Improvvisamente, una squadra

Kyle Lowry, una faccia nuova a Houston

Hello NBA fans e benvenuti ad un nuovo appuntamento col Clutch City, rubrica latitante in questa stagione, in primis per motivi personali ma… anche no.

No semplicemente perchè la stagione dei Rockets è ufficialmente iniziata a metà  febbraio, mentre prima… beh, prima c'era il niente. Il prima era costituito da una squadra che non era una squadra, dove da una parte si doveva creare l'intesa con il nuovo arrivato — Artest — e, dall'altra, combattere con i soliti infortuni e/o recuperi vari (leggasi McGrady e Battier).

Un inizio di stagione frustrante nonostante un record discreto, caratterizzato da brucianti sconfitte ed un gioco che possiamo tranquillamente definire orrido. Malumori, frasi mezze dette e pure dette totalmente, zero armonia nello spogliatoio e chi più ne ha più ne metta.

E intanto la stagione scivolava via: la squadra che lo scorso anno aveva stupito per la striscia di 22 vittorie ed una difesa ferrea sembra non esistere più. Yao Ming torna ad essere un “inutile mollaccione” già  in fase di declino, i giovani e promettenti rampolli (Landry e Brooks) paiono mezze calzette indegne di calcare qualsiasi arena NBA e, dulcis in fundo, a Scola non resta che recitare il ruolo di mediocre comprimario.

E Artest? “Maledetto il giono che t'ho incontrato”, inveiscono in coro i Rowdies (i variopinti tifosi dei Rockets — ndr).

Poi arriva l'All Star Break e scoppia il caso McGrady: il simpatico ragazzo fa sapere — solo attraverso il proprio sito web — che dovrà /vorrà  operarsi. Fra lo stupore generale, incluso quello dei medici ai quali non risulta niente di particolarmente irrimediabile, vengono accantonate tutte le promesse di scambio che già  vedevano Tracy McGrady comunque fuori da Houston, costringendo la dirigenza a continuare col roster a disposizione.

C'è una sola mossa di mercato, mossa che ai più fa storcere il naso: via Alston, dentro Kyle Lowry? Chiii? Sì, tale Kyle Lowry, ragazzotto proveniente da quel di Memphis, con una ventina di minuti giocati a partita in tutta la sua breve carriera.

ALT, non corriamo troppo.
Chi mi conosce (e magari pure chi si ricorda di questa rubrica), sa che non ho mai gradito McGrady, così come sa che il Clutch City non è una rubrica “Politically Correct”: di conseguenza quindi, qui si critica dando voce al tifoso e, soprattutto, si critica quando e chi c'è da criticare. Malgrado però oggi non abbia particolarmente voglia di criticare, un ringraziamento ironico al “Tracy Nazionale” lo devo fare.

Sebbene infatti la sua assenza ci costerà  sogni di gloria anche per quest'anno, un ringraziamento al suo atteggiamento da primadonna, una volta tanto, è doveroso. Grazie a quello infatti, con ogni probabilità  la sua avventura a Houston è finita (già  è stato eliminato il suo video introduttivo al Toyota Center).

Finirà  al termine della prossima stagione, godendosi più di 20 milioni di dollari durante la riabilitazione (per la quale, ovviamente, i più sinceri auguri), 20 e passa milioni che permetterannno ai Rockets di pagare l'adeguamento a Yao e presumibilmente il rinnovo contrattuale di Artest, lasciando ampio spazio nel Salary Cap per l'estate del 2010. E voi sapete cosa significa estate 2010, vero?

Quindi, caro Tracy, grazie… almeno per questo.
A Houston la stragrande maggioranza dei fans ti ha amato anche e solo per vedere quella famosa palpebra alzata di tanto in tanto, segno di prestazioni eccezionali, ahimè sempre più rare. E ti hanno amato nonostante gli infortuni (dei quali certamente non possiamo fartene una colpa) e quegli atteggiamenti, ahimè sempre più frequenti, di totale disinteresse per la squadra, per la società  e per la città  che ti ha accolto come un eroe.

Sei riuscito addirittura a far credere che un intervento chirurgico, probabilmente legittimo e necessario, sia stata solo un'emerita balla e questo ha significato molto, anche per i tuoi più incalliti estimatori.

Alla fine dell'avventura quindi, tirando le somme, forse hai ricevuto più di quanto hai dato: ivi compreso quel sontuoso contratto fra i più improduttivi dell'intera storia NBA.
E' triste che finisca così, anche perchè noi tutti avremmo preferito avere la metà  di quel McGrady stratosferico che conoscevamo ma con un cuore grande così. E quello, il cuore, non ce l'hai mai messo.

Chiusa la doverosa parentesi McGrady, torniamo a parlare del presente e del recente passato.

Eravamo rimasti allo scambio Alston/Lowry, scambio che, come dicevamo, aveva fatto storcere il naso a molti. Non a me, non perchè ci veda particolarmente lungo, quanto piuttosto perchè lo scambio era a rischio zero.

Alston non è un fenomeno e soprattutto era l'uomo sbagliato a Houston (probabile abbia miglior fortuna ad Orlando), quindi era meglio puntare sul giovane Brooks ed eventualmente anche su Lowry (difensore più solido di Alston e penetratore incisivo), buttandoli nella mischia nelle rimanenti gare di Regular Season, in maniera che trovassero amalgama col resto dei titolari.

Com'è come non è, i Rockets improvvisamente sono tornati ad essere una squadra.

E' semplice giocare in questa maniera, senza preoccuparsi delle nostre Star e di chi ha bisogno di cosa. Questo è il basket, andare in campo assieme e scambiarsi gli oneri invece di andare one-on-one. Questo è quello che ci ha portato alla striscia di 22 vittorie lo scorso anno, nelle quali ci sentivamo come se nessuno potesse batterci. Non sto promettendo un'altra striscia del genere ma se giochiamo così, muovendo e facendo girare la palla, possiamo ancora arrivare dove avevamo previsto

Questo dichiarava Aaron Brooks, in un'intervista rilasciata al Houston Chronicle in tempi non sospetti (18 gennaio), quindi ben prima dello scambio e del fattaccio relativo a McGrady. E questo è quello che sono tornati ad essere i Rockets: una squadra che gioca come collettivo, che fa girare la palla, che suddivide gli oneri nell'andare a canestro e che, last but not least, ha ritrovato quella difesa inspiegabilmente persa fino ad ora.

E come per magia l'intero ambiente si è rivitalizzato, non v'è più una voce stonata proveniente dagli spogliatoi, tutti sono al servizio di tutti e si respira aria di soddisfazione e serenità  nell'intera tifoseria con palesi benefici per chi va in campo.

Scola è improvvisamente ritornato a sciorinare deliziose prestazioni, Yao si mostra più solido su entrambi i lati del campo, Artest guida la carica con il suo indubbio carisma, Battier è tornato a fare il lavoro sporco e i giovani rampolli sono tornati ad essere determinanti, in primis proprio Kyle Lowry, giocatore che potrebbe rivelarsi il tassello mancante al ruolo di play. Aggiungiamoci l'ennesima pesca miracolosa denominata Von Wafer e tutti vissero felici e contenti, pronti per un finale di stagione che potrebbe riservare qualche soddisfazione.

A questo punto la domanda è una soltanto: cosa è legittimo aspettarsi da questi Rockets?

Scrivo appena conclusasi la partita contro i Jazz (viziata da un arbitraggio al limite dello scandalo), premettendo quindi che la risposta al “cosa è legittimo aspettarsi da questi Rockets” non è frutto di euforia post vittoria. I Rockets si sono dimostrati una squadra solida, sia la scorsa notte a Salt Lake City che durante la sconfitta di Chicago qualche giorno fa, lasciando intravedere alcune lacune che però possiamo considerare frutto della rivoluzione avvenuta nelle ultime settimane.

C'è già  l'amalgama ma ancora manca l'intesa definitiva con quelli che da adesso devono essere dei protagonisti — Brooks e Lowry — intesa che però sta prendendo sempre più forma. Rimane a mio avviso qualche deficit nelle scelte di rotazione di Adelman: Yao viene utilizzato troppo e male, meglio sarebbe (quando possibile) concedergli più riposo nei momenti standard, ovvero quel paio di minuti al termine di ogni quarto che vanno a prolungarsi per un altro paio di minuti nel quarto successivo.

Rimane da sciogliere, sempre in tema lunghi, il mistero Mutombo che è stato riacquistato — almeno fin'ora — solo ed esclusivamente per fare da cheerleader e al quale viene preferito il quintetto basso con Scola da 5, sempre e comunque.

Non che Scola mi dispiaccia in quel ruolo, tutt'altro, però ci sono partite in cui risulta evidente la necessità  di un vero lungo. E visto che parliamo di lunghi, nonostante l'aumento di minutaggio ricevuto, Luis Scola non sempre riceve l'adeguato — quanto meritato — impiego. Ora che sembra abbia imparato a limitare i falli stupidi, nonanche per essere un eccellente Flopper (ahimè le partite si vincono sempre più spesso grazie a questi “specialisti”), Scola potrebbe e dovrebbe essere un punto focale in fase di realizzazione.

Artest? Beh, su Artest attualmente non si può muovere la minima critica.
Talvolta (qualcuno ha detto spesso?) è incline a spalmarsi tubetti di colla fra le mani… ma questo è Artest. Confido che, se mai dovesse annusare l'odore di un traguardo importante, Ron Ron si metta completamente a disposizione della squadra, molto più di quanto non lo stia facendo già  adesso. Sì, perchè chi conosce Artest e chi vede tutte le partite dei Rockets, già  adesso può constatare dei notevolissimi progressi in tal senso.

E allora, cosa è legittimo aspettarsi da questi Rockets? Per rispondere alla domanda è necessario risolvere una non troppo facile equazione. Se lo scorso anno i Rockets erano considerati una squadra da titolo (prima dell'infortunio di Yao), i Rockets del 2008 con McGrady, sono meglio dei Rockets di oggi con Ron Artest al posto di T-Mac?

La squadra, lo abbiamo già  detto, viene da piccole mosse che però — compresa l'assenza di McGrady — hanno portato ad uno stravolgimento del lineup per 2-3/5. Le prossime settimane, una volta sistemati tutti i tasselli, saranno determinanti per capire il reale potenziale di questi Rockets e anche per vedere se le rotazioni di Adelman sono frutto di sperimentazioni.

La suddetta equazione sulla carta porta più o meno agli stessi risultati: SE Brooks e Lowry sapranno integrarsi nel ruolo di protagonisti e SE Artest saprà  guidare la squadra nei momenti cruciali, i Rockets sono destinati a togliersi qualche sassolino dalla scarpa.

Insomma, i giocatori ci sono, il potenziale c'è, grinta e armonia paiono ritrovate. Se solo una volta tanto filasse tutto come previsto invece di dover trovare legittime scuse e scusanti, quantomeno potremmo testare la squadra ed eventualmente capire dove si è sbagliato. Diversamente, ancora una volta, saremo qui a programmare il prossimo anno e forse — soprattutto — pure quello successivo. Ma con un'importante differenza: serenità  nell'ambiente e nella tifoseria.

Grazie anche di questo, Tracy.

Prima di chiudere, permettetemi un ringraziamento a tutti coloro che hanno continuato a scrivermi via email nonostante la lunga assenza (in particolare a DG Riccardo, immancabile ogni settimana).

Purtroppo, troppi impegni e problemi personali mi hanno tenuto lontano dal web (e qualcuno certamente non ne avrà  sentito la mancanza): non mi sento di promettere niente dato che anche questo editoriale l'ho scritto con un cerottone al collo per alleviare i dolori cervicali ma, nel limite del possibile, cercherò di essere più presente. In caso contrario, come sempre, vi aspetto via email all'indirizzo 1badrose@gmail.com

Till next…

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