Vent’Anni Fa

La storica palla che sfila dietro Bill Buckner

Sabato 25 ottobre 1986

Sono esattamente vent'anni che seguo i Boston Red Sox. Vent'anni fa una pallina battuta da Mookie Wilson rotolò fra le gambe di Bill Buckner. Era la sesta partita delle Serie Mondiali del 1986 e nella prima metà  del decimo inning i Red Sox avaveno segnato due punti per prendersi un vantaggio di 5-3. Poiché guidavano la serie (sui New York Mets) per 3 partite a 2 erano a solo tre out dal vincere il loro primo campionato dal 1918, ben 68 anni prima.

I Mets fecero subito due out nella parte bassa del decimo e poi con tre singoli, un lancio pazzo ed un errore, tutto con due out, trovarono il modo di segnare tre punti e vincere la partita pareggiando la serie. Molti giocatori dei Red Sox piansero uscendo dal dugout e, dopo il rinvio di Gara 7 per la pioggia fino al lunedì successivo, Bruce Hurst (che ovviamente come qualche smart ass ha subito ricordato è l'anagramma di B Ruth Curse) non seppe mantenere un vantaggio di 3-0 oltre il sesto inning e New York vinse anche Gara 7 ed il titolo.

Vidi quella partita alla televisione sul canale delle forze armate americane (AFN) che allora ed anche oggi si riceve in alcune zone d'Italia (ora non si riceve se non con il decoder satellitare). Fu la mia prima partita di baseball in diretta in assoluto o che comunque ricordo. La mia vita (di seguace/semi-praticante dello sport) dominata fino ad allora dal rugby, dall'Inter e dall'Udinese e poi dai Celtics di Larry Bird mi fu rapita da questo gioco sconosciuto di mazze in legno e palle in pelle di cavallo (adesso solo di mucca) cucite con 216 punti di filo di cotone rosso.

Iniziai a seguire quotidianamente le vicende di questa franchigia distante 4000 miglia da casa mia. Ne lessi la storia. Come si dice adesso, "allora non c'era internet" e sapete tutti cosa voglio dire. Recuperare le informazioni ora è diventato molto più facile, ci sono addirittura anche i forum per discutere delle proprie passioni. Nei primi anni riuscii a coinvolgere un compagno di classe ed amico (lo stesso col quale sono andato a Boston nel 2001 e nel 2004). Ma trovare altri tifosi di baseball o dei Red Sox era impossibile.
Quando siamo arrivati in America, o meglio a Boston, nei due nostri viaggi i locali si sono stupiti che seguissimo così assiduamente una squadra tanto lontana sportivamente, geograficamente e culturalmente dall'Italia. Ma ormai eravamo/siamo malati cronici, non curabili.

La mia passione

Mi chiedo cosa sarebbe successo se avessero vinto. Forse non sarebbe neppure nata. Forse è stato proprio lo shock di vedere una squadra di Boston perdere in maniera talmente incredibile a farmi avvicinare ai Red Sox con tanta ossessione e ad uno sport così nuovo, diverso, ma che ha momenti di drammaticità  sconosciuti ad altre discipline. Forse devo ringraziare Buckner per aver commesso un errore così spettacolare nella sua gravità . Un errore che ti fa davvero pensare: ero nel posto peggiore nel momento peggiore ed è accaduta la peggiore cosa che potesse capitarmi vicino a quella maledetta prima base. Sia a me che a Buckner. Buckner, ha confermato recentemente la moglie, non ha mai tentato il suicidio ed io non ho mai tentato di farlo fuori. Magari ho pregato che gli andasse in storto un pretzel.

O forse fu quel 1986 che segnò la città  di Boston e catturò il suo joe, non ufficiale cittadino onorario – tempo fa pensavo anche di volare oltreoceano, ubriacarmi e farmi arrestare nella capitale del Massachusetts per dire di avere una foto in qualche registro bostoniano, e se non in municipio, almeno in una stazione della polizia. Un 1986 che vide i Patriots al Superbowl, i Celtics alle finali NBA ed i Red Sox alle World Series. Le tre andarono 1-2, ma segnarono un'annata sportiva clamorosa.

Oppure è proprio come scrive Roger Kahn nel suo meraviglioso libro "The Boys of Summer":

“You may glory in a team triumphant, but you fall in love with a team in defeat.”

Due cose oggi mi consolano: l'arrivo a Boston di Bill Belichick e l'arrivo sul calendario di: A.D. 2004.
Il 2004 sarà  comparabile al 1986, anzi migliore (Boston andrà  2-0) e porterà  la grande catarsi (ma ne parleremo un'altra volta).

Ritornando a quella fatale partita, a Gara 6 (scusatemi, ma non riesco a parlarne senza parlare anche di me) non fu l'errore di Buckner che perse la partita, ma fu una serie assurda di sbagli e coincidenze che avvennero in quella metà  inning. Se anche Buckner avesse fatto l'out, ed avrebbe dovuto battere il veloce Mookie nella corsa verso il sacchetto di prima perchè il lanciatore Bob Stanley non coprì la giocata, la partita sarebbe andata avanti, all'undicesimo inning sul punteggio di 5-5, non certo una garanzia di vittoria, specie dopo quel disastro psico-sportivo targato Calvin Schiraldi – Stanley che, con la collaborazione del ricevitore Rich Gedman (idolo!), aveva già  fatto entrare i due punti del pareggio.

Tanto per capire l'atmosfera: la moglie di Gedman e quella di Stanley si azzuffarono sulla chiamata dello scorer ufficiale: lancio pazzo. La dolce metà  di Stanley voleva che la chiamata fosse: palla mancata (dal catcher)!

Ricordo che ero sveglio perché volevo vedere il GP d'Australia di Formula Uno con tre piloti a contendersi il titolo mondiale proprio nell'ultima gara della stagione e facendo zapping tra i canali vidi un ragazzone che lanciava missili da un monticello. Indossava una maglia grigia con una grossa scritta nera BOSTON in mezzo del petto. Il mio dito sul telecomando si fermò e non si mosse più da qual canale, anzi non si è più mosso. Presi anche delle note durante le partite e le ho ancora scritte in un vecchio diario colore blu scuro.

Roger Clemens lanciò sette inning concedendo quattro valide e due punti (uno solo guadagnato, l'altro causato da un errore del grande Dwight Evans, paradossalmente uno dei più grandi difensori di ogni epoca) e registrando ben otto strikeouts. Fu tolto per un pinch hitter, Mike Greenwell, allora un rookie (preferito in quella circostanza al veterano Don Baylor). Clemens fu tolto perché aveva una vescica sulla mano, sebbene avesse domato per bene le mazze dei Mets. L'allora manager dei Red Sox, John McNamara, per anni sostenne invece che fu il Rocket a chiedergli di uscire. I Red Sox segnarono il 3-2 nell'ottavo su errore di Ray Knight e così McNamara andò al closer Schiraldi per una 2-inning save. I Mets segnarono subito il pareggio, ma a Schiraldi fu fatto lanciare anche il nono. Nella parte alta del decimo Dave Henderson batte un fuoricampo e Marty Barrett manda a casa Wade Boggs (che aveva battuto un doppio) per il 5-3.

Cosa successe in quella drammatica metà  inning

Fast rewind"è appena finita la parte alta del decimo. I Red Sox hanno segnato due punti ed ora conducono la partita per 5-3. Come detto sono a tre out dal vincere le World Series.

Sullo schermo della Tv appare una nota che dice:

CHICAGO CUBS 1908
CHICAGO WHITE SOX 1917
BOSTON RED SOX 1918

Sono gli anni dell'ultima vittoria delle tre franchigie più a secco della storia del baseball. Mi rendo conto che la vittoria sarebbe qualcosa di clamoroso. Sono abituato ai Celtics che hanno appena vinto il loro terzo anello dell'era Bird. Vincere è quasi normale
Ma questo sarebbe davvero importante, storico.

Stanley è pronto nel bullpen. Ma Schiraldi resta sul monte. Wally Backman batte una volata a sinistra per il primo out, mentre Keith Hernandez alza una candela non troppo profonda verso il centro e Dave Henderson (Hendu) la prende con facilità . Questa immagine è quella che è più viva nella mia mente, Hendu che stringe la palla con guanto e mano e fa un mezzo sorriso e poi rilancia verso l'infield. Sa che ormai è fatta. Sul tabellone dello Shea Stadium appare la scritta: "CONGRATULATIONS BOSTON RED SOX 1986 WORLD CHAMPIONS". Altri reports dicono che la scritta fu: "CONGRATULATIONS RED SOX ON YOUR WORLD SERIES VICTORY". Cambia poco. Si parla spesso di memorie confuse o di ricordi sfuocati. Io mi ricordo bene. Troppo bene.
Manca un solo out. Diciassette lanci seguiranno, tutti avrebbero potuto portare l'out decisivo, ma nessuno lo fece. Anzi il lancio 17 portò il pareggio ed il lancio 19 la sconfitta.

Con due out Gary Carter tiene in corsa i Mets battendo un singolo a sinistra sul conto di 2-1. Kevin Mitchell, battendo per il lanciatore Rick Aguilera, infila un singolo al centro sul conto di 0-1 mandando Carter in seconda.
Schiraldi (il closer di Boston che era entrato nell'ottavo ed aveva bruciato la salvezza facendo entrare il punto del 3-3) resta sul monte e lancia subito due strike a Ray Knight ed i Red Sox sono ad un solo strike dalla vittoria. Knight azzecca una mezza volata che cade a metà  strada fra gli interni e Hendu e cha manda a casa il 4-5 e manda Mitchell in terza base. A quel punto John McNamara, il manager di Boston, va al bullpen. Tocca a Bob Stanley. Bob Stanley, veteranissimo dei Red Sox è pronto fin da inizio inning ("he was throwing gas in the pen" disse il bullpen coach anni dopo), anzi si aspettava di entrare a salvare la partita proprio ad inizio inning, a basi vuote. Anche Dave Stapleton, il prima base "difensivo", si aspettava di entrare al posto di Buckner, ma non andò così.

Mookie Wilson va al piatto, la folla sta impazzendo dalla tensione. Da una sicura sconfitta ora c'era la possibilità  non solo di rimontare o di pareggiare, ma addirittura concretamente di vincere. Il punto del pareggio in terza base e quello della vittoria in prima.

Sul conto di 2-2 Wilson batte un foul e Boston è nuovamente ad un solo strike dal vincere le serie Mondiali. Wilson batte altri due foul ed il conto resta 2-2, poi l'ottavo lancio di Stanley non è controllato da Rich Gedman, il catcher, Mitchell segna il 5-5 e Knight corre fino in seconda. Dopo un'altra battuta foul, Wilson batte una rimbalzante verso la prima base. Buckner si trova dietro la base e si abbassa per raccogliere la palla ma non la trova più. La piccola bestiolina bianca sta rotolando innocente dietro di lui. Knight corre fino a casa tra il tripudio dei tifosi e l'incredulità  dei Red Sox ed i Mets vincono 6-5. Il mondo mi crolla addosso perché capisco, comprendo e divento portatore, in un microsecondo, di 68 anni di frustrazioni.

E non si può tornare indietro.

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