Eccoli di nuovo assieme: Kobe Bryant e Shaquille O'Neal
“Ho sempre amato Kobe, è semplicemente marketing quello che ci gira intorno. Abbiamo solo aiutato a spingere questa cosa sui media. So quello che faccio, sono il giocatore più intelligente della terra. Se avessimo continuato a giocare insieme avremmo vinto almeno altri 3 o 4 titoli. Siamo stati la più grande coppia di esterni-interni nella storia del gioco.”
Solo un paio di settimane prima dell’All Star Game, con annesso epilogo
che vedete nella foto sopra, Shaq aveva rilasciato queste dichiarazioni ad un giornalista di Espn.
Dopo anni di successi e anelli, dopo un addio burrascoso nel 2004 e un odio reciproco, dopo rap e pepate dichiarazioni di sfida, mancava solo il ritorno di fiamma, e così è stato.
A quanto pare per Shaq è stato tutto un gioco mediatico, ma non deve averlo spiegato a Kobe, che l’aveva preso parecchio sul serio e sull’argomento solitamente preferisce sviare.
Per chi si fosse perso qualcosa, l’All Star Game di Phoenix ci ha regalato, oltre ad un uomo capace di sfidare le leggi della fisica saltando oltre le spalle di uno 40 cm più alto, siparietti fra i 2 “ex” degni di un romanzo d’amore.
Prima della classica partita fra le stelle Shaq aveva anche detto:
“Lebron James? E’ bravino ma Kobe Bryant è il miglior giocatore con cui The Diesel abbia mai giocato. Bryant vale probabilmente 10, Lebron 9.7 o 9.8.”
Il resto l’avete visto, con Kobe che indica Shaq sulla panchina dell’Ovest come MVP, dopodiché entra in campo facendo capire a chi lo guardava che forse il premio lo meritava anche lui. E così è stato, MVP (il terzo) per Bryant, e per O’Neal, ancora Co-MVP, dopo averlo vinto nel 2000 con Duncan.
Sembrano quasi dimenticate tutte le critiche che si sono fatti piovere addosso l’un l’altro a partire dal 2003.
Ripercorriamo questa vicenda che ha diviso il basket a stelle e strisce, senza dimenticare che seduto su quella panchina di Phoenix c’era un altro personaggio non di poco conto all’interno di questa storia: coach Zen, al secolo Phil Jackson.
La Rivalità
Corre l’anno 2003, i Los Angeles Lakers sono i campioni in carica, la nuova dinasty, e devono difendere il three-peat.
Dopo una regular season travagliata, al secondo turno di playoff i Lakers incontrano gli agguerriti Spurs, e a capitolare sono proprio Kobe e compagni.
Quest’evento è solo l’inizio di un’estate disastrosa: i segnali premonitori di insofferenza fra Kobe e Shaq diventano realtà e la goccia che fa traboccare il vaso è un’intervista di Big Aristotele che sminuisce l’importanza di Bryant all’interno del sistema di PJ e dichiara che i Lakers sono la sua squadra, e se questo alla giovane stella di Philadelphia non va bene a fine 2004 può cercare fortuna altrove.
La risposta dell’orgogliosissimo Kobe non si fa attendere: “Se questo è il suo team è ora che si comporti come un leader. Questo significa non presentarsi più al training camp soprappeso e fuori forma. Vuol dire anche assumersi le proprie responsabilità dopo una sconfitta e non nascondere la mancanza di condizione dietro a finti infortuni. Un leader non negozia pubblicamente un prolungamento di contratto da 30 milioni di dollari quando 2 futuri Hall of Famers sono venuti a giocare praticamente gratis.”
Se a questo unite le accuse di stupro ricadute sull’allora numero 8 gialloviola, si annunciava un 2004 esplosivo, nonostante l’arrivo di Karl Malone e Gary Payton.
La Regular Season sembra placare gli animi dei 2, che trascinano LA ad un’altra Finals Nba. I Pistons di Mr.Big Shot Chauncey Billups dominano in 5 partite i Lakers e la bomba esplode: l’avventura del trio Bryant-O’Neal-Jackson a Los Angeles giunge al capolinea.
La miccia si accende quando a Shaquille non viene comunicata la decisione di non rinnovare il contratto al suo mentore, Phil Jackson.
Bryant rinnova e O’Neal, infuriato per il benservito dato a coach Zen, chiede di essere ceduto; il legame che aveva portato a 3 titoli Nba si rompe definitivamente.
La guerra mediatica continua fino al Natale 2004 quando Shaq e Kobe si incontrano per la prima volta da avversari.
“Lui è una Corvette, io un muro di mattoni – dice The Diesel – e sapete cosa succede quando si manda una Corvette contro un muro.”
In quella partita vincerà Miami ai supplementari con Shaq sul pino per limite di falli raggiunto, e con Bryant che sbaglia il tiro della vittoria.
La faida si chiude nel 2006, quando il centro di Newark si complimenta con l’ex compagno per gli 81 punti e lo riempie di elogi.
L’ultimo, e a quanto pare definitivo colpo lo sferra proprio Shaq, che dopo la sconfitta dei Lakers contro i Celtics nel 2008 rappa contro Bryant: “Kobe couldn’t do it without me” di cui lasciamo a voi la traduzione.
Il resto è storia recente.
Potevano continuare assieme?
E’ difficile far convivere 2 super-campioni, lo è ancor di più se i 2 giocatori in questioni hanno un super-ego.
Aggiungeteci un allenatore che definire particolare è sicuramente un understatement e shakerateli per 6 anni nella stessa palestra.
L’addio è stata una conseguenza davvero inevitabile, e se ora riescono davvero ad apprezzarsi è perché prendendosi a piccole dosi colgono il meglio l’uno dell’altro.
Ora Shaq è in parabola discendente e Kobe è diventato grande e vuole vincere da solo.
Se avessero continuato assieme avrebbero vinto ancora probabilmente, se ci fossero riusciti entrambi avrebbero perso quel qualcosa che li rende inimitabili.
Per O’Neal è senz’altro il carattere estroverso e la lingua infermabile, che avrebbe dovuto limitare per convivere con Bryant.
Kobe è un atleta che nel 2005 è diventato ancora più celebre perché in estate svolgeva allenamenti di 5 ore al mattino con migliaia di tiri (segnati!!!), che gli sono valsi il soprannome di Black Mamba.
Uno con una tale voglia di dimostrare di essere il migliore non poteva accettare di stare con un compagno ritenuto dominante almeno quanto lui, e se l’avesse accettato avrebbe perso quel fuoco che gli brucia dentro che lo rende il miglior giocatore del pianeta.
Per questo si sono lasciati per strada ed è stato davvero inevitabile, altrimenti avrebbero rinunciato a loro stessi e alla loro spettacolarità per accumulare trofei, e la spettacolarità è uno dei motivi che rende questo gioco il più bello del mondo.
Il finale non è ancora stato scritto in questa incredibile storia che chi ama il basket non può non conoscere, e viste le peculiarità dei personaggi principali ci si può aspettare tutto e il contrario di tutto.
Una cosa è certa: se i Lakers sono stati i dominatori del nuovo millennio della palla a spicchi lo devono soprattutto a questi 2 inimitabili campioni.