Mullin e Nelson si sono divertiti poco assieme in questa stagione…
In generale, a qualsiasi livello, quando un' organizzazione perde il suo uomo più importante, il suo leader, la sua figura più carismatica, è pressoché scontato che debba affrontare un periodo di transizione alla ricerca di una nuova identità poiché le decisioni che riguardano i meccanismi vitali di un sistema finiscono poi quasi sempre per ripercuotersi, in un modo o nell' altro, sul resto della struttura.
È in questa fase di profondi cambiamenti che una dirigenza sa dar prova di credibilità e solidità per la lungimiranza con cui riesce ad individuare i nuovi punti di riferimento e la progettualità con cui riesce a sviluppare un programma. Due sono gli ingredienti chiave per saper affrontare la fase di passaggio tra il vecchio ed il nuovo: idee molto chiare e un forte senso di unità e compattezza nel portare avanti il progetto affinché questo possa svilupparsi con coerenza e in un futuro relativamente breve.
Purtroppo però, nel caso dei Warriors, la mancanza di "chiarezza" e di "coerenza" è diventata la condanna principale di una dirigenza che nel corso degli anni si è macchiata di questa imperdonabile colpa a tal punto da esserne marchiata indelebilmente a fuoco. In questo senso, la dirigenza diventa il necessario punto di partenza ma anche di arrivo di tutte le valutazioni sulla situazione della franchigia.
Di conseguenza anche il pessimo record finale (29-53) diventa un elemento di riflessione secondario e va considerato in una prospettiva specifica: quella cioè di una squadra che ha dovuto affrontare tutte le logiche e prevedibili difficoltà causate da una fase di drastici cambiamenti, cui si sono sommati ulteriormente gli infortuni in serie che si sono ripetuti nel corso della stagione.
D' altra parte il "target" dei Warriors per la regular season appena trascorsa non era necessariamente quello di accumulare un record vincente né tanto meno lottare per i play-offs, poiché gli stravolgimenti tecnici che avevano colpito la squadra nel corso della scorsa estate, in particolare la perdita del Barone, rappresentavano una inevitabile rinuncia a tali traguardi.
L' obbiettivo invece era quello di considerare l' anno in corso come la prima tappa di un rinnovamento in cui il team avrebbe cambiato pelle, cercato nuovi leaders, nuove figure carismatiche in campo e per l'immagine della franchigia, e sviluppato soprattutto i giovani prospetti. La valorizzazione dei giocatori, il tentativo di creare un sistema tecnico collettivo e la sintonia nelle decisioni di vertice diventano quindi gli imprescindibili parametri di riferimento per valutare la stagione.
Secondo questo punto di vista, è inevitabile che i vertici societari ne escano assolutamente penalizzati poiché fin da inizio campionato si ha subito avuto la percezione di una società disunita, dilaniata dalle rivalità interne e dalle visuali completamente opposte, in cui non vi era una precisa linea di confine e di rispetto tra i vari ruoli. Si era sviluppata in sostanza la peggior situazione possibile che si possa auspicare ad una franchigia che voglia costruire un progetto futuribile.
Il caso relativo al Barone, con Mullin che di fatto aveva già raggiunto l' intesa con il giocatore annullata poi dal gran rifiuto di Rowell, è stato solo l' incipit di una situazione che da quel momento è degenerata sempre di più portando ad una totale scissione interna tra Mullin (g.m.) ed il resto del front-office. I rapporti tra Mullin e Rowell si sono fatti più tesi in seguito al pesante contratto con cui Mullin ha firmato Maggette, per precipitare poi definitivamente quando Rowell ha deciso di multare Ellis a causa dell' infortunio riportato in circostanze espressamente vietate dal contratto collettivo dei giocatori.
In fin dei conti, quando le situazione partono male e con presupposti così incerti, poi è molto probabile che le cose vadano ulteriormente a sud: persino Ellis che, con la partenza del Barone, era stato individuato all' unanimità da tutta la dirigenza dei Warriors come nuova point-guard titolare della squadra e soprattutto come nuovo uomo-franchigia, contribuì lui stesso ad esasperare ancora di più le lacerazioni in seno alla società . Rowell, nonostante Mullin si fosse opposto ad una decisione così drastica nei confronti del giocatore, decise comunque di sanzionarne l' immaturità e la scorrettezza e con questa personale decisione (la seconda dopo quella relativa a Davis), fece capire implicitamente al suo g.m. chi comandasse realmente all' interno dell' organizzazione. Considerando inoltre che il contratto di Mullin scade proprio quest'anno, quelle insanabili divergenze d' opinione rappresentarono il primo segnale e indizio concreto che il rapporto con il g.m. non sarebbe stato rinnovato.
Non è un caso che dall' inizio della regular season, Mullin sia completamente scomparso dai radar societari a qualsiasi latitudine: non ha più rilasciato dichiarazioni ai giornali, non è stato più protagonista delle decisioni tecniche relative agli scambi di mercato, persino i giocatori (Jackson) hanno cercato altri referenti per trattare i propri rinnovi contrattuali.
Si è verificata pertanto una situazione piuttosto singolare per i parametri NBA, in cui al g.m., ovvero il ruolo di primo riferimento di una franchigia nelle relazioni con la stampa e la gestione tecnica dei giocatori (contratti e mercato), sono stati tolti poteri e responsabilità a dispetto di un contratto ancora valido. Mullin, in pratica è stato svuotato delle sue competenze senza essere stato licenziato a livello contrattuale, trattenuto in carica per non contare niente.
Durante la stagione quindi, Rowell (presidente) e Nelson hanno preso in mano la situazione dividendosi i compiti che avrebbero dovuto essere di Mullin: Rowell ha gestito personalmente il rinnovo contrattuale di Jackson e i rapporti con i giornalisti, mentre Nelson, oltre a gestire la squadra con l' incostanza, i repentini cambiamenti di idea e le soluzioni controcorrente di sempre, si è occupato pure di gestire il rapporto con giocatori e procuratori in prospettiva mercato. La chiara e netta divisione creatasi al vertice della società ha visto schierati perciò da un lato Rowell e Nelson al quale il presidente ha affidato pieno potere tecnico, dall' altro Mullin relegato ad una pura e sterile figura simbolica.
Tale divisione bipartitica è stata causata non solo dalla divergenze tra il g.m. e Rowell, ma è stata accentuata dagli ulteriori contrasti tra Mullin e Nelson, già accennati a proposito del draft per trovare conferma nella trade che ha portato alla cessione di Al Harrington. A quanto pare, durante l' estate Nelson non era rimasto entusiasta della scelta di Randolph che a suo parere rischiava di essere troppo simile a Brendan Wright; successivamente poi è esploso definitivamente il rapporto con Harrington che già da tempo comunque si trascinava a fatica e che, viceversa, era un protetto di Mullin. La rottura dei rapporti tra Mullin e Nelson ha sostanzialmente chiuso il cerchio che sanzionava l' uscita del g.m. da qualsiasi operazione e decisione societaria.
Sono situazioni di questo tipo che fanno riflettere su quale sia la reale credibilità e solidità di una dirigenza: linee di confine e di competenze tra i vari ruoli che vengono continuamente messe in discussione, gerarchie ribaltate, mancanza di coerenza e armonia nelle decisioni, la totale assenza di rispetto umano per chi comunque ha dato tanto alla propria organizzazione al di là di incomprensioni o eventuali errori. Il tutto in un momento così delicato come quello in cui si programma il futuro, e dove i dirigenti per primi devono essere lucidi, agire all' unisono, dando un chiaro segnale di logica e rispettabilità a giocatori e tifosi, coscienti del fatto che ogni decisione è un passo fondamentale nello sviluppo di un progetto.
È evidente che si debbano nutrire dei forti dubbi quando all' interno di una società non si sia fatta chiarezza fin dall' inizio se il Barone debba essere riconfermato o meno in qualità di leader riconosciuto in maniera tale poi da poter agire tutti nella stessa direzione senza smentite finali; allo stesso tempo è piuttosto discutibile il trattamento riservato a Mullin relegato a pura figura fantasma quando invece avrebbe dovuto essere lui a rappresentare la franchigia sia nel rapporto con i media che in quello con i giocatori. Sarebbe stato logico attendersi ben altro tipo di comportamento da parte della società sia per tutelare l' immagine e la chiarezza di intenti della franchigia, sia per il rispetto umano e professionale di un personaggio storico e prestigioso come Mullin lo è stato per Golden State. I Warriors invece, anche in questo caso non hanno perso l' occasione per dar prova di sé in negativo dimostrando mancanza di organizzazione, di comunicazione e di stile.
Verso Mullin infatti è stata portata avanti una specie di "guerra diplomatica" in cui la dirigenza non ha mai preso ufficialmente posizione nei confronti del g.m. (rescissione del contratto) o sulla possibilità che il contratto gli venisse prolungato a fine anno, ma lo ha fatto capire indirettamente attraverso "mosse trasversali": oltre ai già citati casi di Davis e Ellis, a Novembre è stato licenziato Pete D'Alessandro (assistant general manager e braccio destro di Mullin) rimpiazzato da Larry Riley (braccio destro invece di Nelson), successivamente è stato ceduto Harrington ed è stato rinnovato il contratto a Jackson (secondo varie fonti Mullin si sarebbe opposto ad entrambe queste operazioni).
Inoltre è stato Nelson in prima persona a comunicare all' agente del rookie Randolph di trovare al suo cliente un' altra squadra e sempre Nellie ha comunicato a fine stagione a Crawford che il giocatore non rientrava più nei piani della società . Invece di condurre un atteggiamento così subdolo e privo di classe, sarebbe stato molto più serio e onesto o trattenere Mullin riconoscendone il ruolo esecutivo, oppure licenziarlo direttamente e assumere quindi un nuovo g.m. affrettando così questo tipo di svolta manageriale. Svolta manageriale che, per il resto della stagione, ha portato Nelson ad essere praticamente capo indiscusso di tutte le questioni tecniche riguardanti la squadra ben al di là del suo ruolo ufficiale di allenatore.
La decisione di rinunciare a Mullin lascia molto perplessi se si considera che la rinascita dei Warriors avvenuta nel biennio precedente è avvenuta proprio grazie alle mosse di mercato del' ormai ex-g.m: la trade che ha portato il Barone sulla Baia è stata la mossa di mercato più vincente e memorabile nella storia della franchigia, ma anche lo scambio che ha portato in gialloblu Jackson e Harrington è stato un passo essenziale verso il capolavoro dei play-offs del 2007. Mullin è stato anche colui che ha scelto Ellis e Biedrins attraverso il draft, ha scoperto Azubuike dalla D-League, e quest'anno ha aggiunto due autentiche gemme come Randolph e Morrow.
È altrettanto vero che nel suo armadio si possono trovare scheletri pesanti come i contratti concessi a Foyle, Murphy, Dunleavy (in parte quello di Maggette) ma gli errori fanno comunque parte di un naturale percorso di maturazione che hanno permesso a Mullin di crescere fino a diventare l' architetto principale della squadra che ha eliminato i Mavs e lo scorso anno ha vinto 48 partite. Inoltre è stato sempre Mullin a convincere Nelson a rientrare dal suo ritiro per riportarlo sulla panchina dei Warriors.
Se nel corso della stagione la figura di Mullin è stata sempre più svuotata di qualsiasi ruolo effettivo, all'opposto Nelson ha accumulato proporzionalmente sempre più importanza a tal punto che è lui oggi, dopo Rowell e Chris Cohan (proprietario di maggioranza), l' uomo di maggior spicco all' interno della dirigenza.
La gestione di Nelson ha riguardato ogni aspetto tecnico della squadra (giocatori, procuratori, mercato) e francamente ha lasciato molto perplessi per come è stata condotta durante l' anno soprattutto se rapportata agli obbiettivi che una squadra deve porsi nel momento in cui affronta un anno di svolte radicali e in cui le possibilità di competere per i play-offs sono praticamente nulle.
Il Mullin era stato molto chiaro durante la pre-stagione parlando di un campionato in cui cercare di far crescere i rookies e far maturare la stella di Ellis al fianco di personalità consolidate come quelle di Jackson e Maggette; persino Nelson sembrava disposto a perdere qualche partita in più pur di dar spazio al nucleo giovane della squadra.
In realtà la gestione di Nelson ha solo parzialmente rispettato questo principio, dimostrandosi spesso caotica, incostante e incapace di trovare nel corso delle gare una linea tecnica continua che potesse rispondere ai problemi che la squadra aveva già palesato nel biennio precedente così da costituire un importante punto di partenza per l' avvenire.
Nel corso della stagione, soprattutto nelle (poche) circostanze in cui il roster era al completo, Nelson ha privilegiato l' impiego dei veterani, utilizzando rotazioni ristrette e concedendo ai giocatori giovani spazio limitato e in momenti di partita comunque non significativi.
I rookies sono riusciti a trovare un po' di spazio per fare esperienze e mostrare il loro potenziale solo grazie a situazioni particolari come gli infortuni o le decisioni estreme prese da Nelson in qualità di "padre-padrone" della squadra. Gli infortuni hanno martoriato il roster dei Warriors per tutto l' anno: Ellis ha saltato più di 50 partite, Maggette ne ha perse 30, Jackson ha perso tutta la parte finale della stagione per operarsi al piede, Biedrins ne ha perse altre 20 e Wright e Belinelli addirittura metà stagione.
Ai problemi fisici dei vari giocatori si è aggiunta poi a Marzo (ultime 20 gare) la clamorosa decisione di Nelson di applicare limitatamente ai veterani una sorta di turnover escludendone uno a turno per partita, per dare ulteriore spazio ai rookies: Biedrins, Crawford, Jackson, Maggette sono stati tutti vittime a turno di Nelson, mentre Randolph, Morrow e Kurz hanno trovato finalmente continuità nel minutaggio. Le cifre delle matricole sono state interessanti sia singolarmente che nei risultati di squadra (vittorie contro New Orleans, Phila, in trasferta a Utah) ma rimangono molti dubbi su questo tipo di gestione.
Predomina perciò la sensazione che Nelson abbia dato spazio ai rookies più perché spinto da forze di causa maggiore che non dalla reale volontà di farli giocare e maturare; in secondo luogo, se si è dato spazio alle matricole perché ormai i risultati non contavano più, allora tanto valeva lanciarli due mesi prima poiché già alla fine di Dicembre il campionato dei Warriors era ampiamente segnato.
Le stesse scelte tattiche sono apparse spesso inadeguate sia per risolvere i problemi tecnici che la squadra aveva già evidenziato nel biennio precedente, sia per sfruttare le forze fresche presenti nel roster.
I quintetti hanno alternato la soluzione con i quattro piccoli a quella con i due lunghi ma in generale Nelson, quando ha potuto, ha privilegiato sempre la possibilità di schierare un esterno in posizione di "4" (Azubuike o Maggette dalla panchina). La soluzione migliore invece molto probabilmente sarebbe stata quella con i due lunghi che da un lato avrebbe permesso ai Warriors di rimediare alla lacuna storica della debolezza sotto i tabelloni, dall' altro avrebbe garantito minuti importanti a giocatori come Wright, Randolph, ovvero due dei principali giovani del roster.
Sorgono quindi concreti sospetti sul fatto se Nelson sia l' allenatore "filosoficamente" giusto per una franchigia con gli obbiettivi dei Warriors, ovvero diventare competitivi nell' arco di un paio d' anni puntando in maniera decisa sul nucleo dei propri giovani (gli stessi Ellis e Biedrins hanno firmato quest' estate dei contratti significativi). Obbiettivamente, è necessario premettere che vi sono state varie circostanze negative che non gli hanno permesso di svolgere il suo lavoro con regolarità : i ricorrenti infortuni (Belinelli e Wright sono stati a lungo out), il "caso Ellis" che ha rappresentato un colpo pesante per le prospettive tecniche della scorsa regular season, l' atteggiamento discutibile e l' etica lavorativa di Randolph che non ha certamente favorito le sue quotazioni.
Tuttavia, l' impressione è che il sistema di Nelson non sia compatibile per definizione con le idee societarie. Per far crescere le matricole e/o i giocatori meno esperti, è importante avere non solo un' allenatore che creda "per principio" nella linea verde ma che soprattutto disponga della pazienza e della costanza necessaria sia per accettarne gli errori e le punte negative, sia per gestire il loro minutaggio con un minimo di regolarità . Nelson invece storicamente, si è spesso contraddistinto per un ostracismo di fondo verso i rookies, privilegiando piuttosto i giocatori esperti ovviamente più affidabili. Inoltre uno dei suoi tratti distintivi è l' incostanza, l' umoralità nella gestione dei giocatori che lo porta a cavalcare all' esasperazione qualsiasi tipo di soluzione fino a quando questa si rivela produttiva per poi accantonarla del tutto quando non lo è più. A risentirne negativamente è il minutaggio di che gioca: mancanza di continuità , un giorno si è elementi inamovibili del quintetto base, il giorno dopo si occupa l' ultimo posto della panchina.
Inoltre, la soluzione preferita da Nelson è la "small-ball" con quattro esterni ma questo tipo di scelta appare complessivamente inadeguata per la mancanza nel roster di un esterno che riesca a marcare il "4" avversario e sia davvero efficace a rimbalzo.
La strutturazione più logica e necessaria è quella con due lunghi non solo per questioni difensive ma anche per giustificare la scelta di lunghi come Randolph e Wright, e soprattutto per preparare la squadra ai prossime evoluzioni future se (mai) dovesse arrivare dal mercato estivo un' ala-grande naturale. Non è un caso che lo spogliatoio stesso si sia mostrato progressivamente sempre meno entusiasta della small-ball.
Si aggiunga infine che il roster di quest'anno, anche se costruito con poca chimica (assenza di un play di ruolo e abbondanza nel settore guardie) era potenzialmente profondo con l' opportunità quindi di ampie rotazioni: Nelson invece nel corso della sua carriera ha sempre optato per rotazioni limitate tanto che anche quest'anno raramente sono stati utilizzati più di 8 giocatori nel corso di una singola gara.
In definitiva quindi, oltre alle lotte intestine "a distanza" che si sono verificate tra Rowell e Mullin e che hanno messo in discussione la stabilità dell' organizzazione, si è aggiunto il fatto che durante l' anno Nelson è sembrato molto più intento a seguire i suoi principi tecnici personali che quelli societari. Il tutto a conferma che all' interno della dirigenza ogni componente sembra essere preso dal suo ego e dalle sue brame di onnipotenza ma poco interessato a lavorare in armonia con gli altri per costruire un futuro solido.
Le conseguenze di questa incertezza diffusa in ogni strato della franchigia sono evidenti nel bilancio di fine anno e avranno delle inevitabili ripercussioni sul campionato venturo. Lo sviluppo dei giovani infatti è stato parziale in una stagione senza pretese e, con tutti gli stravolgimenti che hanno colpito il roster (infortuni, "turnover"), la chimica della squadra è ancora tutta da scoprire. In più, in un campionato che è stato condotto nella prima metà dai veterani e nella seconda parte dalle matricole, non è stata avviata in modo convincente quell' integrazione tra queste due componenti del gruppo che è essenziale per ritornare competitivi in un futuro a media-breve scadenza.
Altro punto interrogativo riguarda poi l' organigramma dirigenziale, capire cioè se Nelson sarà ancora l' allenatore o diventerà g.m.; nel primo caso il g.m. diventerebbe Riley, nel secondo caso invece la panchina verrebbe affidata a Keith Smart. Qualunque possa essere la soluzione, è evidente che Nelson si appresta comunque a diventare la figura predominante della società dopo Rowell, poiché Riley stesso è un suo uomo di fiducia.
È evidente che un anno di transizione, per definizione, non è sufficiente per risolvere tutti i cambiamenti e le difficoltà che inevitabilmente deve affrontare una franchigia che si sta rinnovando in ogni suo strato; ciò che importa è però cominciare a lavorare con decisione e lucidità sulle basi di una ricostruzione. La situazione dei Warriors, al contrario, è ancora troppo nebulosa da varia angolature tanto che, probabilmente, questa regular season non è stata sfruttata integralmente come vero primo gradino di un progetto in fieri.
Non che l' annata sia stata completamente fallimentare poiché, a prescindere dal record finale davvero desolante, si sono anche intravisti spiragli di luce che alimentano un po' di ottimismo sulla qualità e le potenzialità dei giocatori; tuttavia il passo iniziale di questa rinascita doveva essere fatto in modo più sistematico e funzionale al futuro.
Tra i segnali positivi quello principale riguarda Monta Ellis, il cui grave infortunio ha pesantemente condizionata la stagione del team soprattutto per le conseguenze disciplinari che potevano conseguirne (risoluzione in toto del contratto).
Ellis ha disputato poco meno di trenta partite ma, dal punto di vista fisico, il suo recupero è stato graduale e incoraggiante: la sua caviglia destra ha ritrovato gara dopo gara elasticità ed esplosività e anche il suo tiro in sospensione, dopo le prime prove incerte, è ritornato nuovamente affidabile.
Le sue statistiche finali sono positive (19.0 ppg, 45% dal campo, 83% ai t.l.) ma vanno comunque considerate con cautela in primo luogo perché favorite dal fatto che, con l' assenza di molti veterani e senza la pressione del risultato, Ellis ha potuto giocare a proprio piacimento con la possibilità di tirare sempre e comunque; in secondo luogo, ciò che interessa di Ellis in chiave tecnica è la sua possibile evoluzione più come point-guard che non come realizzatore puro.
Ovviamente è stata fondamentale per i Warriors la consapevolezza che l' infortunio di Ellis è sostanzialmente superato e che le sue doti atletiche e realizzative sono ancora integre, tanto che la società stessa ha inviato al suo agente (Jeff Fried) una lettera in cui rinuncia ufficialmente all' eventualità di rescindere il contratto.
Tuttavia è ancora tutta da verificare se Ellis sia in grado di gestire squadra e gioco: in varie situazioni è sembrato fuori controllo, poco cosciente "del momento" della partita e più intento per indole naturale a cercare un tiro che non a crearlo per i compagni. Dato che quest'anno il progetto di trasformarlo in play è stato inevitabilmente menomato dai problemi fisici, sarà la prossima stagione quella in cui si verificherà più concretamente la plausibilità di questo sviluppo tecnico.
Segnali molto positivi sono arrivati anche da Stephen Jackson che, favorito dal rientro di Ellis e dall' arrivo di Crawford, è ritornato ad occupare lo spot di esterno puro con licenza di uccidere: tra Gennaio e Febbraio il suo rendimento si è impennato non solo nei numeri (23ppg e il 44% da 3p) ma soprattutto nella leadership della squadra a dimostrazione del peso emotivo e psicologico che il giocatore può avere anche senza il Barone al suo fianco.
Interessante anche la crescita "caratteriale" del rookie Anthony Randolph, persino più confortante di un talento che fin dall' inizio è apparso davvero entusiasmante. Le giocate estemporanee di "Randy" hanno rappresentato le poche scariche di adrenalina e di elettricità che si sono vissute alla Oracle Arena e confermato la predilezione del Mullin per giocatori dal talento spettacolare. Randolph ha esibito, seppur a sprazzi, le sue doti swingman per il trattamento di palla, l' abilità nel saper creare dal palleggio e gli istinti nell' attaccare il ferro. Il suo atletismo è stato persino esuberante: il fisico magro ma molto reattivo, le sue grandi capacità di salto (anche consecutivi) e una notevole mobilità laterale, gli hanno permesso di essere più volte un insospettato fattore difensivo come rimbalzista (7° rimbalzista tra i rookies pur essendo solo il 23° per minutaggio) e notevole stoppatore dal lato debole. Come anticipato però, quello che ha incoraggiato di più, soprattutto in prospettiva futura, sono stati i suoi miglioramenti "mentali" nella sua etica allenamentare e nel controllo della sua emotività , che si sono poi riflessi in una maggiore disciplina in campo.
Chi invece è stata un' autentica scoperta è stato Anthony Morrow, matricola undrafted che già in pre-stagione era saltuariamente salito alla ribalta per il suo tiro letale. La regular season ha confermato gli indizi estivi. Benchè non si stia parlando di un fuoriclasse o di un giocatore che possa cambiare le sorti di una franchigia, Morrow si è rivelato un' utile addizione al sistema offensivo dei Warriors poiché il suo devastante tiro dalla distanza (46.7% da 3p e primo della Lega nella speciale graduatoria) spesso ha punito i varchi creati dalle iniziative di Ellis, Jackson e Maggette.
Nel sistema di Nelson che privilegia gli isolamenti in 1c1 al coinvolgimento corale, il gioco senza palla di Morrow viene sfruttato solo in parte per potergli creare dei tiri, e comunque il giocatore ha ancora notevoli margini di miglioramento fisici e difensivi; in più, il rookie da Georgia Tech sembra poco incline nel mettere palla per terra e concludere in penetrazione (solo 92 t.l. tentati in stagione) tanto da considerarlo più uno specialista puro del tiro che non un autentico realizzatore.
In ogni caso, un tiro killer come il suo può sempre far comodo sia a Golden State che a qualunque squadra abbia bisogno di un tiratore perimetrale "punitivo".
In un percorso di analisi che prende inizio da come la società ha affrontato l' anno appena concluso, il cerchio non può che chiudersi idealmente ritornando alla dirigenza stessa per capire con quale prospettive potrebbe decidere di muoversi nel prossimo mercato. Il focus principale sarà presumibilmente quello di dare ordine e sistematicità agli sprazzi positivi del 2008/09 cercando magari di piazzare un colpo a sensazione che possa sveltire la rinascita del team.
Pressoché scontata la partenza di Mullin che idealmente chiude un altro cerchio, quello cioè delle partenze del trio (Baron, Richardson e Mully appunto) che ha costituito il nucleo tecnico e cerebrale del 2006/08. La destinazione sempre più probabile sembra New York, nonostante le smentite di Donnie Walsh: le visite tra i due sono state sempre più frequenti durante l' anno in coincidenza con il torneo NCAA e Mullin stesso è stato visto cercare casa nelle vicinanze della Grande Mela (Westchester). Il perno tecnico della franchigia dovrebbe diventare ufficialmente Nelson o ancora come allenatore o come g.m.
Relativamente al roster, la lista dei desideri per l' estate è piuttosto chiara: "Smaltire alcune ridondanze tecniche, in particolare nella pozione di guardia; migliorare la difesa che anche quest' anno è stata la peggiore della Lega in punti subiti ed è stata spesso messa sotto a rimbalzo; infine "make a splash", fare cioè un gran colpo di mercato che faccia fare un deciso salto di qualità " (Marcus Thompson).
Nelson ha già scaricato Crawford la cui coesistenza con Ellis non lo ha soddisfatto. La società ha chiesto a Crawford di esercitare la sua "player option" che permetterebbe alla società di liberare molto spazio salariale, mentre il giocatore uscirebbe dai due anni rimanenti di contratto (2 anni x 20 mln di $) per firmarne uno di più lungo. Per quanto il talento di Crawford sia indubbio, con i tempi che corrono e con la crisi economica che sta colpendo molte franchigie NBA, è tutto da vedere se si presenterà alla giovane guardia la possibilità di firmare un contratto tale da indurlo a rinunciare ai 20 mln garantiti del prossimo biennio: più facile quindi che i Warriors lo utilizzino come pedina di scambio.
Più o meno analoga la posizione di Maggette: la società non lo ha ufficialmente scaricato ma è da Febbraio che i Warriors cercano di piazzare un giocatore dal contratto pesante e che pur essendo stato produttivo soprattutto dal pino (18.6 ppg) non risponde del tutto alle necessità tecniche della squadra. Altri indiziati di cessione, secondo rumors, sarebbero Watson e Morrow che, nonostante la sorprendente stagione verrebbe sacrificato a favore della maggiore completezza e dei miglioramenti di Belinelli. I Warriors così snellirebbero l' ingolfato reparto guardie e potranno ulteriormente scaricare il contratto di Foyle che libererà circa 7 mln di salary cap.
Tra le conferme, i propositi per il quintetto base prevedono Ellis come point-guard, Jackson come "2", il probabile lancio di Randolph come ala-piccola e Biedrins: la lacuna da colmare sarebbe quindi quella classica dell' ala-grande, solo che in questo caso non si tratterebbe di un esterno adattato da "4" secondo i principi di Nelson, bensì di una power-forward di ruolo poiché la strutturazione per il prossimo anno dovrebbe prevedere l' impiego più continuo di due lunghi. In questo senso, le voci di mercato indicherebbero i Warriors verso una decisa rincorsa a due ali-grandi di valore eccelso: Chris Bosh e Carlos Boozer.
Sulla possibilità che arrivi uno dei due aleggiano serissimi dubbi nonché difficoltà derivanti dal fatto che la scarsa competitività dei Warriors ad alti livelli ovviamente non incoraggia un free-agent ad una scommessa così rischiosa (Mullin con il Barone era riuscito ad aggirare anche quest' ostacolo); in particolare Bosh difficilmente accetterà un' estensione contrattuale ora, potendo invece diventare free-agent nel 2010 e sperare di approdare a New York eventualmente con Lebron James.
Le stesse pedine di scambio che possono essere messe sul tavolo delle trattative sono interessanti (Crawford su tutti) ma non abbastanza per arrivare ad un lungo di valore assoluto. La volontà stessa di Colangelo sarebbe logicamente quella di far firmare a Bosh un' estensione più che scambiarlo, ma le sue idee collidono profondamente con i veri e neanche tanto nascosti obbiettivi del fuoriclasse dei Raptors. Inoltre anche un improbabile arrivo di un "4" naturale, solleverebbe spinose questioni tecniche, prima fra tutti la compatibilità con un sistema così frenetico come quello di Nelson e che privilegia più le guardie che non i lunghi.
In più la valorizzazione di un lungo, dipende fortemente dalla presenza di un play di ruolo che sappia gestire e bilanciare l' esecuzione offensiva ma, almeno per ora, Ellis appare ben distante dall' esser questo tipo di leader. In questo senso, non dovessero arrivare (come probabile) né Bosh né Boozer, un' altra ipotesi di mercato potrebbe essere quella di firmare un play naturale permettendo così a Ellis di ritornare al suo classico impiego da guardia e lanciando in quintetto o Randolph o Wright da "4". Anche in questo caso, due le proposte: Kirk Hinrich e Andre Miller.
Il primo ai Bulls è ormai chiuso dall' arrivo di Rose e già in Febbraio era praticamente ad un passo dai Warriors nell' ambito dello scambio con Harrington, fu poi l' infortunio al polso a bloccare tutto; in più il contratto di Hinrich e Crawford si equivalgono per guadagno annuale, con quello di Hinrich che è maggiore per estensione. Tecnicamente Hinrich sarebbe una valida soluzione poiché il suo arrivo garantirebbe un giocatore di ruolo con gran tiro da fuori e quella tonicità difensiva sul perimetro che lo scorso anno è stato uno dei principali problemi dei Warriors.
Viceversa è meno chiaro come Crawford potrebbe interessare ai Bulls che, anche nel caso in cui non estendessero a Gordon, sarebbero sempre coperti in guardia da Salmons. Nemmeno Maggette potrebbe interessare visto che a Chicago, più che un altro realizzatore, serve un lungo con punti nelle mani: anche i Bulls infatti sono tra i principali pretendenti a Bosh.
Miller, invece, la prossima estate "sarà la miglior opzione possibile tra i play di esperienza, grazie alla sua velocità di base alle sue capacità difensive" (Bruce Jenkins).
Pure questa infatti sarebbe un' ipotesi molto interessante considerando che proprio Miller è stata una delle chiavi del gioco in velocità e in transizione dei Sixers con la sua abilità nel guidare e concludere i contropiedi, e nel creare spazio per i compagni in penetrazione.
Inoltre, il play dei Sixers si appresta a diventare free-agent e all' età di 33 anni non sarà necessario svenarsi per strappargli un contratto. Sarà invece molto più difficile stapparlo ai Sixers in piena lotta play-offs"