Pitching and Defense

Jeff Weaver è stato strepitoso nelle finali!

E' un ritornello che sentiamo spesso, si vince con un buon monte di lancio e con una difesa superiore alla media. Va bene avere i grandi slugger, i battitori potenti per la stagione regolare: l'Albert Pujols di turno, in 162 partite di stagione regolare, troverà  prima o poi, spesso prima che poi, il ritmo e finirà  per battere .315, sparare in tribuna 45 HR e mandare a casa 125 punti.

Ma quando arriva la postseason, quella ministagione, chi è freddo al piatto non ha tempo di trovare il ritmo e chi magari ce l'ha ci mette pochissimo a perderlo (prova numero 1A il signor Placido Polanco che entrato nelle World Series battendo .471, tra ALDS ed ALCS, ha finito le 5 gare di finale con un imbarazzante 0 su 17) ed invece coloro che sembrano sempre in forma sono i lanciatori. Nei playoffs è bene avere i cavalli di razza, i partenti di qualità , gli assi del monte, carte da utilizzare partita dopo partita per zittire i lineup avversari.

L'ultima partita, giocata nelle World Series, definibile "slugfest" è stata Gara 1 del 2004 nella quale proprio i Cardinals perdevano 11-9 con i Boston Red Sox. A quella partita da 20 run totali ne seguono 12 nelle quali non si arriva, in due squadre, mai neppure a 10, eccezion fatta per il 7-5 dei Chicago White Sox sugli Houston Astros in Gara 3 del 2005 (un 7-5 in 14 inning però)! E poi si deve andare davvero indietro per trovare una vera slugging World Series, nel 1960 quando i Pittsburgh Pirates battono i New York Yankees per 4-3; una serie stranissima tra l'altro nella quale gli Yankees vincono tre partite con i punteggi di 16-3, 10-0 e 12-0 e battono decisamente meglio ma i vincenti Pirates lanciano sufficiente bene nelle 4 loro vittorie (6-4, 3-2, 5-2 e 10-9).
Ed è fatalmente stato così anche nelle World Series del 2006.

I vincenti St. Louis Cardinals terminano le 2006 World Series con i seguenti numeri: lanciatori partenti: 3-0, 38 IP, 28 H, 10 R, 6 BB, 28 SO, con un'ERA di 2.37, mentre il bullpen va 1-1, con una salvezza ed una salvezza bruciata in 7 IP, 4 H, 1 R, 3 BB, 6 SO per un'ERA di 1.29.

Ma guardiamo le singole prestazioni per renderci conto di che cosa ha fatto lo staff dei lanciatori partenti dei Cardinals: Anthony Reyes, rookie, apre la serie e manda un segnale ai Tigers concedendo la miseria di 4 valide in otto inning, durante i quali ad un certo punto elimina 17 battitori consecutivamente! Dopo Gara 2, nella quale, dopo il primo inning da due punti, Jeff Weaver ritrova il braccio del 2001, c'è in Gara 3 l'autentico capolavoro di Chris Carpenter (3 valide e 6 strikeout in otto inning) con Tony La Russa che non gli fa completare lo shutout solo per pure ragioni tattiche relative alla serie di finale (dargli riposo per eventuale Gara 7). In Gara 4 anche Jeff Suppan cede qualcosa all'inizio (3 punti in tre inning) e poi chiude la porta concedendo 3 singoli ai successivi 13 battitori, ma nessun punto e consegnando al bullpen uno svantaggio di 3-2, in quella che sarà  l'unica partita nella quale Detroit segnerà  contro i rilievi dei Cardinals.
In Gara 5 l'autentico capolavoro di Jeff Weaver, targato Dave Duncan, il pitching coach di St. Louis, dove il biondo californiano sbaglia un solo lancio (l'home run di Sean Casey) concedendo 4 valide in otto inning con una sola base su ball e ben 9 strikeout e dove l'altro punto entra solo per un errore difensivo.

Da notare che i Tigers fossero entrati nella serie di finale battendo un buonissimo .297 di squadra con 13 HR e 44 punti segnati con uno slugging di .514. Ciò testimoniava una squadra calda al piatto, ma anche di gruppi di lanciatori non in perfetta forma sia degli Yankees che degli Athletics.

Ma anche i partenti di Detroit non sfigurano, anzi. In 29.1 IP concedono 25 valide e 15 BB, ma soltanto due fuoricampo (entrambi in Gara 1) e registrano 24 SO. L'ERA è un rispettabile 3.38. Tra le prestazioni da segnalare certamente quella del mancino Kenny Rogers (otto inning con due valide e zero punti concessi) in Gara 2 che pareggia la serie.
Ed anche Justin Verlander, dopo la ruggine di Gara 1, e l'avventuroso primo inning (3 BB e 2 WP) di Gara 5, ritrova la forma della stagione regolare e mette a tacere le mazze dei Cardinals in sei inning laboriosi, ma efficaci. Due punti entrano solo per un suo errore di tiro che ha delll'incredibile. E pure in due sconfitte non sfigurano le partenze di Nate Robertson e di Jeremy Bonderman; entrambi danno alla loro squadra una chance di vittoria tenendola ampiamente in partita. Robertson lascia i Tigers sotto 2-0 nel quinto inning, mentre Bonderman li lascia avanti 3-2 nel sesto inning.

Ma sono due i fattori che tradiscono Detroit: il bullpen e la difesa.
Il bullpen, quella che era stata una delle armi migliori di Detroit nella stagione regolare, fa segnare i Cardinals in tutte le partite, eccettuata Gara 1, quando St. Louis però ha già  messo 7 punti contro Verlander. Ed ai 4 shutout inning di Gara 1 segue un totale che recita: 8.2 IP, 9 H, 8 R, 4 ER, 8 BB, 8 SO. E saltano all'occhio quelle 4 UR (unearned runs), punti non guadagnati sui lanciatori, ma che i lanciatori stessi hanno fatto entrare con delle tragiche prestazioni nel fielding. Il fielding è quella parte del baseball che concerne la difesa: raccogliere le palle battute e tirarle alle basi giuste per l'eliminazione.

E immaginiamo che sarà  un lungo e doloroso spring training per i giovani lanciatori di Detroit (nel marzo 2007) perché bisognerà  ripassare il doppio gioco sulle "comebackers" (quelle palle ribattute verso il monte) con uomini in base. Per ben tre volte un lanciatore di Detroit ha tirato male verso la base (ben due volte sbagliando pure la scelta della base a cui tirare). E sono stati momenti chiave: Todd Jones in Gara 2 quasi riapre la partita sbagliando con due out nella parte alta del nono, Joel Zumaya in Gara 3 la compromette definitivamente quando tira inopinatamente verso la terza base una facile rimbalzante di Pujols con uomini in prima e seconda - entrano due punti - quando un tiro in seconda avrebbe completato un facile doppio gioco, Fernando Rodney fa un errore decisivo - costerà  in pratica la sconfitta - quando tira un metro sopra il prima base Casey una smorzata di So Taguchi ed infine in Gara 5 Verlander, con un out e uomini in prima e seconda, tira nuovamente largo verso il terza base Brandon Inge e fa entare il punto del pareggio, mettendo in terza quello dell'eventuale decisivo vantaggio.
Una serie di errori fatidici ai quali si devono aggiungere i 3 di Inge (due in gara 1 sulla stessa giocata) e le incertezze difensive di Craig Monroe e Curtis Granderson.

Ma perché domina il pitching?
Citiamo qui solo tre fattori: le condizioni climatiche, la poca familiarità  dei battitori con i lanciatori dell'altra lega e gli infortuni. Le World Series spesso vengono disputate con condizioni meteorologiche pessime: basse temperature, pioggia, umidità , vento. Condizioni che, se da un lato, possono affliggere i lanciatori, ai quali viene permesso di scaldarsi le mani avvicinando le stesse alla bocca per soffiarci sopra (gesti solitamente non permessi durante la stagione "calda" per evitare trucchi con l'uso della saliva o di altre sostanze), certamente appesantiscono il volo della palla nell'aria e non favoriscono le battute lunghe come i fuoricampo.

L'altro fattore, la familiarità , fa parte del fascino delle World Series. Quell'incontro di due squadre che, appartenendo a leghe diverse, si affrontano molto raramente (prima dell'introduzione degli interleague games non si incontravano mai se non nelle World Series) in stagione regolare. E nonostante l'accurato scouting degli uomini che seguono i playoff e che, nei turni precedenti, analizzano le possibili future avversarie, è idea comune (ed anche un fatto) che la prima volta che un battitore affronta un lanciatore quest'ultimo abbia la meglio. Il battitore si trova di fronte un nuovo giocatore che lancia in un suo modo unico, che cambia gli angoli di lancio, i tipi di lancio, i trend veloce-lenta-veloce a suo piacimento e che lui non ha ancora mai affrontato.

Riguardo agli infortuni diciamo che riassumendo in una frase: meglio un lanciatore scarso ma sano che un battitore buono ma rotto. Spesso si arriva alla fine di una stagione acciaccati, nessuno è al 100% si ripete e si sente dire anche dai commentatori TV. Ed è vero, ma se per un battitore la cosa non fa gran differenza, questo gioca e basta, per un lanciatore non è così. Jason Isringhausen, infortunato, non può lanciare lo stesso. Quindi lancia qualcun altro, magari più giovane e più scarso, ma sano. Ed i risultati si vedono, spesso un giovane giocatore (John Maine nelle NLCS per i Mets ad esempio) o "scarso" (Oliver Perez nelle stesse NLCS e sempre per New York) fanno una buona partita perché sono ancora "sconosciuti" o trovano quei cinque inning per nascondere i loro difetti. Non è una regola, ma accade. Un battitore mezzo infortunato paga dazio. Spesso i manager vogliono la loro mazza nel lineup lo stesso e per un Casey o per un Kirk Gibson che fanno un miracolo battendo con una gamba sola ci sono decine di esempi di battitori non in forma o infortunati che sono andati male nella post-season, ma che "dovevano" giocare per forza.

Insomma" "pitching wins".

Ma nonostante i punteggi bassi, l'enfasi per la difesa e il dominio dei lanciatori, le partite sono state combattute ed incerte fino all'ultimo out. Eccetto la prima, terminata 7-2, e la terza, finita 5-0, entrambe per i Cardinals, le altre tre sono finite con i potenziali punti del pareggio e della vittoria sulle basi.
In Gara 2, St. Louis, sotto 3-0, ha mandato 4 uomini consecutivamente sulle basi, ha segnato il 3-1 e ha lasciato, nella parte alta del nono, le basi stesse piene quando Yadier Molina ha battuto una facile rimbalzante al seconda base Polanco.
In Gara 4, Detroit, sotto 5-4, ha mandato il cuore del lineup a battere contro Wainwright (contro il quale ha segnato un punto nell'ottavo) ma non ha saputo trovare neppure una valida lasciando il caldissimo Casey ad agonizzare nell'on-deck circle.
Infine in Gara 5 ancora un finale serratissimo, con Detroit ad inseguire per 4-2 nel nono inning, ma ancora capace di mettere due uomini sugli angoli con lo slugger Inge a cercare quella bomba da tre punti che avrebbe dato uno scossone all'inerzia di una serie molto più combattuta di quanto non dica quel 4-1 finale.

Ma allora i battitori non servono proprio? Non è così. Negli USA lo definiscono "timely hitting", un modo enfatico per dire: "abbiamo battuto .220, ma abbiamo ottenuti quei pochi punti che bastavano per vincere la partita" oppure "siamo andati 1 su 10 con uomini in scoring position, ma quel punto è stato decisivo". In stagione regolare non si sopravvive andando 1 su 10 con RISP o battendo .220 di squadra. Ma in postseason le cose vanno spesso così. Perfino l'MVP di queste World Series, quel piccolo grande interbase (che l'allora GM dei Red Sox Dan Duquette, con una pessima mossa ed un altrettanto grave errore di valutazione, non seppe proteggere e tenere nel 40-man roster nel 2000) e che ora ha due anelli di campione del mondo e che risponde al nome di David Eckstein, prima di finire con un 4-5 in Gara 4 e con un 2-4 in Gara 5 era e con un complessivo 8-11 e 4 RBI nelle ultime due partite e mezza, stava viaggiando sun un disastroso 0-11. In postseason per uno Scott Rolen che batte 8-19 ed un Molina che va 7-17 (sono solo questi tre i battitori di St. Louis che sono andati bene al piatto) ci sono il 3-15 di Pujols, il 4-17 (ha finito con 0-9) di Jim Edmonds, lo 0-12 di Ronnie Belliard.

Lato Detroit: detto di Polanco (0-17), gridano vendetta il 2-21 di Granderson, il 3-20 di Monroe, il 3-19 di Ivan Rodriguez, il 2-19 di Magglio Ordonez, per cui non sono sufficienti i 6-17 di Carlos Guillen e di Inge ed il 9-17 di Casey (davvero l'unico slugger Tiger degno di questo nome).

Un'ultima nota ai GM per quest'inverno: pitching wins!

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