Jennings, da Compton alla NBA via Roma

Brandon Jennings davanti l'Arco di Costantino. La sua esperienza a Roma è stata a suo modo storica.

"The only difference is that we don't have a dryer. We hang our clothes on a line".

"L'unica differenza è che non abbiamo l'asciugatore. Dobbiamo appendere i nostri panni ad un filo".

Brandon Jennings parla nel suo diario on-line delle differenze degli stili di vita tra l'America e l'Italia. Lo può fare grazie a David Stern. Oppure perché a scuola era un po' ciuccio. Facciamo un passo indietro.

Nel 2005 David Stern decide che per passare professionisti bisogna che intercorra un anno tra l'ultimo del liceo e il primo nella NBA. La decisione, presa per bloccare l'ondata di liceali che passavano immediatamente tra i pro, fa ovviamente molto discutere.

Brandon Jennings è un liceale come tanti. Oddio, è un play di grandissimo talento, già  noto ampiamente. Ha dei piccoli problemi a scuola e il suo SAT, il test per l'ingresso al college, è troppo basso perché possa trasferirsi a University of Arizona, verso la quale aveva dichiarato la sua intenzione d'iscriversi.

Che fare ? Sonny Vaccaro, quello del contratto di MJ con la Nike (e i conseguenti fiumi di milioni di dollari e spot con Spike Lee) consiglia al giovinetto di interpretare finemente le regole NBA scavalcando il college USA per giocare un anno tra i pro oltreoceano.

Passo storico. Jennings diventa il primo a svernare all'estero prima di andare nella NBA.

Ora, la situazione meriterebbe discussione proficue ma ci limitiamo a poche considerazioni. Nell'ottica NBA forse cambia poco. A Stern cosa può importare se i suoi giovani vanno all'estero o al college per un solo anno.

Ecco, per i college qualcosa invece potrebbe cambiare. Ma siccome finora l'unico e solo è stato proprio Jennings, l'ondata temuta che questi brufolosi liceali di talento se ne vadano in massa all'estero resta per adesso una minaccia lontana.

Per lui quindi, e solo per lui, è stato meglio così ? Meglio restare un anno in un college qualsiasi d'America o farsi un anno da professionismo a Roma ?

Certo che è strano. Molti di noi hanno sognato, film demenziali a parte, di vivere un'esperienza di college americano. Adesso invece uno di loro viene da noi e tutto fa sembrare che non rimpianga affatto il dormitorio, le aule, i viali alberati del campus, le chiacchierate tra amici. La gioventù studentesca. Mi ricordo le tre regole auree del "fancazzismo militante" che seguiva il figlio di Claudio Bisio in Natale a New York.

"Uno. Assenteismo spregiudicato da lezioni e esami. Due. Sfruttamento spietato delle finanze dei genitori. Tre. Ricerca sfrenata di qualsiasi tipo di divertimento". Tre regole che il Brandon nostro non ha mai potuto seguire.

Ma forse gli è andata meglio. Quanti suoi coetanei, a 19 anni, possono mangiare le fettuccine davanti al Pantheon con i soldi della società  ? Va da sé che la maggioranza dei suddetti coetanei nemmeno sa cos'è il Pantheon e questo non fa altro che aumentare la considerazione della buona scelta che ha fatto.

Che sia ben chiaro. Il ragazzo non è certo un eroe. Al buon college non poteva andarci per demeriti accademici e al college di seconda fascia ha preferito i soldi di un contratto da professionista. Lo hanno subito soprannominato Young Money mica per niente. Chiamalo fesso"

Ma scorazzare per la Città  Eterna è stato un privilegio del quale può vantarsi per una vita intera. Aver conosciuto un'altra cultura, che per inciso è la nostra, è stata per lui un'esperienza troppo più importante di una qualsiasi fredda aula universitaria.

Il basket viene dopo. Viene dopo un anno di panchina, il suo difficile inserimento nel sistema lento e formale di Repesa, viene dopo tutto. Da Comtpon alla NBA. Passando per Roma. Un bel viaggio, non c'è che dire.

Le origini sono nell'area metropolitana di Los Angeles, appena a sud del centro. Compton, la capitale del gansgta-rap, genere reso leggendario dagli N.W.A., uno dei luoghi più violenti e malfamati d'America. Un posto che è un'icona per una certa America nera, per The Game, per chi come lui è uscito da questo ghetto senza mai dimenticare le sue radici.

A 5 anni partecipa già  ad un torneo per bambini di 8, al Rowley Park di Gardena, vicinissimo casa. Per il liceo sceglie la Dominguez High School, proprio nel cuore di Compton, la stessa scuola che fu di Dennis Johnson, Cedric Ceballos, Tyson Chandler e Tayshaun Prince.

Ma lui è un ragazzo speciale e non vuole perdersi niente di grande. Il primo passo verso l'alto lo fa andando alla Oak Hill Academy, il liceo dei campioni "cantato" da Federico Buffa in Black Jesus.

Poi arriva il momento del draft e il dilemma di cui sopra. Dilemma che ha avuto solo lui in quanto talento del basket, perché certo non può essere una normale alternativa quella di andare in Italia per un qualsiasi altro ragazzo americano.

Una scelta di vita. Un momento fondamentale che molti di noi alla sua età  hanno provato con eguale emozionante drammaticità . Si ricordino le inquietudini di Ray Allen in He got game. Andare nei pro, nel college, in quale college eventualmente, in quale città , cosa studiare. Ecco, "quel" momento che Spike Lee ha portato al cinema non è altro che la storia di Jennings dei giorni nostri.

Ma Spike certo non poteva immaginare che oggi si sarebbe aggiunta un'altra opzione.

Brandon è a Roma con la mamma, Alice Knox, e il suo fratellastro Terrence Phillips, 12 anni. La mamma lo accompagna tutti i giorni all'allenamento con la Volvo datagli dalla Lottomatica, lui ricambia accompagnando lei a Via dei Condotti tra Prada, Gucci e similari.

La Lottomatica però è stata molto gentile con tutti. Al fratellino ha regalato l'iscrizione in un prestigioso istituto scolastico internazionale, la Marymount International School sulla Nomentana, con un retta annuale da 24.000 dollari. A Brandon ha regalato la panchina e la noia degli allenamenti.

Difficoltà  cestistiche a parte, Brandon continua a ripetere che questa esperienza lo ha reso un uomo e un giocatore migliore. Non fatico a credere della veridicità  delle sue affermazioni. Intanto ha trovato tanta America anche in Italia.

Ci sono i compagni di squadra, Allan Ray (che il fratellino prende in giro chiamando Ray Allen), Ibby Jaaber e Andre Hutson, suo mentore e barbiere. Di recente Brandon ha risfoderato il suo high top fade old vintage, merito probabilmente di qualche barbiere più esperto del suo ex compagno di squadra.

Ci sono ovviamente i McDonald's e c'è l'Hard Rock Cafè di via Veneto, uno dei posti che preferisce per il cibo e la buona compagnia internazionale. Nel suo diario on-line sponsorizzato dalla ditta Under Armour, si può dedurre dalle righe un ragazzo sveglio, sicuramente incuriosito da ciò che lo circonda.

Lo vediamo infatti ai Fori con una comitiva di suoi amici americani, o ai Parioli, dove ci consiglia un ristorante davvero squisito. Ma c'è di più. C'è la sua rivalità  con Ricky Rubio, l'impressione di amici e avversari, la solidarietà  per le vittime del terremoto a L'Aquila, la vita frenetica tra gli sponsor e le interviste. Del resto è un pioniere.

Nel suo Ipod c'è tanto Jay-Z e poco The Game, e questo mi stupisce. The Game ci ricorda di Compton in ogni traccia di ogni suo album, e Brandon potrebbe ritrovarci la sua stessa vita. Qualche pallottola e tanta droga in meno ma uguali difficoltà . Sulle stesse strade.

Brandon infatti è stato abbandonato dal padre quando aveva tre anni e quando ne aveva 7 lo raggiunse la notizia del suo suicidio. Una storia tragica oramai alle spalle che però in qualche modo deve averlo pur segnato.

"The driving is crazy! They park their cars everywhere, and there's no lines in the streets. They're very impatient.”. Altro straccio autografo di uno stile di vita diverso, questa volta sulla guida e sul parcheggio di noi italiani.

Poi si scopre che il suo idolo è Allen Iverson. Scoperta dell'acqua calda, mi direte, ma sorprende il fatto, sempre se è vero, che si studi almeno una volta al giorno gli highlights di The Answer in gara 1 delle Finals 2001 contro i Lakers. Quella dei 48 punti e del Tyronne Lue scavalcato da sua maestà  l'MVP di quell'anno di grazia.

Figlio di Internet, figlio della modernità . Di recente è stato multato per ben 7500 $ per aver postato su Twitter un messaggio di giubilo dopo una vittoria dei suoi Bucks contro i Blazers. Peccato però che la NBA neghi ai suoi giocatori di socializzare sui social network subito prima o dopo una gara.

Già , i Bucks. Lo hanno scelto alla decima chiamata e finora si sono ritrovati per le mani un playmaker effervescente. Una sera contro i Warriors abbiamo dovuto tutti rivolgerli il nostro sguardo. 55 punti e nessuno nel primo quarto, spettacolo ed applausi.

Da li in poi ha un po' calato il suo rendimento ma solo per una eventuale corso al titolo di Rookie dell'anno. I numeri danno finora ragione a Tyreke Evans, da qualcuno già  soprannominato Baby-Bron (20 punti, 5 rimbalzi e 5 assist a sera, Brandon ne segna 18 e smazza via un assist in più di media), ma la gara non è ancora finita.

Intanto resta la sua voglia di sorprendere.

E di sorprendersi. Dov'è l'"Easter bunny"esposto fuori dalle case ?

Se lo domanda nel suo blog e non se ne dà  risposta.

Non è simbolo italiano della Pasqua, quanto invece lo è l'uovo. Un'altra piccola, piccolissima storia che un ragazzo americano può adesso raccontare ai suoi coetanei.

Grazie Stern, grazie Sonny, grazie Roma.

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