Eric Gordon è l'uomo della speranza per i Clippers
In ambito sportivo, il termine Cenerentola si usa per indicare una squadra condannata alla mediocrità e alle ultime posizioni, con poche speranze di sovvertire il pronostico e guadagnarsi un posto al sole.
Nello sport americano è un'etichetta che si ottiene e ci si scrolla di dosso a intervalli ciclici, ma non sempre le cose vanno così. Se mai l'NBA ha avuto una sua Cenerentola storica, che quell'etichetta non se l'è mai tolta, questa ha sicuramente il volto dei Los Angeles Clippers.
Squadra storica ma senza storia, spesso ospite in casa propria, occupata dai peggiori cugini possibili, popolarissimi e vincenti da sempre. La vita dei velieri è sempre stata in salita e avara di soddisfazioni: nessun anello, nessun titolo di Conference e nessuno di Division. Poche qualificazioni ai playoff, tanti goffi tentativi di invertire la rotta.
Eppure la fiaba di Cenerentola ha anche una seconda parte centrata sul riscatto, che la metafora sportiva non prende in considerazione. Cinderella men , così vengono chiamati nel mondo anglosassone i vincitori delle lotterie nazionali: persone che dall'oggi al domani lasciano alle spalle vite mediocri e si trovano a vivere un sogno.
Seguendo la metafora, a dispetto dell'ennesima stagione negativa della loro tribolata storia, i Clippers sembrano essere in possesso di un discreto numero di biglietti per girare la sorte a proprio favore.
L'annata 2008/09 è iniziata con la firma di Baron Davis e l'addio di Elton Brand, protagonista di ottime stagioni allo Staples Center e leader di quella squadra che nel 2005 è tornata ai playoff dopo tredici anni di assenza. Doveva essere il duo su cui costruire la squadra, è stata invece una semplice staffetta: la perdita del proprio uomo franchigia ha convinto l'owner Donald Sterling a cambiare radicalmente strategia.
I Clippers hanno infatti cominciato ad aggredire il mercato come mai avevano fatto in precedenza, bussando alla porta di chiunque volesse alleggerire il proprio salary cap, per evitare la luxury tax o semplicemente per fare spazio in vista della fatidica Summer 2010. Estate che ai velieri interessa molto relativamente: del resto, quale free agent di lusso sceglierebbe, a parità di soldi, i Los Angeles Clippers? Appunto.
Questa strategia ha aumentato il payroll e portato in dote due ottimi giocatori come Marcus Camby e, a stagione già iniziata, Zach Randolph.
Amalgama tutta da creare, ma troppo talento a disposizione per non essere tenuti d'occhio, i velieri si sono presentati all'opening day carichi di speranze. Sono andati incontro, invece, al solito naufragio: diciotto partite vinte e cinquantotto perse, solo Washington e Sacramento hanno fatto peggio.
Numeri che dicono tanto, ma che non dicono tutto.
Da un certo punto di vista l'annata dei Clippers non è infatti mai cominciata: a turno, in coppia e perfino tre alla volta, i big che dovevano caricarsi la squadra sulle spalle hanno marcato visita a causa di infortuni.
L'epidemia che ha colpito il roster ha di fatto compromesso la stagione e sospeso qualsiasi giudizio su squadra e allenatore, quel Mike Dunleavy Sr di cui molti tifosi chiedono da qualche tempo lo scalpo.
I Clippers hanno giocato la loro prima partita in formazione tipo solo il 9 marzo, quando hanno ospitato Lebron allo Staples Center. E' stata una partita particolarmente emblematica della loro stagione: avanti di venti punti per tre quarti, con una gara che rasentava la perfezione, i padroni di casa sono riusciti a incappare nell'abituale L con un quarto periodo giocato e allenato ai limiti del dilettantesco, con la ciliegina sulla torta di un airball tirato in preda a deliri mistici da Randolph nel corso del possesso finale.
Nessun trucco, nessun tanking, i Clippers sono semplicemente questi: svampiti, volonterosi, tendenzialmente depressi. Quando l'esito di quasi tutte le partite che giochi è una sconfitta, non può essere altrimenti.
Risulta in definitiva difficile farsi largo nel magma stagionale in cui versa il team e tracciare una linea netta che divida le fatalità dagli errori di gestione, gli assoli dei singoli dalla mancanza pressoché totale di una chimica di squadra, le sicurezze da cui ripartire e le solite congenite debolezze.
La cosa certa è che, a livello di valori, questa squadra è largamente migliore dei risultati che ha ottenuto.
Ha un record da franchigia in ricostruzione, ma non è una franchigia in ricostruzione. Ha qualcosa di vicino ad un All Star in Zach Randolph, alla sua migliore stagione in carriera; più asciutto fisicamente, più concentrato, finalmente decisivo nelle (poche) W conquistate dalla sua squadra. Una signora acquisizione, per quanto il contratto di Z-BO sia tra i più onerosi della lega.
L'uomo nuovo, a cui sono legate le maggiori speranze di girare il corso della storia della franchigia, è tuttavia Eric Gordon. Il rookie proveniente dagli Hoosiers si è subito imposto come realizzatore sublime, con grandissimi istinti per la retina avversaria e una vasta gamma di soluzioni tecniche e atletiche per raggiungerla.
Quindici punti abbondanti di media al suo primo impatto con l'NBA, e l'impressione è che sarebbero potuti essere anche di più, se coach Dunleavy lo avesse cavalcato con maggiore continuità . Rookie del mese di gennaio, Gordon sembra destinato a essere uno dei migliori giocatori usciti dalla nidiata 2008.
Sempre in sede di draft la dirigenza ha messo le mani su due prospetti molto interessanti, il centro DeAndre Jordan e la combo guard Mike Taylor. In entrambi i casi i riscontri sono stati positivi. Jordan era e resta un progetto di medio-lungo termine: ancora da sviluppare in attacco, dove comunque può contare su mani discrete e annovera già due escursioni sopra quota 20 punti, il ragazzone texano ha dimostrato di essere una presenza importante nella propria metà campo, grazie a una innata predisposizione per la stoppata (ben sei al suo esordio nella falcidiata starting line-up con cui i Clippers hanno ospitato i Timberwolves il 19 gennaio).
Taylor è ricomparso sui radar della lega recentemente, dopo mesi passati in naftalina. E' stato il primo giocatore NBA draftato da un team di D-League, ma la cosa era passata abbastanza inosservata. Impossibile invece passare inosservati quando si segnano 35 punti al Madison Square Garden, impresa riuscita al nostro lo scorso 25 marzo.
Il cuore giovane della franchigia è completato da Big Al Thornton, che già lo scorso anno era stato costretto a prendersi tiri e responsabilità da stella, complici il dopo-Livingston e gli infortuni occorsi a Brand e Kaman: le cifre dell'ala ex Florida State hanno continuato a crescere nel suo anno da sophomore, assestandosi sui 17 punti e 5 rimbalzi a partita. Numeri da giocatore solido, in ascesa.
Discreta si è rivelata poi, almeno agli inizi, l'addizione di Mardy Collins, ottenuto nell'ambito dell'operazione Randolph. Giocatore decisamente atipico, il pupillo di Isiah Thomas ha trovato fin da subito una grande intesa con Eric Gordon, prima di tornare ai margini col ritorno della lineup titolare.
Capitolo a parte per l'acquisto di punta del mercato estivo. Angelino doc, giocatore fantastico e personaggio che non può passare inosservato fuori dal campo, Baron Davis non ha bisogno di presentazioni.
Il suo arrivo ha avuto il merito di ridare entusiasmo ad un ambiente che ne ha da sempre un atavico bisogno, ma il matrimonio cestistico con il basket ragionato e a basso ritmo di Dunleavy non è andato bene . Abituato a cavalcare il campo a massima velocità con Nelson, il Barone ha incontrato parecchie difficoltà nel riadattare il suo gioco, denunciando i soliti limiti in termini di selezione di tiro.
Erano in molti a scommettere che sarebbe stato ceduto prima della deadline, magari in cambio del contratto (con annessa salma) di McGrady, ma alla fine è rimasto, facendo registrare timidi miglioramenti nell'ultimo mese. Di sicuro la colpa di questo insuccesso non è stata tutta sua, ma di chi lo ha strapagato per chiedergli qualcosa che non era abituato a fare. La ricerca di un compromesso sta continuando, ma le caratteristiche del giocatore restano fondamentalmente quelle.
Il leader emotivo della squadra è stato per gran parte della stagione Marcus Camby, che avrebbe voluto lottare per ben altri obiettivi in ben altre franchigie, ma che non ha mai fatto mancare il suo solito contributo, diventando in breve tempo un beniamino dei tifosi.
Chris Kaman ha saltato quattro mesi di partite a causa di una fastidiosa fascite plantare, senza dare così un seguito alla breakout season del 2007-08. Dunleavy nutre per lui un'ammirazione smodata e quasi morbosa, ma per ora il centrone del Michingan ha avuto difficoltà nell'auspicato passaggio da buon giocatore a stella del team. Gli acciacchi fisici cominciano a essere tanti, i rientri in forma sempre lunghi e difficoltosi: una parte dello Staples ha cominciato a rumoreggiare sui giochi disegnati per Kaman, visto come il boytoy goffo del coach, incapace di caricarsi la squadra sulle spalle quando il livello della contesa si alza.
Eppure, con tutti i suoi limiti in termini di continuità e concentrazione, the Caveman resta merce tecnica rarissima all'interno della lega: forse non diventerà mai un All Star, ma si tratta sicuramente di un giocatore che, una volta ceduto, sarebbe quasi impossibile da sostituire. Ecco perché è più probabile che in estate sia Camby a partire, in virtù del contratto in scadenza nel 2010 e di una carta d'identità che comincia a pesare parecchio.
Arrivare a fine regular season senza obiettivi, con il pensiero già rivolto al futuro, non è una novità per i Clippers. E' la vita della Cenerentola. Allo stesso tempo, nell'ennesimo naufragio dei velieri è impossibile non intravedere qualche raggio di luce.
La squadra è stata sfortunata e male assemblata, ma ha tutto per svoltare: un nucleo giovane e talentuoso, giocatori di livello e con un certo mercato, una scelta presumibilmente molto alta al prossimo draft.
I Clippers hanno tutte le carte per cambiare il loro destino nelle proprie mani. Se le giocheranno male rimarranno semplicemente i Clippers, la seconda squadra di Los Angeles; se invece si muoveranno nella direzione giusta, potranno finalmente scrivere la seconda parte della favola di Cenerentola. Quella dove si comincia a vincere.