La coppia che ha riportato il titolo a Los Angeles…
E sono quindici. I Los Angeles Lakers, al termine di una stagione iniziata subito dopo gara-6 delle Finali dello scorso anno perse contro i Celtics, hanno vinto il titolo NBA.
Un mese fa si è concluso un percorso lungo, importante per la crescita di un gruppo che, nonostante le difficoltà , è riuscito a portare a termine la propria missione.
Questa stagione ci ha dato degli spunti molto interessanti, anche in ottica futura, che cercheremo di esporre in questo Team Report. Innanzitutto, per tantissimi giocatori è arrivato il primo trofeo: Lamar Odom, Pau Gasol, Andrew Bynum, Trevor Ariza…tutti elementi cardine della squadra giallo-viola, capaci di dare un contributo determinante.
Per questo, mi sembra giusto soffermarsi per qualche riga su ognuno di loro.
Pagelle di fine stagione
Per tutto l'anno né io né Alessandro abbiamo dato i voti alla squadra, preferendo un'analisi globale più qualche annotazione sui singoli. Adesso però siamo a fine stagione, è tempo di bilanci e quindi uno strappo alla regola si può fare: cominciamo allora!
Kobe Bryant: non si può non iniziare da lui. Capitano, leader in campo e fuori, miglior giocatore della squadra. L'anno scorso ha vinto l'MVP della regular season, quest'anno quello delle Finali. Kobe nel corso delle prime 82 partite ha giocato un buon basket, confermando il nuovo modo di giocare degli ultimi anni. Più incline ad affidarsi ai compagni, più bravo a leggere quello che succede in campo…insomma, nel corso degli ultimi 3 anni i passi in avanti sono stati notevoli. Arriva ai play-off stanco e con il mignolo che attende sempre di essere operato, ma li gioca bene. E la palla passa, inevitabilmente, sempre dalle sue mani. Resteranno nella storia alcune sue prestazioni da urlo, come gara-1 con i Magic, gara-3 con i Nuggets e gara-2 con i Rockets. Voto: 8
Pau Gasol: se Bryant è il leader, Gasol gli è subito dietro. Fin da quando è arrivato a Los Angeles, un anno e mezzo fa, non ha mai rifiutato le sue responsabilità , sia in attacco che in difesa. Giocatore di post sopraffino, bravo sotto canestro ma anche dalla media distanza, buon passatore e capace di farsi sentire anche nella propria metà campo. La sua capacità di limitare Howard nel corso delle Finali è stata una delle chiavi del successo dei Lakers. In pochi credevano ad uno spagnolo così grintoso, e invece si è rivelato una piacevole sorpresa. Da non dimenticare anche la prestazione maiuscola nel big match natalizio contro i Celtics, in una delle partite di regular season più belle degli ultimi anni. Voto: 8
Lamar Odom: partito come sesto uomo, Lamar non ha mai fatto polemiche per quello che era il suo ruolo all'interno della squadra. Anzi, ha sempre dato un grande contributo, e pur essendo un giocatore da alti e bassi ha trovato una continuità difficile da pronosticare. Il tandem che forma con Gasol è fantastico, i due si sono "piaciuti" fin dalla prima partita, prova ne sono le numerose interviste post-gara che tenevano insieme. Da quel poco che un tifoso distante migliaia di chilometri può capire, Odom sembra un ragazzo buono, che non manca di confermare questo suo carattere con gli atteggiamenti. Rinunciare a lui potrebbe essere molto difficile. Voto: 7,5
Derek Fisher: a quasi 35 anni, il veterano Fisher conquista il quarto anello della sua carriera. Una carriera da comprimario e non da stella, certo, ma la sua importanza all'interno della squadra è innegabile. Il fisico lo supporta sempre di meno, e i minuti giocati infatti diminuiscono di anno in anno, ma sono pochi i giocatori, stelle a parte, che riescono a mettere due triple così pesanti come ha fatto lui in gara-4 delle Finali. Kobe, che ha condiviso con Fisher 10 stagioni ai Lakers, ha detto: "adoro questo ragazzo, è un guerriero". E guarda caso, a fronte di una stagione sufficiente e nulla più, il guerriero ha tirato fuori gli artigli nel momento topico. Voto: 6,5
Trevor Ariza: la vera sorpresa, in positivo, della stagione. Piano piano Trevor è riuscito a guadagnarsi la stima di Phil Jackson e, di conseguenza, un posto da titolare nello scacchiere dei Lakers. Una volta ceduto Radmanovic, ci si è affidati a lui, e la fiducia è stata ripagata profumatamente. In più, la soddisfazione di vincere l'anello proprio contro quella squadra, gli Orlando Magic, che lo hanno venduto meno di un anno e mezzo fa. Certo, nessuno poteva pensare ad un miglioramento così repentino, e soprattutto che questo ragazzo avesse tutta la voglia di crescere dimostrata. Quasi il 50% dall'arco, una grande difesa e giocate decisive. Difficile chiedere di più. Voto: 7+
Andrew Bynum: i Lakers ripartiranno da lui il prossimo anno, e non potrebbe essere altrimenti. Per ora, Bynum è una scommessa vinta a metà : ha spunti da grande campione, doti fisiche e tecniche nettamente sopra la media, ma deve ancora salire alcuni gradini. Nei play-off le difese erano più attente e lui ne ha sofferto, inoltre ha dimostrato tutta la sua difficoltà in fase difensiva. Rimandato, per ora, anche se le carte in regola per fare bene da qui in avanti le ha. Sta a lui sfruttarle o rimanere "uno dei tanti". Infortuni permettendo, naturalmente. Voto: 5,5
Luke Walton: che non sia un buon difensore, lo sappiamo tutti. Che non abbia qualità spiccate, anche. Eppure, soprattutto nel corso dei play-off, ha saputo rendersi utile, anche in difesa. Per lui era la terza finale, e ha dimostrato una concentrazione che spesso gli è venuta meno negli anni passati. Gioca poco, vista l'esplosione di Ariza, ma riesce ad essere prezioso anche in quei pochi minuti, facendo vedere se non altro una maturità insospettabile. Voto: 6
Sasha Vujacic: rispetto all'anno scorso il passo indietro dello sloveno è evidente. Ha giocato poco, e con l'esplosione di Ariza i suoi spazi si sono ridotti considerevolmente. Fare la riserva di Bryant non è stato semplice, e nei play-off non ha mai dato l'impressione di poter essere un cambio importante dalla panchina. Voto: 5
Jordan Farmar: il play di riserva non ha demeritato, ma non ha neanche incantato in questa stagione. E' il giocatore, insieme a Bynum, che può avere un ruolo più importante nella squadra, fin dal prossimo anno. Fisher ha sempre più anni sulle spalle, e Farmar ne potrebbe prendere il posto…anche se, fino ad ora, non ha dimostrato di essere sicuramente al livello del compagno. Voto: 6
Shannon Brown: arrivato a febbraio, sembrava un giocatore destinato ad andar via alla scadenza del contratto (un mese fa), e invece ha ottenuto un rinnovo biennale. I suoi mezzi atletici sono notevoli, l'applicazione pure, e non è detto che la sua ascesa nelle rotazioni dei Lakers sia finita qui. Voto: 6+
Josh Powell, DJ Mbenga, Sun Yue, Adam Morrison: non giudicabili, visti i pochi minuti disputati sia in stagione regolare che nei play-off.
Phil Jackson, il numero uno
No, non ci siamo scordati di Coach Zen. Da anni uno dei personaggi più affascinanti del basket a stelle e strisce, Phil Jackson ha raggiunto l'ultimo obiettivo della sua carriera: superare il leggendario Red Auerbach nella lista dei coach più titolati.
Come ogni traguardo leggendario, raggiungerlo non è stato facile. L'allenatore dei Lakers e dei Bulls anni '90 era arrivato ad un passo dal superare Auerbach già nel 2002, ma ha dovuto aspettare sette anni prima di portare a casa il decimo titolo.
Su di lui si sono dette e si continueranno a dire tante cose, ma una certezza l'abbiamo già : un allenatore più vincente deve ancora nascere.
Certo, un ruolo fondamentale in questi dieci successi lo hanno avuto (tanto per fare qualche nome) Michael Jordan, Scottie Pippen, Shaquille O'Neal, Kobe Bryant e altri campioni che sono passati sotto le sue cure. Ma il valore di Coach Zen va oltre le vittorie.
A livello tecnico Jackson non sarà forse il miglior allenatore della storia, ma ha due caratteristiche che lo rendono speciale e, per certi versi, unico:
1) La capacità di essere un grande motivatore: tutti i giocatori più forti che ha allenato gli hanno riconosciuto questo pregio. Jordan diceva che, all'apice della carriera, quando sentiva di dover trovare nuove sfide e nuovi stimoli per rendere al meglio, andava proprio dal suo allenatore e gli chiedeva come reagire a quegli stati d'animo.
O'Neal ha detto senza mezzi termini che è stato lui a fargli fare quel salto di qualità di cui aveva bisogno, non a livello fisico o tecnico ma mentale, e ne è uscito uno dei giocatori più vincenti dell' ultimo decennio.
Con Bryant, invece, Jackson ha compiuto un capolavoro: i rapporti tra i due erano tesissimi nel 2004, quando il coach andò via dai Lakers. Eppure è stato proprio Kobe, dopo un solo anno di separazione, a rivolere indietro il "suo" allenatore, e ha dichiarato di saperne apprezzare, oggi più di qualche anno fa, le sue qualità di motivatore.
2) Il temperamento: spesso vediamo il coach stare calmo, seduto sulla sua sedia, qualsiasi cosa succeda in campo. Questo suo atteggiamento ha portato molte persone a ritenere Jackson un tipo freddo, ma in realtà non è affatto così.
La sua non è freddezza. E' temperamento.
Qualsiasi cosa succeda, il coach sembra sempre avere il polso della situazione. Che la sua squadra stia perdendo di 20 punti o stia vincendo di 40, difficilmente noteremo delle differenze in lui. Non è tipo da dare calci alle sedie né il tipo che sbraita contro gli arbitri o i suoi giocatori.
Raramente lo vediamo discutere con chi gli sta intorno: a volte lo fa, anche in modo acceso, ma sempre per dare un segnale alla sua squadra. Un paio di esempi? Prendiamo gli ultimi play-off e i rimproveri nei confronti di Odom nella serie coi Nuggets, per esempio. Sarà un caso, ma da quando Lamarvellous ha subito quei rimbrotti dall'allenatore, il livello del suo gioco si è alzato, fino ad arrivare ad una splendida serie finale.
E ancora, che dire di Bynum che si lamentava di giocare poco nei minuti finali delle partite? Anche lì, la risposta è arrivata pronta: "quando sarà più esperto e in grado di darci qualcosa in più in difesa, verrà accontentato". Puntualmente, Bynum ha mostrato le sue carenze da aprile in poi, passando più tempo in panchina che in campo per problemi di falli.
Insomma, la sua filosofia è riassumibile così: cercare di dare tutta la tranquillità possibile alla squadra, ma senza esagerare. Quando c'è da alzare la voce si alza, ma deve essere l'ultimo rimedio a disposizione.
Mentalità + Difesa = Successo
Lo abbiamo detto per tutta la regular season: i problemi di questa squadra erano in difesa, non certo in attacco. Bastava vedere il roster e si trovavano molti grandi attaccanti, qualche ottimo difensore e diversi giocatori che, nella propria metà campo, si sono mostrati discreti e niente più.
Tolti Bryant, Ariza e Odom, che erano i tre difensori migliori a disposizione, rimanevano grossi dubbi su Fisher e Gasol. Il primo, ogni anno che passa, perde smalto e velocità , mentre il secondo doveva rispondere alle accuse di chi lo definiva "soft".
Fisher ha confermato le sue carenze difensive, mentre Gasol ha semplicemente meravigliato. A parte qualche passaggio a vuoto nelle serie coi Rockets e coi Nuggets, lo spagnolo ha disputato una prova difensiva maiuscola in finale contro il miglior centro della NBA, Dwight Howard, e nel resto dei play-off.
Importante è stata anche la mentalità vincente mostrata da questo gruppo, nessuno escluso. Potremmo citare la famosa gara-4 delle Finali, oppure gara-7 coi Rockets, classica partita da dentro o fuori. Ma anche gara-6 con i Nuggets.
Insomma, quando questi giocatori si sono trovati con le spalle al muro hanno dimostrato di riuscire a giocare al massimo, trasformando le pressioni in energia positiva. Dote indispensabile per chi punta alla vittoria.
2008-2009: la Top Ten
In conclusione, una panoramica sulla stagione giallo-viola: ecco i 10 momenti più significativi di quest'anno, destinati ad essere ricordati nel tempo e che, in qualche modo, hanno rappresentato le fasi più emozionanti della stagione.
10. Kobe&Shaq co-MVP dell'All-Star Game (15 febbraio 2009): alzi la mano chi, tifoso giallo-viola o meno, è rimasto indifferente a questa scena. Vedere i due amici/nemici per eccellenza alzare lo stesso trofeo di MVP, a distanza di 5 anni dalla separazione, è un'immagine che colpisce. Segno di un rapporto che è migliorato, anche se Shaq a Cleveland potrebbe dare ancora qualche grattacapo a Kobe…
9. Radmanovic o Walton? Ariza! (10 marzo 2009): all'inizio della stagione lo spot di ala piccola titolare viene occupato da Radmanovic. Il serbo non convince, e gli subentra Walton. Quest'ultimo se la cava abbastanza bene, ma non basta. In panchina c'è Ariza, losangelino di 24 anni, che prenota un posto in quintetto. A marzo lo ottiene, e da quel momento diventa un elemento cardine della squadra.
8. I 61 punti di Kobe al Madison Square Garden (2 febbraio 2009): quando il pubblico di New York si alza in piedi per applaudire un giocatore avversario, vuol dire che quel giocatore ha qualcosa di speciale. Bryant mette a segno uno storico record, segnando 61 punti nello scenario più prestigioso per un giocatore di basket. E il pubblico apprezza.
7. Gara-7 coi Rockets (17 maggio 2009): in pochi si aspettavano che i Lakers potessero essere eliminati dagli Houston Rockets. Praticamente nessuno credeva a questa ipotesi dopo l'infortunio di Yao Ming. Eppure, è stata necessaria gara-7 per avere ragione dei ragazzi di Adelman. Di fronte alla prima gara da dentro o fuori, i ragazzi guidati da Phil Jackson si impongono di autorità , rifilando 19 punti di scarto agli avversari.
6. Gli occhi della tigre di Kobe in gara-1 delle Finals (4 giugno 2009): nella prima, attesissima gara delle finali, Kobe si fa trovare pronto. 40 punti, 8 assist e 8 rimbalzi, con una serie di giocate sopraffine, soprattutto nel terzo quarto. E' qui che prende palla a 10 secondi dal termine, punta Pietrus, segna e subisce il fallo. Subito dopo il canestro, digrigna i denti e lo sguardo cattivo. I Magic vengono travolti.
5. Gasol si esalta coi Celtics (25 dicembre 2008): la partita di Natale è attesissima anche quest'anno: la NBA mette di fronte le due finaliste dell'anno scorso, e la partita è bella e tirata. A rompere l'equilibrio sono Bryant e Gasol, con quest'ultimo in grande evidenza e capace di mettere i canestri decisivi nel finale. I giallo-viola si prendono la loro rivincita, ma soprattutto lanciano un segnale all'intera lega.
4. I Lakers detronizzano i Cavaliers: e che Lamarvellous! (8 febbraio 2009): tutti si aspettano che a decidere la sfida saranno Kobe o LeBron, e dal nulla sbuca Lamar Odom. I Cavaliers erano rimasti imbattuti tra le mura amiche nei primi 100 giorni di regular season, ma contro i Lakers non c'è nulla da fare. Odom giganteggia, mettendo a referto 28 punti e 17 rimbalzi, con un incredibile 13 su 19 dal campo. 101-91 il risultato finale.
3. Ancora tu, Fish (12 giugno 2009): le due triple messe a segno da Fisher in gara-4 sono destinate a rimanere nella storia dei Lakers e delle Finali in generale. 0 su 5 da dietro l'arco fino a quel momento, il numero 2 giallo-viola prende la palla e mette a segno i punti del pareggio con 4 secondi da giocare. Non contento, porta i suoi sul +3 nel supplementare con un minuto sul cronometro, ancora una volta con una tripla. Subito dopo, si fa 20 metri camminando all'indietro e ridendo. Eh sì, l'ha fatta proprio grossa.
2. Zen Ten (14 giugno 2009): ne abbiamo parlato diffusamente in precedenza: quello che da molti, colleghi in primis, viene definito "il miglior coach di sempre" vince il suo decimo titolo. E corona un percorso iniziato 4 anni fa, quando per la prima volta in carriera gli venne dato il compito di progettare nel tempo una squadra da titolo, invece di doverla semplicemente amministrare.
1. L'anello di Kobe (14 giugno 2009): gli obiettivi dei fotografi sono tutti per lui. Se prima il posto di Kobe nella leggenda veniva messo in discussione da poche persone, adesso quasi nessuno se la sente di tenerlo fuori dall'Olimpo dei giocatori di basket. Sei finali, quattro anelli, svariati record e un'eleganza che nessun altro giocatore ha. Di giocatori così ne nascono pochi: lui è uno di quelli.