Michael Beasley, nella foto, e Eric Gordon sono 2 sicure stelle del futuro per la NBA
Di uno si sentiva già parlare da molto tempo, probabile prima scelta, grandissimo talento, fisico esplosivo e tanti punti nelle mani, nome e cognome Micheal Beasley.
L’altro era meno sponsorizzato, meno noto, chiamato al settimo pick dai velieri di Los Angeles, nome e cognome Eric Gordon.
Ad oggi, attraverso strade e esperienze diverse, sono tra i migliori rookie dell’anno. Il primo gioca nella squadra del potenziale MVP Dwyane Wade a Miami nella splendida Florida; il secondo non ha nulla da invidiare in quanto ad ambientazione cittadina giocando come detto prima nella città degli angeli sponda Clippers.
Conosciamo meglio questi due ragazzi che si stanno rivelando tra le migliori giovani matricole dell’anno.
Micheal Paul Beasley
Nato il 9 gennaio 1989 a Frederick nel Maryland, altezza 2.06 metri per 111 kilogrammi, soprannominato “La Bestia” o in minor frequenza “B-Easy”, proveniente da Kansas State e scelto al numero 2 assoluto dai Miami Heat, Micheal Beasley al suo primo anno tra i professionisti sta fecendo intravedere sprazzi pittorici della grande tela che è il suo talento.
Come in ogni cosa tutto ha un inizio e una fine, e anche per il ragazzo dagli occhi di ghiaccio c’è un pre e un post. Idi di febbraio 2009 Shawn Marion e Marcus Banks volano in direzione Toronto, Canada e agli Heat arrivano Jermaine O’Neal e Jamario Moon.
Per Beasley è un’immensa occasione dato che il dualismo con l’ex numero 7 della sua squadra riduceva per il rookie spazi e gloria. E Beasley risponde presente.
Da allora, seppur le mere cifre siano più o meno le stesso pre-scambio Micheal è stato molto più coinvolto da coach Spoelstra nelle rotazioni, soprattutto offensive, degli Heat. Suo l’exploit di 28 punti, conditi da 9 rimbalzi, nella vittoria contro Phoenix per 135 a 129 del 4 marzo scorso all’American Airlines Arena.
Nato come mancino in puro stile Lamar Odom, inizia sorprendentemente ad usare anche la mano destra con buoni risultati, il suo fisico l’aiuta sia a rimbalzo sia nel battere l’uomo sul primo passo. Emblematica a riguardo una dichiarazione di Pat Riley che afferma che Beasley se giocasse più minuti sarebbe il top scorer dell’intera lega NBA, con buona pace dei vari Kobe, Lebron e del suo stesso compagno Wade.
Fino ad oggi i minuti in media giocati sono 24 in cui il ragazzo mette a referto 13 punti e 5 rimbalzi di media, tirando con il 45% dal campo e con quasi il 40% da tre. Potenzialmente un fenomeno. Ma probabilmente questo già lo si sapeva al momento dello scorso draft.
In attacco Beasley, crescendo, sarà sempre di più un fattore e un perfetto secondo violino per Flash Wade. A Erik Spoelstra l’arduo compito di saperli gestire, anche se usare due palloni non è ancora consentito.
Purtroppo sono rimasti anche i dubbi su di lui e in particolare due: difesa e personalità .
Per quanto riguarda la prima semplicemente non c’è, né come impostazione mentale, né come pura voglia, rarissime occasioni escluse. E questo difetto va di pari passo con la personalità .
Quanta voglia di far fatica ha il ragazzo?
Quanta voglia di migliorarsi? Quanta voglia di allenarsi?
Quanta voglia e quanto spirito di sacrificio?
A queste domande per ora la risposta data dal giocatore non è soddisfacente.
Spesso e volentieri non difende, si limita a fare, male, il suo compitino; esiste solo per una metà del campo e giustamente, finchè non si renderà conto che esiste anche un altro lato sul parquet, più importante, probabilmente, di quello offensivo da lui prediletto coach Spoelstra sarà obbligato a dargli i canonici 24 minuti a partita.
Il talento, immenso, c’è. La testa deve ancora arrivare, nonostante un QI cestistico strabiliante. Una Ferrari da competizione con qualche problema di affidabilità . A Spoelstra il compito di rimetterlo in pista.
Eric Gordon
Nato il 25 dicembre 1988 a Indianapolis, Indiana, già McDonald’s All-American come Micheal Beasley, alto 1.91 metri per 100 kilogrammi, proveniente da Indiana University, dove è rimasto uno degli Hoosiers più amati di sempre, e scelto al numero 7 assoluto dai Los Angeles Clippers, Eric Gordon è stato nominato rookie della Western Conference nel mese di gennaio.
Guardia molto atletica che fa della sua forza fisica e della sua esplosività una delle armi più devastanti che i tifosi Clippers abbiano visto allo Staples Center quest’anno.
Attacca il ferro con grande personalità difendendosi molto bene in penetrazione nel pitturato. Il primo passo è devastante e lascia spesso sul posto i malcapitati difensori e anche il suo jump shot è abbastanza affidabile.
Il buon controllo della palla e una migliorabile tecnica di passaggio potrebbero fare di lui una guardia molto temibile anche in ottica assist-man sugli scarichi. Paga a volte dazio per la sua altezza che contro avversari più dotati di lui lo penalizza.
Il contesto in cui sta giocando alla grande è quello dei sempre più derelitti Clippers che hanno pescato inaspettatamente un piccolo gioiello al draft dello scorso anno. Ma come tutti i diamanti anche Eric Gordon ha dei lati grezzi da raffinare.
Usa poco il tiro da tre nonostante una discreta percentuale del 38 % poiché come detto in precedenza preferisce attaccare il canestro da vero e proprio slasher tagliando a fetta la difesa avversaria.
Dovrebbe mettere su qualche chilo di muscolatura affinando allo stesso tempo la sua capacità di condurre la squadra e l’intensità e la rabbia agonistica con cui lotta, poco, a rimbalzo.
La difesa è sicuramente rivedibile anche considerato il contesto in cui il ragazzo deve applicarsi ma leadership, voglia e atteggiamento sembrano proprio quelli giusti per far compiere al ragazzo proveniente dall’Indiana il definitivo salto di qualità che gioverebbe come ossigeno agli asmatici Clippers.
Le sue cifre sono comunque buone; difetti ogni qual volta che scende sul parquet inanella prestazioni da 15 punti, 2 rimbalzi e 2 assist ogni 33 minuti. Negli occhi degli appassionati ci sono ancora i 41 punti donati ai Thunder di Durant il 23 gennaio scorso, prestazione che ha mostrato la luce che potenzialmente questo giovane rookie può emanare.
Donald Sterling e Mike Dunleavy puntano forte su di lui per ridare fiato alle future speranze dei cugini poveri, per ora, dei Los Angeles Lakers.