Channing Frye al tiro
Solitamente sono i giocatori più acclamati, gli All-Star, i leader e chi si erge in qualche graduatoria statistica ad attirare le attenzioni dei media per le prime pagine dei giornali e dei reportage, ma Channing Thomas Frye, vista la stagione che sta disputando si merita per una volta la luce dei riflettori.
I suoi numeri non sono “straordinari”, ma parlano di 12.6 punti di media in 31 minuti e spiccioli conditi da 6 rimbalzi puliti e il 43% da tre su quasi 200 tentativi quando scriviamo queste righe. Ma se pensate che lo scorso anno segnava e giocava e prendeva un terzo di quei punti, quei minuti e quei rimbalzi, non tirando mai da tre, c'è qualcosa che va raccontato.
Quindi si potrebbe dedurre che il ritorno a casa, nella Phoenix in cui è cresciuto dopo che vi si trasferì a 7 anni con i genitori, sia stata una vera manna dal cielo per questo ragazzo di 213 cm ma poco propenso a dare battaglia sotto i tabelloni come l'altezza farebbe sperare.
Eppure ai tempi di Arizona chiuse il suo anno da senior con 22 punti e 15 rimbalzi di media alle soglie delle final four, uscendo contro i futuri finalisti di Illinois del trio Dee Brown – Deron Williams – Luther Head, con le sue quotazioni in sede di draft da lottery pick e molte prospettive.
A sceglierlo furono i New York Knicks appena consegnati da Isiah Thomas a Larry Brown nel draft del 2005 con l'ottava scelta assoluta davanti a giocatori che adesso guadagnano nelle rispettive squadre oltre 10 milioni di dollari l'anno come Andrew Bynum e Danny Granger.
Un ritorno alle origini, dato che prima di andare in Arizona con la famiglia, Channing spese i primi anni della sua vita a White Plains, una cittadina a poche miglia a nord di Manhattan.
Il posto fu giusto, a New York, assieme ad altri rookie di belle speranze come David Lee e Nate Robinson, con un coach di grande carisma e la prospettiva di buttare giù nuove basi per una rinascita del basket di alto livello dei Knicks di cui Frye doveva essere una colonna portante.
Peccato che di sbagliato ci fu il momento, con i Knicks in balia della faida tra coach Brown con il suo approccio meticoloso che esigeva giocatori da right way anche se dotati di poco talento e Zeke Thomas con la sua insistenza a voler insistere sul talento dei singoli a discapito di un progetto a lungo termine.
Frye nella disastrosa stagione newyorchese, fu vittima della centrifuga di esperimenti di coach Brown, impiegato esclusivamente da power forward alternando partenze in quintetto a ruolo di sesto uomo, a DNP punitivi o inspiegabili, fornendo comunque alla causa oltre 12 punti e quasi 6 rimbalzi in 25 minuti circa di utilizzo.
Nonostante i raptus inspiegabili di Larry Brown che lo toglieva e reinseriva dalle rotazioni (come faceva pure per ogni altro giocatore dell'infinito roster di quei Knicks), più per fare un torto a Thomas che non per le colpe di Frye, Channing assieme a pochi altri venne comunque trattato come giocatore incedibile dal duo Brown-Thomas, perlomeno d'accordo su una questione.
C'era molta attesa per la stagione seguente, soprattutto su Frye chiamato a confermare quanto dimostrato e migliorare su alcuni aspetti del suo gioco lacunosi, come la presenza più fisica sotto i tabelloni in difesa e un po più di concretezza.
Invece, tolto di mezzo Larry Brown a favore proprio di Isiah Thomas, quella che doveva essere la stagione dell'esplosione fu per Frye l'inizio della fine. Fu uno dei più penalizzati dagli enormi e numerosi equivoci tecnici presenti nel roster dei Knicks voluto da Thomas, affiancato in front line in pianta stabile da Eddy Curry piuttosto che da un centro in grado di togliergli pressione in difesa e non rubargli spazi in attacco.
Il risultato fu una stagione molto sottotono, in cui peggiorò quasi tutte le sue cifre a discapito di un minutaggio maggiore, perché costretto a compiere un lavoro non propriamente suo, ovvero quello di lungo da legna.
Motivazioni a zero, impatto nullo, percentuali al tiro disastrose, il vizio a accontentarsi del tiro piazzato senza troppa convinzione portarono il suo status da incedibile a cedibilissimo e infatti a giugno, durante la notte del draft 2007 venne impacchettato come un cianfrusaglia qualsiasi assieme a Steve Francis verso i Blazers.
Ai Blazers è rimasto due anni contrassegnati dall'anonimato, cifre e impatto in calando con il picco negativo dell'ultima stagione chiusa con meno di 12 minuti di impiego, e statistiche trascurabili. In queste due stagioni di massimo sconforto e fiducia in se stesso rasente lo zero, anche gli infortuni hanno avuto la sua parte, con fastidi muscolari e infortuni anche gravi ad un ginocchio.
Come ha fatto un giocatore promettente a smarrirsi e diventare d'improvviso un brocco?
Semplice, a Portland non hanno mai puntato su di lui, visto che nel medesimo ruolo e con le medesime caratteristiche tecniche e fisiche avevano già in stalla un puledro di razza come LaMarcus Alridge.
Di contro Frye anziché cercare di dare battaglia per i minuti alla power forward titolare e sfruttare l'assenza di Oden il primo anno fuori per infortunio è riuscito anche a perdere il confronto diretto con Joel Przybilla per il ruolo di centro.
Hanno giocato a suo sfavore quelli che poi sono i difetti strutturali che si porta dietro da quando era ancora freshman al college, ovvero la poca intensità , il suo apporto a rimbalzo minimo considerati i centimetri e l'agilità e una qual certa tendenza a uscire fuori dal pitturato per prendersi i suoi tiri piuttosto che andare a sfidare, con il suo fisico da fenicottero i gorilla delle aeree NBA.
Una carriera in stand by insomma appena uscito dal suo contratto da rookie.
In estate le offerte sono comunque fioccate, da parte di contender al titolo NBA che gli proponevano un ruolo da cambio dei lunghi titolari o da 4° lungo a contratti però bassi e nemmeno del tutto garantiti.
Nel mezzo a queste offerte è spuntata quella di Kerr, il giusto compromesso tra soldi, responsabilità , prospettive e la tacita richiesta da parte dei Suns di risollevare la sua carriera con una chance importante, facendo leva anche sulle origini del ragazzo.
Channing, ragazzo molto intelligente, ha rivisitato in chiave moderna il mito dell'araba fenice (e visto che siamo a Phoenix?), in una sorta di rinascita dalle proprie ceneri dopo aver bruciato le delusioni dei primi anni NBA, tracciando una linea con il suo passato dal punto di vista professionale privo di soddisfazioni e lavorando duro per tutta l'estate sulla sua tenuta fisica ma in particolare sul suo tiro da fuori.
Già all'apertura del training camp lo staff tecnico rimase molto impressionato dal ragazzo, nel miglior stato di forma della sua carriera, e con l'attitudine giusta per guadagnarsi spazio. Phoenix si è mostrata da subito la scelta giusta, non solo come ambiente, ma come contesto tecnico per il Frye giocatore.
Un attacco scintillante tornato allo splendore dalla ritrovata vena di Steve Nash, una squadra alla ricerca del riscatto dopo un anno tragico con l'esclusione dai Playoff, spazi offensivi in cui agire indisturbato come contraltare di un lungo mobile e non ingombrante come Stoudemire che anziché tappare le ali al prodotto di Arizona si è rivelato invece complementare al suo gioco.
Colto di sorpresa dall'impegno e dalle qualità di Frye, coach Gentry ha subito inserito il ragazzo da White Plains in quintetto aggiustando di conseguenza la propria strategia offensiva sulle caratteristiche di Frye abbinate allo stile di gioco dei soli, trovando da subito risposte positive, ed in parte anche inaspettate.
E da Frye ha preteso la disponibilità a sacrificarsi come mai aveva fatto in carriera nel ruolo di centro, seppur molto tattico ed intercambiabile per Stoudemire. E in una squadra votata al ritmo e all'attacco, le mancanze difensive sono passate inosservate o perlomeno nascoste dalla sua mano rovente in attacco, dove rivestito di responsabilità sta diventando ad oggi uno dei migliori triplisti della lega e uno dei migliori in assoluto tra i lunghi puri.
A rimbalzo conferma ancora la sua idiosincrasia, non intimidisce come dovrebbe, ma stavolta il suo compito è di spartirsi responsabilità difensive con tutto il front court, senza chiedergli di fare lo specialista difensivo, trovandosi a suo agio con Stoudemire grazie alla loro agilità e con i vari Amundson e Lopez che con la loro energia gli consentono di prendersi della pause dietro e dedicarsi a bucare la retina davanti.
Nel devastante pick & roll tra Nash e Stoudemire, con la sua capacità di allargare il campo, Frye è il prediletto del canadese per coinvolgere il terzo uomo e innescare grazie alle sue lunghe leve la circolazione di palla dei Suns per tiri puliti dagli angoli degli esterni.
Ultimamente poi, con una fiducia nei propri mezzi ritrovata, il buon Channing sta ritrovando anche il gusto del post basso, da dove con le sue movenze eleganti è possessore di un discreto giro e tiro che può valergli ancora più credito presso le difese avversarie.
Gentry e tutto il suo staff stanno coccolando uno dei colpi di mercato più riusciti e contemporaneamente passati inosservati della scorsa estate, se pensate che Frye è venuto via per la “miseria” di 12 milioni in 4 anni garantiti e il suo contributo è determinante per la propria squadra, che attualmente sgomita con i Nuggets per il 4° posto del ranking ad ovest.
Phoenix è tornata a graffiare e a vincere, il merito è dei soliti noti, ma anche Frye ci sta mettendo lo zampino. Noi abbiamo cercato di spiegarvi la sua storia.