L’NBA al tempo della crisi

Si, la crisi c'è, ma non proprio per tutti…

La NBA è uno straordinario mercato sportivo.
Uno spettacolo fatto di grandi personaggi, di incredibili giocate, di partite leggendarie, ma anche di capienti arene, un folto pubblico, logiche e politiche di marketing e merchandise che ne hanno fatto un modello di riferimento.

Ed è proprio per questi motivi che anche la principale lega di basket americana si trova a dover fare i conti con una crisi economica pesante, che ha colpito ogni settore e dove tutti, anche chi magari potrebbe guardare in faccia la crisi e prenderla a calci, sembra capire che il momento è troppo delicato per commettere azioni imprudenti, oggi all'apparenza senza conseguenze, ma domani potenzialmente devastanti.

E' notizia dei mesi invernali delle difficoltà  attraversate da svariate franchigie Nba, in particolare quelle che non possono contare su bacini d'utenza come New York o Los Angeles e dunque, in periodi come questo, hanno ben poco da scegliere: cercare di scambiare i contratti più pesanti, puntare e concedere sempre più spazio e visibilità  a giovani per ora promettenti (e niente più), con la speranza che diventino presto potenziali All Star e restare concentrati al massimo sulle strategie del draft.

Pescare il talento giusto, che poi non dev'essere necessariamente il miglior giocatore del college, può rappresentare una svolta di non poco conto per una franchigia.

Vorrei iniziare citando come esempio il caso degli Oklahoma City Thunder, squadra trasferita da Seattle, ma che fino a 12-18 mesi fa aveva una situazione salari ben più impegnativa di quella attuale (poco sopra i 41 milioni, secondo hoopshype.com).

Ora i proprietari della franchigia si trovano con un monte salari diminuito del 25% circa rispetto a quello dell'anno scorso, possono contare su un roster che non sarà  da finale Nba, ma certamente non è peggiore di quello precedente, hanno una superstar in continua crescita (Durant), supportato da giocatori come Westbrook ed ora anche i giovani rookies James Arden e BJ Mullens, che sono ottimi prospetti.

Il risultato è stato buono, da un punto di vista puramente economico. Non c'è bisogno di essere fini analisti per capire quali sono state le priorità .

Intanto ora la squadra può guardare con tranquillità  al mercato dei free agents, ma soprattutto è consapevole che, la prossima estate, sarà  una delle più scariche, e quindi potenzialmente una protagonista.

Insomma, è la Nba che, come tante altre aziende del mondo, si trova a fronteggiare una crisi pesante come non si ricordava da tempo?
Ecco, qui il discorso cambia e si fa decisamente più interessante.

Perché è vero che negli ultimi 12 mesi il contesto stia cambiando.
Tutto è diverso, ma la situazione non è poi così complessa da decifrare.

Quel che accade è semplice: la crisi mette in luce senza pietà  la diversità  tra le varie franchigie, con i loro bacini d'utenza, i (potenziali) mercati, le speranze (spesso vane).
In tante città , interi settori di stadi e arene sono rimasti mezzi vuoti, con gli sponsor non possono più garantire l'appoggio di qualche anno fa, e in generale la situazione globale non aiuta.

Per fortuna, però, e questo è il vero "tesoretto", il prodotto Nba mantiene il suo appeal, anche in giro per il mondo, altrimenti sarebbero guai seri.

Tuttavia, ed ecco che il cerchio si chiude e torniamo al punto di partenza, è innegabile che ora il mercato segua regole che spesso addetti ai lavori ed appassionati faticano a capire. E i risultati, altrettanto spesso, danno loro ragione.

Abbiamo parlato di crisi no? Di franchigie attente al bilancio, a non scialacquare dollari, a non oltrepassare di un centimetro la famosa linea di non ritorno" bene.

Negli ultimi giorni stiamo assistendo a movimenti, rinnovi e offerte che, sinceramente, non ci saremmo aspettati di questi tempi e che puntualmente smentiscono quella che sembrava una situazione piuttosto consolidata e uniformata, per moderazione e sobrietà .

La crisi è la vera protagonista del mercato?
Il mercato per questa estate "di transizione" (in vista di quella così attesa del 2010) sembrava contraddistinto da logiche di contenimento dei costi, dei tentativi di scambio dei contratti più pesanti, del risanamento e dell'alleggerimento.

In questo particolare momento, le squadre si potrebbero dividere in tre grandi gruppi: quelle che sentono maggiormente il peso della crisi (e di conseguenza limitano i costi e gli ingaggi), quelle che, pur non scialacquando dollari a destra e manca, puntano ad alleggerire il cap per poi provare ad ingaggiare una superstar l'estate prossima (non si sa bene per quali articolati progetti futuri) ed infine le attuali contender (o comunque quelle che sanno di poterlo essere) che puntano a vincere e pazienza se si va in terreno di luxury tax.

Della prima categoria fanno parte le franchigie che spesso abbiamo citato nel corso dell'anno, al tempo del finanziamento della Lega per le squadre in crisi. Per un anno (magari anche di più), i progetti tecnici finiscono nel cassetto e si passano le giornate a difendere le casse, in attesa di tempi migliori. Trades, spesso con tanto di scambi di scelte al draft, sono la regola.

Nella seconda categoria, ecco invece squadre e GM che lavorano soprattutto in vista della prossima stagione. Il che non significa che non pensino al presente, ma solo che ogni mossa di mercato, rinnovo, trade, opzione di qualunque tipo viene fatta in previsione della "grande estate".

Qualche esempio? Ce n'è davvero bisogno?
I Knicks su tutti, ma senza dimenticare Miami (scadrà  O'Neal), Chicago, New Jersey ed altre. Qualcuna potrebbe trasformarsi immediatamente in contender (ed ecco che torna il discorso sulle grandi piazze e i grandi mercati), altre magari ci metteranno più tempo.

Terza categoria: quella più facile da definire, formata da squadre che sono già  vere contender, reduci da stagioni vincenti, o comunque positive.

La vera differenza rispetto al passato, tuttavia, è che sembra ridursi sempre più il numero di coloro che lavorano con programmi precisi, a lunga scadenza, in vista di un obiettivo: far crescere un roster giovane, sviluppare tecnicamente un giocatore e costruirgli intorno una squadra ambiziosa, ecc"

Da questo punto di vista, merita una citazione il caso dei Trail Blazers che, per uscire da un periodo difficile, hanno optato per un articolato progetto di ricostruzione.

Risultato: in 4 anni la squadra è passata dal peggior record della Lega ai playoff, con ottime prospettive per i prossimi anni. Merito di un GM in gamba come Kevin Pritchard.
E non è finita, visto che i Blazers starebbero puntando un altro giocatore di grande spessore come Paul Millsap.

Bene. Tutto questo fino a qualche giorno fa.

Ma" non c'era la crisi?
Poi, evidentemente, qualcosa dev'essere cambiato, perché pochi, detto sinceramente, si aspettavano i botti che hanno movimentato questi primi giorni di quella che doveva essere "l'estate della crisi", ma che forse non è più giusto definire così.

Da Big Cactus in poi, il mercato ha regalato tante sorprese.

Una piccola analisi:

– Cleveland Cavs: scaduti diversi contratti, la dirigenza ha pensato bene di creare un'accoppiata potenzialmente devastante, mettendo Shaquille O'Neal al fianco di Lebron. Fin qui tutto bene.
Ora però si tratta di allungare un roster con uno starting five da titolo, ma la panca corta.
Se quel che si legge è vero, ha senso, mi chiedo, l'offerta di 10 milioni l'anno a Varejao (per 5 anni)? Si cercano risposte.

– Los Angeles Lakers: era l'estate della scadenza di Ariza e Odom. Il secondo dovrebbe restare, il primo è passato a Houston, forse per un'offerta più sostanziosa. Ma eccolo il colpaccio di LA: dal Texas è arrivato Ron Artest. Risultato: quintetto pazzesco, da three-peat. Il problema? Un monte salari già  altissimo, per quest'anno e il prossimo. E manca ancora il rinnovo di Odom.

– Boston Celtics: hanno risposto in fretta, firmando un altro giocatore come Sheed Wallace, signor difensore fatto apposta per il sistema Celtics e che, se troverà  l'ambiente giusto, formerà  il completamento ideale per i lunghi di Boston. Anche qui il monte ingaggi non è esattamente basso, e c'è ancora da ritoccare la panca e capire cosa si farà  con Rondo.

– San Antonio Spurs: ai big Three dell'Alamo (Parker-Ginobili-Duncan) è stato aggiunto Jefferson, ottimo giocatore, che porterà  via quasi 30 milioni in due anni ma anche (potenzialmente) tanti punti.
Qui, il problema è l'età  di un roster sempre di grande qualità , ma che rischia di essere sempre più penalizzato dalla carta d'identità , e quindi dagli infortuni. Forse con l'aggiunta di un altro super-veterano, Antonio McDyess. Funzionerà ?

– Orlando Magic: si sapeva del rischio di perdere Turkoglu. Ma la domanda sorge naturale: perché non rifirmare il Turco, che sappiamo quanto fosse importante per la squadra, e prendere sì un giocatore straordinario qual è Vince Carter, ma con un contratto parecchio oneroso (2 anni + opzione)? Siamo così sicuri che un simile investimento, in un contesto costruito con pazienza da Van Gundy, riporterà  i Magic in finale? O forse è stata solo una mossa di mercato (merchandise)? Più semplicemente, perché non tenere Hedo e prendere Carter?
Senza contare che manca ancora il cambio di Howard"

Orlando a parte, sono tutti movimenti che hanno già  rinforzato ulteriormente le principali favorite al titolo, ancor prima di andare in campo, scavando un solco ancor più profondo tra queste e le altre squadre.

Potrei continuare, ma sapete tutti come stanno andando le cose.
Per questo, ancor di più, restano i dubbi su un mercato partito da un basso profilo e che invece potrebbe rubare la scena alla prossima estate, ben più quotata.

Ha fatto discutere gli appassionati la strategia di Toronto che, dopo aver provato con J-O'Neal insieme a Bosh e Bargnani, ha cambiato coach e piani per il futuro, con tanto spazio ad Andrea.
E' finita con il rinnovo di Bargnani, addirittura per 50 milioni in 5 anni. Non male in tempo di crisi, per una piazza come Toronto.

Ma non è finita, perché in Canada arriverà  anche Turkoglu, per cifre non certamente basse (altrimenti sarebbe rimasto ad Orlando). Dunque è ipotizzabile pensare alla partenza di Bosh, a fine stagione. Ma alla squadra manca sempre un centro. Altri dollari.

A questo punto i 18 milioni in 3 anni che, stando alle voci, Atlanta darà  ad un play esperto come Bibby sembrano persino pochi"

Ingente anche l'investimento dei Pistons su Gordon e Villanueva, più che altro perché avviene in un contesto profondamente mutato negli ultimi 12 mesi, e quindi tutto da decifrare. Ma i due sono giovani e si portano dietro buone doti statistiche; alla lunga, l'investimento potrebbe pagare.

E la crisi?

La crisi la sentono tutte quelle franchigie che hanno lavorato quasi solo in sede di draft, puntando i migliori prospetti o scambiando le scelte per alleggerirsi dei contratti più onerosi.

Al vertice, la geografia della Lega alla fine della stagione 2007-2008, per esempio, già  radicalmente mutata dopo il campionato appena terminato, subirà  altri profondi cambiamenti.

San Antonio tornerà  tra le prime 4 dell'Ovest, senza il turco Orlando difficilmente tornerà  in finale, probabilmente neppure quella di conference. Avremo quattro-cinque squadre in grado di piazzare una stagione da 60-65 vittorie, qualche buon team a dar fastidio (Portland, Denver, Utah, forse Chicago) e tutte le altre dietro.

Sempre più selettivo.

Intanto il salary cap si abbassa, proprio alla vigilia della fatidica soglia del 2010, quando la lista dei free agents sarà  composta da nomi come James, Wade, Bosh, tanto per citarne alcuni.

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