Nuova linfa a San Antonio con l'arrivo dell'atletico Richard Jefferson…
Richard Jefferson, Theo Ratliff, Antonio McDyess: una simile tripletta di innesti, cinque anni fa, avrebbe sensibilmente migliorato una qualunque franchigia NBA, Eastern o Western che fosse.
Gli stessi tre nomi, se recitati insieme, possono ancora rappresentare un significativo contributo all'alba della stagione 2009-2010. Specie se ci si trova in quella sponda dell'Ovest in cui, fino a prova contraria, vanno a finire gli anelli che non passino per i cannibali gialloviola, con buona pace di Cuban (con, all'occhiello, la finale del 2006 persa con Miami), dei Suns, dei Rockets zeppi di
infortuni e , per il momento, anche dei Nuggets.
Nomi ancor più prestigiosi se finalizzati ad implementare l'efficacia di un roster i cui pezzi pregiati sono, in ordine gerarchico: Tim Duncan, Tony Parker, Manu Ginobili, Michael Finley. Colpisce, inevitabilmente, l'assenza di Bruce Bowen, uno degli addii più dolorosi dai tempi di Robert Horry, emblema dei recenti trionfi texani che, secondo più o meno fondati rumours, sarebbe a Milwaukee solo di passaggio, poiché la sua persona desta ancora parecchio, e comprensibile, interesse in ambito di mercato.
Cercheremo di capire se, sulla carta, San Antonio risulti rafforzata o meno da questo mercato.
La prima chiave di lettura si avvale di un confronto prettamente anagrafico.
Si inizi da Drew Gooden, che alla data attuale è ancora ufficialmente uno sperone, ma soltanto nelle vesti di free agent; non si sa quante siano le probabilità di vederlo nel prossimo roster di marca Popovich.
Assieme a quello di Gooden, si registra lo status di free agent anche per Jack Vaughn, 12 anni di esperienza tra i professionisti, senza mai incidere più di tanto: un'affermazione non perentoria ma, cinicamente, argomentata su basi statistiche; lo stesso si potrà dire, a grandi linee, di Udoka, ormai trentunenne.
Passando dal blocco degli agenti liberi, in attesa di eventi, a coloro che se ne sono andati, risulterà evidente come ci sia stata la tendenza a cedere giocatori incisivi sotto canestro. Quanto a Kurt Thomas, anch'egli a Milwaukee, è il decano per anzianità (classe 1972) e non è certo in fase crescente; Oberto (1975) è finito a Detroit, quando il suo ruolo in rotazione era ormai divenuto marginale: 12,5 minuti in regular, divenuti 11 nella serie con Dallas.
Dal punto di vista del peso sotto canestro, postulata l'eterna ed immutabile presenza di Timoteo, mancheranno dunque all'appello Oberto, Thomas e forse Gooden, con il solo Gooden a non aver ancora oltrepassato le trenta primavere.
Ci saranno invece di certo Ratliff (1973), McDyess (1974) ed il rookie Blair (numero 37 assoluto), che ha ricevuto note di merito a seguito dei suoi esordi in Summer League, ove ha fatto registrare quasi 9 rimbalzi a partita.
Da un punto di vista anagrafico, con il solo Blair ad abbassare l'età dei "nuovi", si potrebbero in realtà anche rimpiangere i "vecchi", senza che il calcolo deponga nettamente a favore di una parte o dell'altra. Ma rispetto all'angosciante sensazione di affidare tutto al povero Bonner, come è avvenuto nella drammatica serie contro Dallas, era decisamente necessario un partner più incisivo per Duncan, che negli anni ha sempre mostrato di trovarsi bene anche in coppia, fin da quando condivise il campo con l'Ammiraglio.
Ecco allora i motivi della scelta di McDyess: il McDyess di oggi, il redivivo atleta dalla carriera stracolma di infortuni che è stato resuscitato a Detroit, sarà molto utile in questa chiave, giocando con Duncan, o al suo posto.
Da "tappabuchi" dei Pistons orfani di lunghi, è ritornato ad avere numeri più che mai dignitosi, è un veterano della scena, ha l'All-Star nel palmares (come Jefferson, Ginobili, Finley, Parker, Duncan). Jefferson è in un momento di stabilità di rendimento ed è alle soglie dei 30 anni.
Ha passato due anni di purgatorio senza post-season: forse addirittura un inferno per chi giocò due finali nei primi due anni di carriera. Theo Ratliff ha riconquistato la dignità di giocatore solo nell'ultima stagione, dopo due anni buoni di sostanziale inesistenza.
Una seconda linea interpretativa si muoverà sulle garanzie: cosa possono offrire i neo-speronati.
Comprare Jefferson significa comprare punti sicuri; la guardia-ala è un abituale frequentatore del ventello di media stagionale, qualità realizzativa che ben si sposa con quelle sicure di Duncan, Parker, Ginobili (sempre il nostro sesto uomo ideale), e quella "ridotta" di Michael Finley: quasi un problema di abbondanza, in casa Spurs. Non resta che vedere come si gestiranno minutaggio e tiri. Si tenga presente anche l'abilità di Jefferson nei recuperi.
Comprare McDyess equivale a rendere più ampia la rosa, a rafforzarla sotto canestro e nei rimbalzi. Garantisce di potersi ritagliare tranquillamente un posto nella rotazione, cosa che ha sempre fatto dal 2003, anno del suo effettivo rientro. E' divenuto, maturando, un ottimo animale da post-season.
L'acquisto di Ratliff è il più discutibile, eccetto che in un punto: l'unica costante statistica e pratica della carriera di Theo è la stoppata, divenuto il suo marchio di fabbrica anche quando viene impiegato per manciate di minuti, come dovrebbe avvenire in Texas, dove ha davanti almeno Duncan, Bonner, McDyess . Nella stagione appena trascorsa, è ricomparso anche ai play-off.
Sui giovani le aspettative sono un po' più limitate, nonostante all'apparenza vi sia una sfilza di prospetti: si interpreta in chiave positiva la presenza di DeJuan Blair, il ventenne che a Pittsburgh ha viaggiato ad oltre 13 punti e 10 rimbalzi, e si accoglie con interesse Nando De Colo, prelevato dal campionato francese, per il quale si auspicano maggiori analogie con Parker che con Mahinmi, il francese da 6 match in due stagioni (altro sfortunato del 1986, come Marcus Williams, tredici apparizioni in altrettante annate).
Passando alle meteore che ufficialmente fanno capo a San Antonio, Malik Hairston ('87) batte tutti, con ben quindici partite nel suo anno d'esordio. La menzione finale va a Jack McClinton, che pare sia relativamente famoso per le sue triple. Ciò ad avvalorare la tesi che il roster vada, in qualche maniera, sfoltito.
La terza prospettiva vuole esaminare le carriere di questi tre atleti, ed è forse il dato più interessante.
Sono giocatori che hanno assaporato l'anello senza mai vincerlo. Ratliff figura nella rosa di quella Philadelphia del 2001, occasione in cui i 76ers persero dai Lakers; Theo era però stato ceduto ad Atlanta a metà stagione.
Jefferson ha al passivo una doppia esperienza in finale coi Nets di Jason Kidd; quella da rookie la vide poco, e furono ancora Lakers. Quella da sophmore (2003), la perse proprio contro gli Spurs di uno strepitoso Duncan.
McDyess, trascinatore di Detroit alle ultime Series con performance da 20 e 20, è capitato la prima volta ai Pistons di Billups, Hamilton e dei due Wallace nell'anno sbagliato: una finale, sì, ma persa. Ancora Duncan e compagni.
E' il tipico mercato degli Spurs, che ha non di rado portato vittorie: lo dimostrano gli anni dei quattro titoli, senza che San Antonio abbia mai perso una finale. E' sempre stata una strategia tendente a giocatori esperti, che hanno calcato scene importanti (vedasi finale ed All-Star Game) e garantito contributi straordinari in fatto di qualità ; oltre ai già ricordati Horry e Finley si possono citare Elie e Steve Kerr nella rosa campione nel '99 (c'era, veramente, anche Perdue); Kevin Willis e Steve Smith nel 2003; Glenn Robinson nel 2005.
Gli Spurs avranno, anzi già hanno, un ottimo roster, pur nella necessità di ritoccarlo; non dimentichiamo George Hill e Roger Mason, alla migliore annata di una carriera già quinquennale. Nel complesso, il team si è forse addirittura rafforzato: con un buon record in regular season, non faticherà a migliorare la deludente eliminazione al primo turno; certo è che darà tutto. Quando poi arrivano in fondo, c'è chi trema sul serio.