti giocati a partita.
Da parte sua, il numero 44 dei Magic non sta tradendo le attese. Alterna fasi in cui rallenta i ritmi offensivi a fasi in cui lascia più libertà al suo estro, grazie al quale si esibisce in giocate di tecnica pura.
Tra i suoi compagni ci sono diversi ottimi attaccanti (Howard, Lewis, Carter…) e J-Will cerca di metterli nelle migliori condizioni possibili per andare a segno. Van Gundy apprezza la sua disciplina, e la ripaga dandogli un minutaggio importante.
Oltre alla gestione del ritmo e agli assist, "White Chocolate" si sta facendo notare per una scelta oculata dei tiri: non è un caso se le sue percentuali di questa stagione sono le migliori di sempre, con un 44% dal campo ma soprattutto un 42% da 3. Senza contare l'esperienza che potrà portare da aprile in poi, quando i Magic promettono di essere protagonisti al gran ballo dei play-off…
Dopo essersi ritirato, un anno e mezzo fa, J-Will sentiva di poter dare ancora qualcosa a questo sport e a chi avesse deciso di puntare su di lui. Direi che non aveva torto…
Una stella brilla a Toronto…fino a quando?
I Toronto Raptors, ad oggi, sono una squadra piena di buoni giocatori assemblati in modo discutibile, con una sola stella: Chris Bosh. Fin dalla sua scelta, avvenuta nel draft del 2003, questo giocatore sembrava destinato ad un grande futuro, e fino ad ora ha fatto vedere ottimi spunti.
Purtroppo per lui, i Raptors non hanno assecondato la sua crescita, tant'è che in 7 anni non gli è mai stata allestita attorno una squadra veramente competitiva. Prendiamo il roster di questa stagione: Calderon, Turkoglu, Bargnani…tutti ottimi giocatori, ma inseriti in un contesto difficile.
Se in una squadra i 4-5 giocatori migliori sono forti in fase offensiva ma piuttosto mediocri in fase difensiva, è logico che quella squadra avrà poche chances di competere per la vittoria finale.
Intendiamoci, anche Bosh ha dei difetti assimilabili a quelli di alcuni suoi compagni di squadra. Basti pensare alle sue capacità difensive, certamente non straordinarie, che vengono compensate da delle capacità realizzative incredibili, le quali ne fanno uno dei migliori lunghi in circolazione quando si tratta di mettere punti a referto.
D'altronde, le cifre sono sotto gli occhi di tutti: 24 punti + 11 rimbalzi e il 51% dal campo. Cifre che hanno già attirato l'attenzione di diverse franchigie, che saranno pronte a darsi battaglia per assicurarsi le sue prestazioni a fine stagione, quando il numero 4 dei Raptors diventerà free agent.
In estate potrà scegliere l'alternativa migliore tra le numerose che gli si presenteranno. L'ideale per lui sarebbe giocare in una squadra meglio organizzata nella propria metà campo, e nella quale sia presente un altro giocatore di alto livello, che giochi in uno dei ruoli di esterno. E' curioso notare come, al contrario dei vari Anthony, James e Wade (tutti scelti al draft 2003), Bosh non sia ancora riuscito ad avere attorno una squadra costruita per puntare in alto.
Quello che appare sicuro è che, se non ci penseranno i Raptors, qualcun'altro busserà alla sua porta per proporgli un progetto ambizioso. Sta a Colangelo e soci convincerlo a rimanere in una realtà buona, ma non ancora al livello delle varie Los Angeles, Cleveland, Boston e via dicendo.
"Big Three" o "Big Five" a Boston?
Nell'estate del 2007, quando il General Manager dei Boston Celtics, Danny Ainge, riuscì a portare in maglia bianco-verde Kevin Garnett e Ray Allen, tutti iniziarono a parlare di "Big Three". La NBA è una Lega che dà ampio spazio al suo passato, e vedere quei due giocatori insieme allo storico capitano della franchigia Paul Pierce richiamava i fasti di Bird, Parish e McHale, gli originali "Big Three".
Il trio era potenzialmente esplosivo, e i fatti ci narrano di un titolo vinto nel 2008 e di un'onorevole sconfitta in 7 gare con gli Orlando Magic nel secondo turno dei play-off 2009. Esperimento riuscito dunque, com'era prevedibile.
Ciò che nessuno aveva previsto con la stessa sicurezza riguardava i restanti due giocatori del quintetto di Boston, ovvero il playmaker Rajon Rondo e il centro Kendrick Perkins. I ruoli di playmaker e di centro rappresentano l'asse portante di una squadra, e affidarli a due ragazzi così giovani (rispettivamente 21 e 23 anni, all'epoca) sembrava un azzardo.
Dopo neanche 3 anni ci troviamo di fronte a due degnissimi interpreti del loro ruolo. Rondo si sta preparando a diventare una stella, le sue responsabilità aumentano mese dopo mese e quest'anno si sta togliendo lo sfizio di servire i compagni con disarmante regolarità .
Per lui ci sono 9.5 assist a partita al momento in cui scriviamo (quarto assoluto in questa statistica), preceduto soltanto dal massimo esponente in questo fondamentale, Steve Nash, e da altri due futuri fuoriclasse come Deron Williams e Chris Paul.
Certo, non è un gran tiratore da 3, e infatti evita il più possibile questa giocata visto che tira dall'arco meno di una volta a partita. Anche i liberi sono un problema per lui (60%), e infine il tiro dalla media va e viene. Ma se parliamo di atletismo, capacità difensive e abilità nel tagliare come il burro le difese avversarie per mettere a segno un canestro o un passaggio decisivo, siamo di fronte ad uno dei primi del lotto.
Vicino a lui si muove Kendrick Perkins. Impiegato in un ruolo delicato come quello di centro, questo ragazzone di 25 anni ha capito subito come integrarsi con i campioni che giocano con lui. Gli viene richiesta intensità e fisicità in difesa, mentre in attacco deve semplicemente sfruttare quello che è il lavoro dei suoi compagni.
Entrambe le cose vengono fatte egregiamente, e Perkins con il suo 64% dal campo è il miglior giocatore in questa voce statistica. Il suo gioco offensivo è essenziale ma molto efficace, visto che attorno a sé ha dei giocatori di alto livello che non hanno problemi a passare il pallone se questo può portare a dei punti facili.
La crescita esponenziale di questi due ragazzi ci fa capire tante cose sul titolo vinto due anni fa dai Celtics e sull'eliminazione dopo una serie molto tirata contro Orlando l'anno scorso. Pur senza Garnett, Boston si portò in vantaggio per 3 a 2 e rischiò di giocarsi la possibilità di tornare in finale…grazie anche a questi due ragazzi, che promettono di far parlare delle loro gesta per tanti altri anni ancora.
Abbiamo parlato di cinque ragazzi e delle loro storie, con la speranza che vi siano piaciute e con la certezza che la NBA ce ne regalerà ancora tante altre in futuro…“where history happens”.