Quale Gasol aspettarsi? In gara-7 è da standing ovation.
Questa è Hollywood. Ci piace rendere le cose più intriganti.
Lamar Odom se la cava con una battuta e potremmo anche concedere che se la possa permettere, con i suoi Lakers usciti vincitori dalla settima e decisiva battaglia contro i Rockets.
Ma se cerchiamo risposte serie, ecco che c'è poco da ridere. Perché i Lakers continuano ad alternare prestazioni così altalentanti? Lo stesso Kobe Bryant prima della partita di ieri si era detto preoccupato e affermava di non riuscire a cogliere alcun segnale che potesse anticipare l'arrivo di una serata storta della sua squadra. Nessun segnale prima di gara-4, né di gara-6.
Per sua fortuna non è stato il caso di gara-7.
Prima di entrare in campo, nel discorso ai giocatori che ha luogo nello spogliatoio, Phil Jackson incita i suoi a giocare bene specialmente il primo quarto, effettiva cartina tornasole dell'intera serie. Missione compiuta.
Il miglior attacco della Lega gioca un buon primo quarto, con Gasol ed Ariza capaci di infiammarsi da subito con canestri in successione. Facili canestri in campo aperto, triple, giochi in post basso: i padroni di casa mettono in mostra l'intero arsenale. Dall'altra parte i Rockets mancano i primi dodici tiri dal campo e fa un certo effetto pensare che il primo canestro su azione sia opera di Chuck Hayes, non lontano dalla metà del primo periodo.
Nella seconda frazione continua la crisi offensiva dei texani: Artest e Brooks fanno centro solo al quinto tentativo della serata, nello stesso momento in cui Scola registra un poco apprezzabile 2/8 dal campo. Aggrapparsi al tiro dalla lunga distanza non paga: la prima tripla a segno è quella di Artest, con i Lakers sopra di venticinque punti. All'intervallo Houston è sotto di venti punti con uno sconfortante 1/9 da oltre l'arco.
Adelman prova a suonare la carica durante la pausa lunga, ma quello che ci aveva insegnato questa serie nei suoi precedenti è che nessuna delle due contendenti è capace di riaprire una partita che si è messa male. Nessuna eccezione, neppure in gara-7.
Houston non trova mai ritmo in fase offensiva. Discreto lavoro di Fisher e Farmar su Brooks e buoni gli aiuti in area sul play texano che non riesce a penetrare (ed aprire la difesa californiana) con lo stesso successo di altre occasioni. Inoltre la circolazione di palla dei Rockets è davvero pessima, lontana parente di quella ammirata nelle partite vinte in questa serie.
Quando Brooks non riesce a mandare in confusione la difesa gialloviola la palla finisce nelle mani di Artest, il cui principale errore della serata è quello di rallentare sistematicamente tutte le azioni offensive. Ron trattiene troppo la palla in mano, poi palleggia, temporeggia, non succede niente attorno a lui, si prende un brutto tiro. Visto e rivisto molte volte nella serie e ieri in particolar modo.
È vero anche che sul versante Houston non possiamo salvare davvero nessuno, con l'eccezione di Chuck Hayes. Ed anche questo è un brutto segnale.
Nel pitturato gli pseudo-lunghi texani cadono sotto i colpi di un vivace Gasol e di un ritrovato Bynum. È soprattutto nel controllo dei tabelloni che perdono la sfida, sopraffatti dai continui rimbalzi offensivi catturati dallo spagnolo. La metà di questi, va detto, sono maturati quando i Rockets avevano alzato bandiera bianca; anche in difesa, dove la frontline losangelina non ha perdonato gli insoliti mancati taglia-fuori degli avversari.
I Rockets hanno dimostrato di poter battere questi Lakers quando gli è stato concesso di prendere ritmo in attacco. A quel punto la difesa, specialità della casa, ha fatto la differenza. Ma il talento in fase offensiva, alla luce dell'assenza di Yao (e mettiamoci anche McGrady), non è tale da superare ogni difficoltà .
I Lakers non possono vantarsi di interpretare la fase difensiva al pari di altre squadre in questa Lega, ma quando vogliono riescono ad essere molto ostici. Se non per un'intera partita, almeno per buona parte di essa. Contro questi Rockets, ogni qual volta i campioni in carica della Western hanno giocato con buona intensità nella propria metà campo, Houston è sempre andata in crisi. Irreversibile.
E ieri sera i Lakers hanno giocato meglio nella propria metà campo che in quella avversaria.
Con il senno di poi, non è stata una grande serie.
A parte il match d'apertura, tutte le sfide sono state vinte in doppia cifra e con i vinti apparsi letteralmente in balia deglio avversari.
I Rockets sono stati eliminati, ma escono da trionfatori. Hanno trovato un giovane play su cui puntare per il futuro in Aaron Brooks, mentre Scola ed Artest possono essere dei complementi di lusso ad un terminale offensivo della caratura di Yao Ming. Resta infatti aperta la domanda: avrebbero potuto farcela con Yao in campo fino alla fine? E se anche rispondessimo negativamente, chi può dirsi deluso da quel che sono riusciti a fare i Rockets in questi playoff?
Non sono un estimatore di Tracy McGrady e ancora non è chiaro se T-Mac sarà parte del futuro di questa franchigia, ma la mia sensazione è che a Houston manchi solo un realizzatore perimetrale del suo livello per essere da titolo. Forse anche meno talentuoso, ma più sano.
I Lakers hanno vinto la serie e sono in finale di Conference. Quel che conta insomma. Ma lo fanno trascinando con sé tutti i dubbi dei suoi detrattori.
Bill Plaschke ha raccontato oggi, sul L.A. Times, come gli spettatori dello Staples Center hanno vissuto la gara di domenica, a partire dall'euforia per l'entusiasmante avvio di gara dei gialloviola.
Tutta questa fiducia, comunque, veniva sfumata da un vago senso di insicurezza. I tifosi continuavano ad incitare la squadra come se sperassero di poter evitare un finale al cardiopalmo semplicemente grazie alle loro grida. Ma la folla sospirava ad ogni canestro dei Rockets, ad ogni parziale di quattro punti subito il brusio cresceva.
Sono tutti qui i mali dei Lakers. Frequenti passaggi a vuoto, incapacità di rimettere in piedi una partita nata male. Logico, dunque, che anche il pubblico accorso allo Staples Center abbia un po' paura.
Siamo bipolari è quanto si limita a concludere Kobe Bryant, ma non sono le parole che vorrebbero sentire i tifosi gialloviola.
Peggio di lui, Odom. Questi sono i playoff: tutti perdono delle partite, ma è come reagisci alle sconfitte che mostra quanto carattere e quanto cuore hai. Oggi lo abbiamo fatto vedere (di che pasta siamo).
Neppure questa mi sembra una risposta soddisfacente. Le grandi squadre riescono a vincere anche quando non giocano ai loro massimi livelli, specie perché gli avversari più difficili non ti concedono di esprimerti al meglio. Soprattutto, non puoi arrenderti in una partita pensando di reagire a partire da quella dopo!
I Lakers non hanno mai mostrato determinazione e coesione quando sono stati messi sotto ed arrivano alla serie con i Nuggets con questo peso sulle spalle: vincenti, ma non convincenti.
Con modalità molto diverse, anche il percorso dei Celtics dodici mesi fa fu piuttosto discutibile. Però Garnett e compagni salirono di livello con l'inoltrarsi della post season e vinsero con grande autorità l'anello. Nulla vieta che questo accada anche per i Lakers.
Nulla vieta che Bynum torni poco alla volta quel centro che abbiamo ammirato per alcuni tratti in regular season, che Gasol giochi con crescente intensità e che Ariza possa togliere pressione a Kobe, che Odom possa essere l'arma tattica che si alza dalla panchina.
Continuo a pensare che sulla carta i Lakers siano la squadra da battere, perfino in una eventuale finale contro i Cavaliers. Ma sono ancora in attesa di quella scintilla che giustifichi questa mia convinzione.
Nella tarda serata di ieri per quindici lunghi secondi la terra ha tremato in California, Los Angeles compresa. Purtroppo non è quella la scossa di cui hanno bisogno i Lakers.