Brandon Jennings: un anno dopo

Brandon Jennings, il miglior rookie visto finora in questo inizio di stagione…

Nell'estate del 2008 sembrava esserci stata una svolta nei rapporti tra la NBA e l'Europa.
Diversi giocatori di un certo peso, su tutti Josh Childress, si trasferirono dall'America al Vecchio Continente, e si iniziò a parlare (più o meno seriamente) di un futuro nel quale anche i giocatori americani più forti avrebbero oltrepassato l'oceano per deliziare il pubblico europeo con le loro giocate.

In questo contesto, un giovane talento decise di precorrere i tempi e di saltare l'università  per provare a confrontarsi da subito con un nuovo ambiente, una nuova nazione e, soprattutto, un nuovo basket. Questo talento rispondeva al nome di Brandon Jennings.

Soprannominato "The Young Money" per via del suo essere giovane e al tempo stesso promettente, Jennings prese questa decisione a soli 18 anni.

Il ragazzo aveva già  le idee chiare, e vista la fama di cui godeva in America sapeva fin da subito che si sarebbe candidato, salvo imprevisti, al draft del 2009, come poi effettivamente è avvenuto.

A quel punto restava soltanto da cercare una squadra che potesse permettergli di maturare nel miglior modo possibile, e il giocatore insieme al suo staff e alla sua famiglia optarono per la Virtus Roma. Nella Capitale sembrava esserci tutto: una grande piazza, un'ottima squadra reduce da una finale-scudetto e la possibilità  di giocarsi l'Eurolega.

In realtà , Jennings è stato a lungo chiuso dai suoi compagni di squadra, nonostante l'atteggiamento sempre positivo verso questa esperienza.

Le cifre in campionato parlano di 17 minuti di media con 5.5 punti, 2.3 assist e 2 palloni recuperati a partita, e delle difficoltà  nel tiro da 3, testimoniate da una percentuale tutt'altro che lusinghiera del 20%.

Eh sì, perchè oltre alla mancanza di esperienza "The Young Money" appariva come un ibrido. Troppo poco efficace come passatore per giocare da play, troppo piccolo per giocare come guardia, e in ogni caso penalizzato da un tiro molto discontinuo.

I suoi punti forti erano la capacità  di realizzare punti o giocate importanti in campo aperto, le buone capacità  di palleggio e la rapidità  di mani in difesa. Negli altri fondamentali di gioco non è riuscito a dare un apporto sostanzioso alla squadra.

Nelle 5 partite di play-off il nativo di Compton non è stato neanche utilizzato, ufficialmente per un infortunio ma in realtà  perchè aveva perso il posto in squadra da tempo. In questo senso, l'esperienza europea lo ha portato a peggiorare la fama che aveva tra gli addetti ai lavori negli Stati Uniti.

Tirando le somme, possiamo dire che forse Jennings ha preteso troppo da sé stesso.
Pur essendo dotato di ottime doti, sia tecniche che atletiche, si è scoperto troppo inesperto e molto acerbo a livello tecnico per poter incidere ad alti livelli. Senza contare che nei due ruoli che poteva ricoprire aveva di fronte a sé degli ottimi giocatori come Jaaber e Becirovic.

Al tempo stesso, pur avendo giocato poco e in modo mediocre, il ragazzo ha avuto la possibilità  di fare esperienza oltreoceano e di osservare da vicino come funziona una squadra europea.
Inoltre, il confronto con i top team italiani ed europei lo avrà  sicuramente preparato bene in vista degli incontri con i campioni dell'NBA.

La stagione di una squadra italiana dura 8 mesi e non 5 come quella di una squadra di college, perciò Jennings potrebbe essere agevolato da questo fatto, in modo tale da "aggirare" quel periodo di stanchezza che di solito colpisce i rookie NBA da febbraio in poi.

Nel frattempo, "The Young Money" ha avuto la possibilità  di giocare le prime cinque partite in America con la maglia dei Milwaukee Bucks, che hanno scelto di puntare su di lui al draft spendendo la decima scelta.

L'inizio è stato molto promettente: il 20enne playmaker ha trovato la sua dimensione all'interno della squadra, e sta giocando molti minuti (33 di media). Anche le sue statistiche sono sembrate subito molto incoraggianti, con 18 punti realizzati a partita, ai quali si aggiungono 4 rimbalzi e 4 assist.

Ma la vera, e inattesa, esplosione del giovane Brandon si è avuta nelle sue ultime 2 partite: prima ha rifilato 32 punti con 9 assist a Billups e i suoi Nuggets (vittoria per 108-102), quindi contro i Warriors è stata l'apoteosi: 55 punti, 7/8 da 3, 5 assist e 5 rimbalzi in una pazza partita in cui le difese si sono prese una vacanza (vittoria per 129-125).

Per la cronaca: ora Jennings è il giocatore nella storia dei Bucks ad avere segnato più punti in una singola partita, davanti a nientemeno che Kareem Abdul Jabbar. Per un rookie, è la seconda migliore prestazione di sempre, dietro i 58 punti di… Wilt Chamberlain!

Sicuramente Jennings deve puntare ad essere non solo un realizzatore, ma anche un giocatore in grado di dare aiuti di diverso tipo alla sua squadra. Come detto in precedenza, ha una velocità  di mani e di gambe che lo possono aiutare a diventare un buon difensore. In pochi alla sua età  hanno questa capacità  di rubar palla, mentre la rapidità  di piedi lo può far diventare fastidioso per gli attaccanti avversari.

Pur essendo dotato di un discreto atletismo, ha una struttura fisica gracile (1,85 m x 75 kg) e questo lo penalizza un po' a rimbalzo, ma non è essenziale per lui essere uno specialista in queste giocate. Ben più importanti sono i miglioramenti che deve compiere come passatore, per diventare un attaccante ancora più efficace e, soprattutto, un vero playmaker.

Il suo difetto è che, quando viene chiamato a guidare i compagni, tiene troppo tempo il pallone in mano accentrando il gioco, col risultato di rallentare le azioni della sua squadra. In questo fondamentale il ragazzo ha grossi margini di miglioramento, sta a lui sfruttare le sue doti.

In definitiva: è servita l'esperienza europea al nuovo talento dei Milwaukee Bucks?
Ne ha tratto giovamenti positivi?
La risposta è più sì che no.

Da una parte, come abbiamo visto, gli spazi trovati alla Virtus Roma sono stati pochi, tant'è che col passare del tempo Jennings ha trovato sempre meno spazio in quintetto. In questo senso, sarebbe stato meglio andare a giocare in una squadra più modesta, in modo tale da stare più tempo in campo, anche senza giocare in Eurolega.

E' anche vero, però, che la possibilità  di confrontarsi con grandi giocatori gli ha permesso di scoprire i suoi limiti e di prenderne coscienza fin da subito per migliorare. Fosse andato al college avrebbe fatto sicuramente un'esperienza importante, ma il rischio di sedersi sugli allori vedendo di essere uno dei migliori giocatori del proprio campionato ne avrebbe potuto rallentare la crescita.

L'impressione è che comunque il ragazzo abbia le idee molto chiare in testa, e che abbia tutta l'intenzione di produrre una carriera NBA memorabile. La strada è lunga, ma Jennings sembra decisamente essere partito col piede giusto!

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