Ritorno dal nulla

Leonardo DiCaprio gioca a basket. Ha 13 anni, la sua vita sta per cominciare.

RITORNO DAL NULLA

Titolo originale : The basketball diaries

Anno : 1995

Genere : drammatico

Regia : Scott Kalvert

Cast : Leonardo DiCaprio, Mark Wahlberg, Lorraine Bracco, James Madio, Bruno Kirby, Michael Imperioli

Quando la poesia incontra il basket io mi meraviglio di quanto sia bella la vita. Premesso questo, Ritorno dal nulla – The Basketball Diaries non raggiunge la meraviglia suddetta e forse nemmeno la sfiora.

Mancano entrambi, tanto per essere chiari. Sia la poesia che il basket. Sulla poesia che dire, i pochi frammenti non rivelano niente di memorabile, sul basket poi meglio lasciar perdere. Qualche sequenza mal girata di partite tra ragazzini. Ma non è questo il punto. Andiamo per ordine.

Nel 1995 il regista esordiente Scott Karlvert porta sul grande schermo il libro di Jim Carroll The Basketball Diaries. Poeta poi sfociato nella musica punk, Carroll fu a suo tempo anche un buon giocatore. A 17 anni partecipò al National High School All-Star Game, ma già  dalla precoce età  di 13 anni prendeva parte con regolarità  alle formazioni All Star dell'area di NY.

Già , New York, mettiamoci pure The Big Apple. New York, il basket, la poesia. Potenzialmente è il film più bello della mia vita. Invece è un film tranquillo, pure carino, ma date le premesse devo criticarlo come da chi su questi basi cerca molto e molto di più.

Ragazzino di origine irlandesi, Jim frequenta una scuola cattolica di una parte di Manhattan non meglio specificata. Gioca a basket nella squadra della scuola, unico sfogo di una vita altrimenti dura e noiosa, tra punizioni corporali degli immarcescibili preti cattolici e ambiente familiare altamente depresso.

Va a Staten Island col traghetto insieme ai suoi amici, incanta sul campo, sempre nei limiti del contesto, poi esce e picchia i rivali perché questi si sono accorti del furto che uno dei suoi amichetti ha commesso durante la partita. Vita spericolata. Ma questo è solo l'inizio.

Seguiranno, molto velocemente, droghe prima leggerine poi sempre più pesanti, furti con scasso, rapine alle vecchiette e finale in bellezza degno del miglior Kobe Bryant. Subway newyorchese, cessi pubblici. Cliente in giacca e cravatta, pulito e ordinato. 35 dollari per farselo succhiare.

In fondo è una storia che abbiamo già  visto, anche in ambito di basket, si pensi ad esempio a Rebound, sulla vita di Earl The Goat Manigault. Non mancano i pregi, altroché. Primo fra tutti Jim Carroll. Oddio, non proprio lui, ma chi lo interpreta sullo schermo.

Ode a Leonardo di Caprio, magrolino biondino che prima nella parte del brillante ragazzino e poi soprattutto in quella del drogatello perduto impressiona per bravura ed efficacia. Talento puro Leonardo, che da qui in poi si lancia in una carriera che lo vedrà  giustamente premiato come uno dei migliori attori di Hollywood.

Quando esce questo film siamo a soli due anni dal successo planetario di Titanic, grazie al quale diventerà  una star e un sex-simbol. Ricordo ancora qualche mia compagna delle scuole medie. L'idolo dell'epoca era lui, incontrastato.

Già , le scuole medie, i 13 anni. Mirabili, indimenticabili, gli eternamente importanti 13 anni. Non nascondo che vedendo DiCaprio giocare, così gracile, così agile, e non voglio aggiungere altro, mi sono ricordato di quando anch'io come lui facevo quelle partite alla sua stessa età . Che bello"

E che belli quei 13 anni, quando davvero ti accorgi quasi in un attimo che non sei più un bambino ma hai un tuo proprio pensiero. Individuale, fantasioso, unico. Ma basta così. Jim va un giusto un po' oltre. Il tunnel della droga come via forzatamente inseguita in parallelo a quella dell'espressione artistica.

Sta qui la bellezza di questo film. Nei 13 anni di Jim all'inizio del film, nelle sequenze con gli amici e intorno alla squadra di basket. Nella seconda parte invece il tunnel della droga è pure descritto bene e allora il tono è cupo, senza via di uscita. Ma dà  anche un'angolazione mono-dimensionale che fa perdere freschezza a tutta la storia.

Jim ha tre amici molto intimi. Uno è un nanetto sempre fashion con simil-bombetta sempre in testa, ladro scaltro. C'è il bravo ragazzo, l'eccezione che conferma la regola. Si salva dall'auto-distruzione e diventa un affermato All Star a livelli più alti. Poi c'è il suo compagno più stretto, colui che lo seguirà  fino in fondo nel delirio di droga e violenza. Il ruolo lo interpreta un altrettanto giovanissimo e talentuoso Mark Wahlberg, che rivedremo, tra gli altri ruoli, con DiCaprio in The Departed.

Se non fosse stato proprio DiCaprio il protagonista The Basketball Diaries sarebbe caduto nello stesso vuoto di Jim. La regia è da videoclip o da operetta, se preferite. Il finale è accelerato oltre ogni buon senso, NY è maltrattata, eppure è il miglior set cinematografico del mondo e la crudeltà  delle tematiche è un lenzuolo troppo corto per farci tutta la pellicola.

Tra le gemme invece, una partita con gli amici sotto la pioggia, fantastica pagina di passione bagnata, la visita alle due biondine prelibate (dopo aver fatto sesso Jim si mette a scrivere il diario mentre lei giace mezza nuda) e la sequenza del rapporto orale nel bagno della metro.

Primo piano sulla sua faccia tra il sofferente e lo schifato, mentre noi non dobbiamo troppo immaginare che sta succedendo sotto. Ripresa che dura quasi quanto quella di un vero rapporto in tempo reale. Oddio, dipende dai casi.

Si da il caso qui di una bella copertina, che dico bella. La copertina è il basket, è New York, è la poesia.

Poi apro il libro e tanto mi va che avrei voluto scriverlo io.

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2. Any given Sunday - Ogni maledetta domenica
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