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Steve Nash, 35 anni e non sentirli…

A 35 anni (e saranno 36 il 7 febbraio) un giocatore, normalmente, ha già  iniziato la parabola discendente della propria carriera. Il fisico inizia a mostrare segni di cedimento, gli infortuni si fanno più frequenti, e sia la resistenza sia la lucidità  iniziano a venir meno.

Il basket, però, non è uno sport fatto soltanto di sforzo fisico e di forza bruta, ma anche di intelligenza. Essere intelligenti è fondamentale se si vuole avere una carriera lunga e gloriosa. Ed è grazie alla propria "testa" se un giocatore riesce ancora a giocare come se fosse un ragazzino, anche ad un'età  così avanzata come quella del protagonista di questo articolo: Steve Nash.

Il giocatore canadese, si sa, è uno dei playmaker più apprezzati degli ultimi 10 anni, l'erede designato insieme a Jason Kidd di un altro esponente geniale del ruolo, nonché leader nella classifica degli assist NBA, ovvero John Stockton.

Arrivato ormai al quattordicesimo anno nella Lega, Nash ha saputo inventarsi una seconda giovinezza dopo due anni piuttosto magri in quanto a risultati.

Intendiamoci, il numero 13 dei Phoenix Suns ha sempre giocato molto bene, tanto da essere eletto come simbolo di quel sistema di gioco esportato da coach Mike D'Antoni dal 2003 al 2008 nella franchigia dell'Arizona. Il cosiddetto "Run & Gun", ovvero un gioco veloce che prevedeva la capacità  da parte di tutti i membri della squadra di correre in contropiede per segnare un canestro in più degli avversari piuttosto che subirne uno in meno.

Una filosofia, insomma.
Già , anche lo sport vive di filosofie e di scelte, e non si può certo dire che D'Antoni non abbia provato a perseguire fino in fondo le sue idee. E per poter rendere il più efficace possibile questo sistema di gioco si è affidato a quello che era il migliore direttore d'orchestra in circolazione: Steve Nash, appunto.

Parliamo di un giocatore dal fisico "normale" (1,90 m x 80 kg) in una Lega di giganti, capace di sfruttare al meglio le proprie doti. Mani sopraffine, eccellente tiratore da 3 e dei liberi, uno dei migliori assist-man degli ultimi anni, e soprattutto un leader in campo, capace di coordinare i propri compagni e di prendere spesso la decisione più giusta.

Un giocatore capace di effettuare giocate decisive ma, al tempo stesso, di mettersi al totale servizio della squadra, perchè senza di lui il gioco spumeggiante dei Suns non sarebbe stato semplicemente possibile. La sua pecca maggiore è la scarsa capacità  difensiva, ampiamente compensata dai pregi sopraccitati che lo rendono un talento più unico che raro.

Dal 2004 in poi, cioè da quando le strade del canadese e di D'Antoni si sono incrociate, tutta la NBA ha avuto modo di riconoscere le straordinarie qualità  di questo giocatore, fino a farlo diventare uno dei simboli della pallacanestro mondiale.

Nel 2005 arriva il riconoscimento individuale più prestigioso, quello di Most Valuable Player. Nash ci mette del suo, grazie ad una stagione da 15 punti e 11 assist di media, e i compagni gli danno una mano. I "Soli" dell'Arizona raggiungono, insieme, il miglior record di tutta la Lega, e grazie a questo sforzo collettivo arriva il meritato premio per quello che è il leader a tutti gli effetti della squadra.

Sembra il preludio al trionfo finale. Potendo contare, tra gli altri, su stelle come Shawn Marion, Amare Stoudemire e Joe Johnson, Phoenix sembra pronta a vincere il titolo. Per sua sfortuna, troverà  sulla propria strada i San Antonio Spurs, che infliggeranno un durissimo 4-1 in Finale di Conference ai propri avversari per poi andarsi a prendere l'anello.

Altro giro, altra corsa. Nel 2006 Nash si ripete e vince nuovamente il titolo di MVP, grazie ad una stagione memorabile. 18 punti e 10 assist di media, con tutte le percentuali al tiro migliorate rispetto all'anno precedente. A fermare la corsa della sua squadra ci penserà  stavolta l'amico Dirk Nowitzki e i suoi Dallas Mavericks, con un 4-2 abbastanza netto.

Il canadese, pur non vincendo più il titolo di MVP, continua a guidare i suoi compagni in un sistema di gioco esaltante, sia pur non coronato dalla vittoria finale. Nel 2007 sono ancora i San Antonio Spurs a frenare la corsa dei "Soli", stavolta al secondo turno, e la storia si ripete per la terza volta in quattro anni nel 2008, quando Duncan e soci si sbarazzano agevolmente dei ragazzi di D'Antoni al primo turno di playoff.

Il 2008 è l'anno della svolta. A febbraio arriva Shaquille O'Neal dai Miami Heat in cambio di Shawn Marion, e con questa mossa di mercato i Suns rinnegano apertamente la propria filosofia. Il "Run & Gun" viene fortemente ridimensionato, e con Shaq si cerca di migliorare il gioco sotto canestro, sia in attacco che in difesa. Il pensiero più diffuso nel front office è, infatti, che bisogna adeguarsi al gioco delle altre squadre, per far trovare una nuova dimensione alla squadra, più interna e meno perimetrale.

Il progetto, però, fallisce. Phoenix cerca di avvicinare il proprio modo di giocare a quello delle altre squadre che lottano per il titolo, ma non tiene in conto due problemi importanti. Prima di tutto, D'Antoni non era l'allenatore più adatto per un cambiamento di questo tipo, viste che le sue idee propendevano per un gioco veloce e offensivo. In secondo luogo, il roster pur essendo buono non era al livello di quello delle altre contender.

Solo un particolare sistema di gioco aveva permesso ai Suns di andare oltre i propri limiti, e cambiarlo in corso d'opera ha portato molti più danni che benefici. A soffrire maggiormente di questa situazione è stato proprio Nash, che da grande giocatore qual'è si è adeguato a dei ritmi più lenti ed ha comunque dato il proprio contributo.

Il 2008-2009 ha rappresentato il più classico degli anni di transizione, che ha visto la squadra non qualificarsi nemmeno per i play-off. Con l'arrivo del nuovo coach, Alvin Gentry, la musica è cambiata, e si è tornati a vedere un gioco veloce e molto più vicino a quello di D'Antoni. In tutto questo il play canadese ne ha beneficiato, tanto che sta disputando una stagione davvero entusiasmante, e con lui la squadra.

In pochi credevano che la franchigia dell'Arizona potesse lottare con le potenze dell'Ovest per uno dei primi 8 posti ad Ovest, e invece il record (16 vittorie, 8 sconfitte) parla chiaro. I Suns sono la quarta forza nella costa occidentale, e pur non avendo reali chance di vincere il titolo hanno ritrovato le proprie motivazioni.

Come avveniva fino a qualche anno fa, il gioco in velocità  sta permettendo a tutti i giocatori di esprimersi al meglio, e i risultati si vedono. Barbosa, Stoudemire, Richardson, Frye, addirittura Grant Hill stanno vivendo un ottimo momento, e le possibilità  di far bene sono reali. Per una squadra trovare la via giusta per perseguire i propri obiettivi è importantissimo, e c'è da scommettere che con qualche innesto al posto giusto le cose non potranno che migliorare.

Il numero 13 ci sta mettendo tanto del suo: le cifre parlano di 18 punti ed 11 assist di media, ma ciò che più colpisce sono le percentuali al tiro. 53% dal campo, 46% da 3 e 94% ai liberi (!!!). Semplicemente strabiliante. In più, alcune partite da consegnare ai posteri come quella del 9 novembre con i 76ers (21 punti e 20 assist) o i 20 punti, 18 assist e 7 rimbalzi nella vittoria con Orlando dell'11 dicembre.

Concludendo, siamo sicuri che Nash, a quasi 36 anni e senza anelli al dito, abbia una gran voglia di rifarsi contro Duncan e gli Spurs per le delusioni subite negli anni passati.

Già , il basket è crudele. Come Stockton trovò Michael Jordan sulla propria strada, Nash ha trovato Duncan sulla sua.

Invece di spartirsi i titoli, Jordan e Duncan hanno pensato bene di fare piazza pulita, senza lasciare nemmeno le briciole ai propri avversari. Loro due verranno ricordati come vincenti ma, anche se le cartucce da sparare sono ormai poche, Nash ha intenzione di non mollare e le capacità  per stupire tutti, ancora una volta…

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