Candyman returns

Ray Allen, uno dei giocatori più eleganti dell'intero panorama NBA

Ci sono pochi giocatori al mondo capaci di rendersi utili in così tante cose eppure anche si dimostrarsi splendidi e decisivi solisti all’occasione, quando la palla scotta e quando tutti si aspettano che tu realizzi “quel” canestro.

E tra questi sono ancora più rari quelli in possesso di una tecnica così cristallina, efficacissima e al contempo elegante, bella da vedere.

Una guardia longilinea (196 cm per 93 kg) dal fisico esplosivo, anche ora che le candeline sulla torta son più di trenta (34 il prossimo 20 luglio), capace di andare a canestro in tantissimi modi, anche se lo spessore tecnico e la precisione del suo tiro sono divenuti proverbiali, tanto da giustificare il nickname di “Candyman”, ovvero l’uomo dei dolci, proprio a significare la bellezza, quasi la dolcezza con cui le sue mani trattano il pallone durante il tiro, che molto spesso termina poi nel cesto, dato che è considerato uno dei più grandi tiratori nella NBA.

Walter Ray Allen nasce il 20 luglio 1975 a Merced, dove il sole è caldo e le onde altissime, meta golosa per i surfers di tutta la California, ed è fin da subito educato in maniera dolce ma anche severa dai genitori, madre ex-giocatrice di basket inglese e padre austero militare di carriera, tanto che viene presto considerato il classico bravo ragazzo americano : rispettoso, i suoi modi sono gentili e mai un problema per i genitori: niente alcol o droga, niente cattive compagnie e tanto, tanto basket, spesso nel campetto dietro casa, dove il piccolo Ray mette in mostra un talento acerbo ma tutto da sviluppare.

Dopo l’ennesimo trasferimento della famiglia Allen in South Carolina, dove ora è di base il padre, il ragazzo frequenta la Hillcrest HS divenendone in breve la stella: nella stagione da Junior trascina la sua squadra al titolo di Stato e l‘anno successivo non si ripete ma raggiunge cifre personali ragguardevoli (28.5 punti, 13.5 rimbalzi, 5.3 assists per gara) che lo mettono al centro dell’attenzione da parte di molte università .

La scelta di Ray cade sull’Università  del Connecticut (UCONN) del coach Jim Calhoun, che vince la concorrenza costruendo attorno al giovane Allen, point guard titolare, il suo attacco.

Verrà  ripagato ampiamente da parte della sua giovane stella che, dopo una prima stagione di adattamento in cui partiva dalla panchina, inizia un crescendo di prestazioni e risultati che porteranno la squadra al torneo NCAA e Allen, votato per due anni consecutivi nel miglior quintetto All-America, ancora al centro dell’interesse generale quando nel 1996 si dichiara eleggibile per il Draft.

Ray viene scelto come quinto assoluto da Minnesota che, in seguito ad un accordo precedente, lo gira immediatamente ai Milwaukee Bucks assieme ad una prima scelta futura in cambio di Stephon Marbury, che guarda il caso, oggi divide con lui i minuti nel ruolo di guardia ai Celtics.

Nella franchigia del Wisconsin, da subito gratificato del quintetto base, “the Candyman” inizia progressivamente a crescere in qualità , esperienza e cifre, sempre altissime quelle di assist punti e rimbalzi, finché con l’arrivo di Glenn Robinson, i Bucks crescono al punto che nei playoffs del 2001 raggiungono la finale della Eastern Conference, coltivando il grande sogno dell’Anello.

Vengono invece eliminati in gara 7 dai Sixers della coppia Allen Iverson & Larry Brown, solitamente sul filo del rasoio, ma quell’anno particolarmente in sintonia, tanto da iniziare la serie finale coi Lakers addirittura in vantaggio, dopo la vittoria corsara allo Staples Center di L.A., subendo però il ritorno di Shaq e Kobe Bryant, che ancora non si erano mandati a quel paese e che assieme riescono a vincere le successive quattro gare assicurandosi il titolo.

Ray Allen, che quella stagione aveva fatto segnare cifre assolutamente stratosferiche (22 punti col 48% dal campo, 43.3% da oltre l’arco e 88.8% dalla lunetta, a cui si aggiungevano 5.2 rimbalzi, 4.6 assits e 1.51 palle rubate ad incontro ; nella post-season, in 18 partite, passò addirittura a 25.1 punti, 6 assists e 4.1 rimbalzi a partita), rivelatesi inutili a raggiungere l’anello, negli anni successivi assiste impotente al progressivo declino della squadra, che nonostante i veterani Robinson e Cassell, oltre ovviamente a lui stesso ed al suo consueto apporto di gioco, cifre e personalità , persa la chance di giocarsi il titolo, smarrisce gioco e motivazioni.

Lo stesso front office della franchigia del Wisconsin, totalmente demotivato, accetta proprio sul filo della “trade-deadline” di scambiare, Ray Allen assieme a Kevin Ollie, ricevendo in cambio da Seattle Gary Payton e Desmond Mason più scelte varie in un senso e nell’altro.

Dopo una prima stagione in sordina, complice anche l’intervento chirurgico alla caviglia per Ray, i Sonics affrontano la stagione 2004-05 nel migliore dei modi, vincendo il titolo divisionale e giungendo ai playoffs, mancati tra la delusione generale l’anno precedente.

Avendo superato il primo turno, e nonostante le cifre di Allen (26.5 punti, 4.3 rimbalzi, 3.9 assists per gara), siano ancora una volta ragguardevoli, anche per le medie al tiro, i Sonics vengono eliminati dai futuri campioni di San Antonio nella semifinale della West Conference.

Anche il secondo assalto al titolo da parte dell’ex-UConn fallisce ed ancora una volta a Seattle vive l’incubo di una squadra che si dissolve anno per anno, dopo avere fallito l’occasione di vincere.

L’anno successivo “Mr Sonics”, ovvero il coach Nate McMillan, in palese disaccordo con la proprietà  (che evidentemente già  da allora occhieggiava l'ipotesi di trasferire altrove la franchigia), lascia la panchina gialloverde e l’anno successivo, i ripetuti infortuni di Allen (che peraltro mantenne cifre ragguardevoli, toccando 26.4 punti di media a partita, più 4.5 rimbalzi e 4.1 assists) e Rashard Lewis causano il crollo della squadra dello stato di Washington.

Segue una epurazione e la posizione dello stesso Allen viene messa fortemente in dubbio dalla dirigenza.

Sembra la fine del sogno del ragazzo californiano di vincere qualcosa in carriera, dopo averla comunque impreziosita da prestazioni di altissimo livello, cifre tra le più elevate, e numerosissime partecipazioni agli annuali All Star Game, sia come giocatore che come tiratore o schiacciatore.
Sembra la conclusione già  scritta per uno dei tanti giocatori di grandissimo talento, capaci di grandissime imprese, ma mai di vincere qualcosa con la propria squadra.

Ma il destino, spesso cinico, sa essere anche generoso talvolta e così la trade che porta il trentaduenne Ray Allen, o “He got game” se preferite, soprannome che gli viene dal titolo del film di Spike Lee di cui il giovane Ray era stato protagonista a suo tempo, si rivela essere il primo passo verso il primo titolo di questo grande giocatore e il diciassettesimo per i Boston Celtics, la sua nuova squadra, i cui tifosi hanno atteso ben 22 anni dall’ultimo titolo del 1986, in piena “era Bird”.

Allen entra a far parte di trio di stelle (The Big Three) assieme alla stella veterana dei bianco verdi Paul Pierce ed al neo arrivato Kevin Garnett; il fenomenale terzetto, unitamente ad un support cast di buon livello, comincia così la cavalcata verso l’Anello.

Non sto a ricordarne le tappe che i tifosi celtici rivivrebbero volentieri mille volte, ma che tutti gli altri son forse stufi di sentir celebrare.

Va detto però che la stagione di Ray Allen ha risentito molto di questo diverso impiego, in una squadra in cui i tiri vanno attentamente selezionati e suddivisi, ma qui è venuta fuori tutta l’intelligenza e la maturità  di questo fantastico giocatore che, incurante del brusco calo delle cifre durante la regular season ( 17.4 punti, 3.7 rimbalzi e 3.1 assists in quasi 36 minuti di impiego per gara) che si sono ulteriormente contratte durante i playoff, ha saputo mettersi a disposizione dei compagni smazzando assists, recuperando palloni e afferrando rimbalzi per tutta la stagione

Certo ha alternato però qualche passaggio a vuoto, ma è stato il prezzo da pagare per un così radicale cambiamento in utilizzo, disponibilità  di palloni, obiettivi e compagni di gioco, e comunque alla fine, in quel TD Banknorth Garden festante dopo la conquista dell'Anello, sancita dalla settima delle sue triple, nessuno credo se ne sia ricordato, ed è giusto così.

Negli scorsi playoff si ricordano di lui più che le percentuali o la precisione balistica, anche se ha messo appunto dentro un gran numero di tiri proprio quando serviva di più, bensì le grandi prestazioni difensive, specialmente contro Kobe in finale, e la splendida attitudine da giocatore maturo, leader riconosciuto, e da vero vincente che tutti, compagni, membri dello staff, tifosi ed avversari gli hanno giustamente riconosciuto, anche al cospetto di una stagione che, statisticamente, nel complesso non è stata sicuramente una delle sue migliori.

Quest’anno però qualcosa sembra cambiato nella struttura dei Celtics.
Persi in estate James Posey (attirato dal “vile danaro”, molti, maledetti e subito, diciamo così, in quel di New Orleans) e PJ Brown, (ritiratosi dopo la conquista dell’Anello) i titolari si son dovuti sobbarcare molte responsabilità  in più, soprattutto da quando gli infortuni a catena stanno minando l’organico dei bianco verdi.

Tra i reduci, proprio Ray Allen, ha risposto ancora una volta da campione, riprendendo a tirare di più e con cifre di nuovo di buon livello (18.4 punti, ottenuti col quasi 49% dal campo, il 40% da tre punti e uno straordinario 95.5% ai liberi ; più 3.50 rimbalzi e 2.7 assists a gara in quasi 38 minuti di utilizzo e con un ottimo +17.07 come coefficiente di efficacia segno di tiri attentamente selezionati e iniziative di squadra quasi sempre positive) che danno riscontro di numerose partite decise per tiri ed iniziative proprio del “Candyman”.

E tutto ciò senza minimamente uscire dal canovaccio offensivo tracciato dal duo Rivers-Thibodeau, senza mangiare palloni a nessuno, ma semplicemente prendendo tiri, minuti e responsabilità  che altri giocatori infortunati non sono al momento in grado di prendere.

Ma quando l’infermeria dei Celtics sarà  di nuovo vuota, è probabile che Ray Allen, che al momento gode ottima salute e forma, sarà  comunque decisivo nei playoff, che forse, dopo tutti questi problemi, i bianco verdi non potranno probabilmente contare sul vantaggio campo.

Pare abbastanza chiaro che Coach Rivers abbia deciso quest’anno di puntare di più su Ray, a prescindere dagli infortunati, e che lui stia rispondendo al meglio.

Probabilmente durante i prossimi playoff le guardie, vale a dire Allen e Rondo, ma anche Marbury ed House, meno probabilmente un giovane, verranno più coinvolte offensivamente, anche perché, andato via Posey, ed infortunatosi l’altro Allen, Tony (che per i playoff dovrebbe esserci ma non è dato ancora sapere in quali condizioni) verrebbero altrimenti a mancare quei tiri importantissimi che lo stesso Posey garantiva e che Allen e Marbury sembrano i maggiori candidati a spartirsi.

Occhio però, che dall’anno scorso ad oggi è cresciuta sensibilmente la mole di tiri che Rajon Rondo sta prendendosi, chiaramente dietro concessione dello staff tecnico, per incrementare la propria pericolosità  offensiva.

Poco male che al momento stia spesso eccedendo in queste scelte di tiro, seppur alcune volte in maniera fastidiosa. Deve imparare ed ha poco tempo per farlo, quindi direi che la cosa ci può stare.

Non sarà  così durante i playoff, ma sicuramente qualcuno dello staff o forse i “Big Three” faranno capire al ragazzo cosa può e cosa non può fare.

Ci sono altri aspetti dove i Celtics sembrano più lacunosi, per esempio riguardo alla consistenza in ottica playoff dei lunghi Perkins e Moore, o a chi marcherà  le stelle a parte i titolari.

Inizialmente sembrava dovesse essere Tony Allen, difensore atletico e rapido ma abbastanza sterile se deve attaccare contro la difesa schierata.

Ora si dice che il coach sia ben impressionato dall’atleticità  e dalla vena difensiva del giovane Gabe Pruitt, però non sembra finora avergli concesso molto spazio per fare esperienza di gioco vero, così tale rebus sembra ancora lontano dall’essere risolto e comunque non riguarda Ray Allen, che il suo contributo difensivo lo offre eccome !

Quale che sia il risultato finale, coach Rivers potrà  sicuramente contare sull’apporto dei tre leaders e tra questi in particolare Ray Allen, che quest'anno sembra avere oltre alle qualità  tecniche, tattiche ed umane, anche una buona forma fisica, che gli permetterà  di giocare i prossimi playoff a modo suo.

Lo aspettiamo trepidanti, celtici o meno, perché è (e rimane) uno dei giocatori di maggior classe dell’attuale panorama NBA, e uno dei migliori in assoluto nell'era post Jordan, il che non è poco…

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