Magic: nulla è perduto

Dwight Howard è stato poco incisivo in Gara 1

Benvenuti ad Hollywood, Orlando Magic.

Il ritorno alle Finals, dopo 14 anni di onesto ma costruttivo anonimato NBA, per i Magic, è stato davvero un brutto ed inaspettato risveglio. Colpa di un iperattivo ed affamato Kobe Bryant e di una gara 1 andata completamente e diametralmente all'opposto di come Van Gundy ed i suoi assistenti l'avevano preparata.

All'alba di questa Regular Season, quando i Magic inanellavano convincenti e stupefacenti prestazioni, sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori (e non solo) c'erano le solite parole: "I Magic non sono da titolo, le percentuali scenderanno, la palla peserà  di più dei canonici 600 grammi".

Con il passare del tempo, Orlando, l'impatto di Turkoglu e Lewis ed un sistema efficace ed efficiente hanno smentito tutti. Disputando delle signore serie di playoff. Eliminando i campioni in carica (Celtics) ed il campione da tutti designato (Lebron), giocando l'identico e scientifico basket di inizio novembre. La gara casilinga contro i Grizzlies approcciata da un punto di vista tattico, allo stesso modo della gara 7 al Boston Garden.

Ma queste sono le finali NBA.

Il palcoscenico dello Staples Center, il Larry O'Brien Trophy raffigurato al centro del campo, le diverse luci della ribalta e soprattutto quella pressione che una finale NBA ti fornisce, volente o nolente, hanno anestetizzato il sistema dei Magic, dopo un approccio alla partita più che discreto. Ma l'impressione è stata senza dubbio quella: la palla sembrava pesasse un po' di più nelle mani dei tiratori di Orlando mentre appariva (e scompariva) cosi leggera in quelle di Kobe Bryant.

Come il filone anti-Magic enfatizzava a novembre. A prescindere da quel perfido e negativo 29, sotto la voce percentuale dal campo.

Lampi di Hedo

E' dire che l'approccio mentale e tecnico alla seconda finale della storia dei Magic è stato tutt'altro che malvagio, attraverso la solita leggerezza di spirito abbinata ad una pallacanestro essenziale, nonostante i soli due tiri presi da 3 (uno allo scadere dei 24, di Pietrus) nel primo quarto e la solida difesa sui close-out da parte dei Los Angeles Lakers. Il tutto con un Turkoglu totalmente immesso nei canali giusti della partita, portando a scuola un disorientato Ariza, apparso in difficoltà  nel correre dietro alle imprevedibili mosse del turco.

Il 24-22 per i Magic in un primo quarto totalmente attrezzato per le fasi di studio ha in un certo senso illuso i ragazzi di Van Gundy, che dal parziale vincente forzato successivamente da Nelson, hanno semplicemente smesso di essere parte del loro sistema. Il buonissimo Turkoglu dei primi 12 minuti si è trasformato in un giocatore che vagava in mezzo ai 28 metri di parquet in cerca di un ruolo.

Nelson, impatto e smarrimento

Il rientro del prodotto di Saint Joseph's è di sicuro una buona notizia. Ma l'impietoso quanto rilevante dato del plus/minus (-19) ha introdotto nella serie, ciò che un po' tutti avevano predetto: Nelson, nel bene o nel male, muterà  gli splendidi equilibri degli Orlando Magic.

A fine gara, le parole di Jameer: "Non ho provato ad essere l'eroe o il salvatore. Ho solo cercato di portare un po' di energia. I miei compagni di squadra conoscono il mio stile di gioco e non mi piace prendere un tiro ogni volta che ho la palla o fare qualsiasi giocata che non coinvolga la squadra".

I suoi primi minuti in campo, dopo l'infortunio alla spalla che lo ha tenuto lontano dai parquet per 4 mesi, sono stati fantastici. 2 punti, 3 assist e tanta transizione che ha aumentato il ritmo della gara, mandando in mini-fuga (+5) i Magic. Ma da quella che poteva sembrare l'ennesima mossa azzeccata da Van Gundy, l'impatto di Kobe e i minuti extra concessi allo stesso Nelson hanno stagnato l'attacco di Orlando.

A detta di Chris Webber: "Credo che l'errore più grande sia stato dare troppo minuti consecutivi a Nelson. Se l'avessero fatto uscire dopo 4/5 minuti, nei quali il playmaker aveva cambiato (in positivo) la partita, su questa potenziale mossa si poteva costruire qualcosa di buono".

La mossa di Van Gundy, forse preoccupato dal pessimo inizio del trio (3/15 dal campo) Lewis/Howard/Pietrus, è stata quella di dare l'attacco in mano a Nelson e di dare la massima libertà  alle sue penetrazioni. Scelta opinabile che ha messo fuori dalla partita un buon Alston e soprattutto ha affossato mentalmente la verve di un Turkoglu abituato ad avere in mano la situazione.

Dopo quei tre assist, l'effetto Nelson si è drammaticamente spento allo stesso ritmo di quel tiro da 3 che si ostinava ad incontrare il ferro. Anche se Stan cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno.
"Penso che lui abbia giocato un fantastico secondo quarto. Sono stato felice di vederlo giocare cosi, penetrando con i suoi pick-and-rolls. Ha fatto delle buone giocate.

Dopo il forte impatto di Nelson, i Lakers hanno prodotto un parziale di 25-10 che ha chiuso il 2° quarto mandando i Magic al riposo lungo sotto di 10 lunghezze. Nelson ha rimesso piede sul parquet a 4' dalla fine del 3°, mostrando tutta la sua precaria condizione fisica con troppi tiri forzati e soprattutto con il solito capolinea del primo ferro, a dimostrazione di una mancanza di esplosività .

E a risentire è stato soprattutto Alston, che esterna le sue perplessità  a fine gara.
"Non mi è mai capitato di giocare l'intero primo quarto e di rimanere seduto per l'intero secondo. Mai successo nella mia carriera. E' diverso, perché siamo in una finale NBA. Non è come in una gara di regular season.

Caso Kobe, chi lo marca?

Il quarantello con 34 tiri concessi poteva anche essere una buona mediazione, soprattutto se parliamo di una squadra (i Magic) capace di dominare una serie di finale di Conference concedendo oltre 40 punti di media a Lebron James.

Ma nel game-plan di Orlando c'era un numero che doveva mantenersi il più possibile su livelli bassi. Il numero degli assist di Kobe.

E gli 8 smistati dal Mamba nero, è un numero che ha deciso la partita, forse più dei 16 canestri o dell'enigma, ancora in vita, di chi può seriamente metterlo in difficoltà . Bryant ha giocato una partita da Bryant ma alternando sprazzi di consumato altruismo che hanno messo in partita prima Fisher e Walton e poi un Gasol, autentico mattatore nel secondo tempo.

Il verdetto di gara 1 è stato impietoso. Al momento, per quello che s'è visto sul campo, non c'è una risposta concreta al numero 24 dei Lakers. Lee, è troppo piccolo e può marcarlo efficacemente solo su determinate situazioni speciali, visto che in post-basso cede alla potenza fisica e strutturale di Kobe mentre Pietrus, il secondo componente della staffetta che si è alternata di lui, ha decisamente deluso le aspettative, che erano salite vertiginosamente dopo l'egregio lavoro fatto su Lebron.

Offensivamente, Kobe è molto più versatile del nativo di Akron, ha nel bagaglio tecnico molte più soluzioni, soprattutto da un punto di vista strettamente balistico e lo si è ampiamente notato mettendo in difficoltà  il francese, attraverso il pick-and-roll con Gasol, nel quale Pietrus rimane sistematicamente dietro al blocco.

Ecco il resoconto delle difese singole su Bryant del duo scelto da Van Gundy:
– Pietrus: 8/16 (2/2 ai liberi): 18 punti
– Lee: 6/11 (2/2 ai liberi): 14 punti.

L'unico che ha (parzialmente) fermato l'ira tecnica di Kobe è stato JJ Redick, chiamato sul terreno di gioco nel garbage time del 4° quarto. Solo 1/5 al tiro contro l'ex Duke, anche se l'unico e marginale obbiettivo di Bryant era quello di arrivare alla rotonda quota di 40 punti segnati. Molte forzature ma anche una discreta difesa per l'uomo capace di fermare Ray Allen, nella serie contro i Celtics.

La carta Turkoglu non è stata neanche esplorata anche se non è da escludere che sia uno dei tanti aggiustamenti che coach Van Gundy attuerà  in gara 2.

Il mistero Howard

Un solo canestro dal campo. Soli 6 tiri tentati. Sono entrambi record negativi, nei playoff per Dwight Howard, che solo in gara 2 contro i Sixers aveva avuto cosi pochi tentativi a referto. In realtà  la mole di palle giocate da parte di "Superman" è stata ben superiore da quello che può raccontare un box-score, soprattutto visti i numerosi falli dei lunghi di Los Angeles che lo hanno spedito ben 16 volte in lunetta. Il tutto senza scomodare i vari Powell e Mbenga.

Ci hanno pensato il giovane Bymun e l'esperto Gasol dando un messaggio ben chiaro ad Howard: "Non siamo la frontline dei Cavaliers".

Ed in effetti la totale assenza mentale dalla partita di Howard è unicamente derivata dal fatto che i lunghi dei Lakers, per quanto fisicamente inferiori, sono abbastanza profondi da permettere al centro dei Magic di lavorare e faticare più del dovuto.

Gasol è stato protagonista di 2/3 difese enciclopediche su di lui mentre Bynum lo ha impegnato più del previsto in attacco. Il tutto con la complice partecipazione di Lamar Odom, impiegato sempre nei raddoppi, dai quali Howard ne è uscito smistando (non solo per colpa sua) il primo assist della sua serata, solamente a metà  3° quarto, per la tripla di Lee.

Se si sceglie di intraprendere la strada della malizia, non si può nascondere che l'impatto tecnico ed emotivo di Gortat sia stato di gran lunga migliore. Ma tutto ciò non può dare un beneficio diretto ad Howard, che si è visto troppe volte lottare in solitario contro l'armata gialloviola. Vederli insieme implicherebbe troppi cambiamenti e troppe variazione che neanche il -25 di gara 1 può giustificare.

Percentuali, si passa sempre da lì…

Se ti chiami Orlando Magic, il tiro che esce dal tuo sistema è fondamentale. Costruirlo non è (mai) stato un problema, fare canestro qualche volta può esserlo.

Il 29% dal campo è un dato che preoccupa più Phil Jackson che Van Gundy. Difficilmente si ripeterà  una serata cosi nera al tiro, con Lewis totalmente estraneo dalla partita e dai suoi tiri. Una serata dove Turkoglu, dopo lo sfavillante inizio, si dimentica di approcciare i restanti 3 quarti di partita, sbagliando tutte e sette le conclusioni prese. Una serata dove i canestri dal campo realizzati nei restanti 3 quarti di partita sono stati rispettivamente: 6; 4; 5.

La forza dei Magic è sempre stata quella di non forzare mai una singola variazione nell'approcciare la partita dal punto di vista del proprio stile di gioco, cercando sempre di creare il suo tiro. A volte può andare male, come confermano le parole di Howard.
"E' stata solo una serata no."

Serata storta o meno, l'impressione negativa è che senza quel tiro, i Magic non hanno armi per contrastare la missione di Bryant. La forza di Howard può essere determinante, ma come ci insegna gara 6 contro i Cavaliers, il suo dominio in area è sempre stato accompagnato dall'efficacia del tiro da 3: 12/29 in quella sfida contro Lebron e 13/21 in gara 7 contro i Celtics.

Ma le basi della riuscita e dell'efficienza di questo splendido sistema di pallacanestro sono il ritmo, le spaziature e la selezione di una fase offensiva che ha regalato ai Magic la seconda finale della sua storia e tutto ciò che è mancato in gara 1, allo Staples Center.

Poi ci pensa sempre il solito Howard a spazzare le preoccupazioni dei tifosi con una delle sue battute: ""Hmmm, 29%. Ma guardate, JJ (Redick) ha fatto 1/2 dal campo."

Forse ha ragione. Forse è stata solo una serata no…

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