Bucks, un calcio alla sfortuna

Ramon Sessions è il giocatore del momento a Milwaukee.

Se esistesse ipoteticamente un campionato della sfortuna, i Milwaukee Bucks avrebbero vinto a mani basse ben prima della fine del torneo.

In uno sport come il basket Usa, si sa, gli infortuni vanno messi in preventivo più di ogni altra cosa, il rischio di farsi male giocando così di frequente è sempre alto, e le possibilità  di cadere, ad esempio, in maniera fortuita sul piede di un compagno con conseguenze potenzialmente disastrose si moltiplicano a dismisura.

Ma pur mettendo in preventivo una cosa che del gioco fa innegabilmente parte, il conto preparato dalla sfortuna nei confronti della franchigia del Wisconsin è sembrato davvero troppo salato.
Poco male, per chi ha il carattere per reagire alle avversità .

Non è stato un mese facile, quello trascorso dall’organizzazione del senatore Kohl: il via alle danze era stato dato in un momento assai poco idoneo, ovvero quello in cui Michael Redd, il franchise player indiscusso, stava alzando con decisione il livello del suo gioco dopo un inizio di campionato non esattamente sfavillante, nel quale con tutta probabilità  s’era portato appresso un po’ di ruggine proveniente dalla faticosa estate olimpica appena trascorsa.

Redd era già  stato assente in precedenza, 14 partite, a causa di una caviglia dolorante, ma nel mese di gennaio sembrava aver trovato la via corretta per provare a traghettare la sua squadra in acque sicure nella corsa ai playoffs: i 25 punti di media registrati in quel mese erano 4 in più rispetto alla sua produzione stagionale, ed il 51% al tiro era un risultato pur sempre degno di nota, per uno che tradizionalmente campa con il suo tiro da fuori.

Durante il terzo quarto della gara poi vinta contro Sacramento, la sfortuna decideva di rovinare un momento in cui i conti cominciavano a quadrare, rivelando il danneggiamento dei legamenti crociati anteriore e collaterale, tra l’altro non il primo infortunio grave in carriera per la guardia da 90 milioni di dollari, ponendo la parola fine dinanzi alla stagione del miglior scorer di Milwaukee.

Quindi l’attenzione si spostava, neanche tanto lentamente, su Andrew Bogut, il centro che grazie alla sua costante crescita aveva posto delle basi più che solide in mezzo alla sua area pitturata, nonché altro pezzo cruciale del presente (e soprattutto futuro) della franchigia: pure Bogut aveva già  saltato 13 gare a causa del problema che lo avrebbe poi condannato, la schiena, stessa causa per cui il centro croato-australiano veniva a sapere di dover restare seduto per almeno otto settimane.

A dire il vero in questo caso qualche avvisaglia c’era già  stata, i dolori Andrew li aveva già  avvertiti ma si era ritenuto di doverlo far giocare recuperandolo, a posteriori, troppo in fretta: dopo otto gare passate a guardare, Bogut era stato utilizzato per 16 minuti in ciascuna delle sfide giocate contro Toronto ed Atlanta, peraltro in giorni consecutivi, con il risultato di sentire la positiva differenza con lui in campo, ma anche di riaggravargli quel dolore che il centro stesso non aveva esitato a definire come un ”coltello infilato nella schiena senza il minimo preavviso”

I Bucks avevano annunciato la notizia della rinuncia a Bogut da un giorno, quando la sorte si prendeva gioco di loro per la terza volta, portandosi via, dopo il miglior realizzatore ed il miglior rimbalzista di squadra, anche il miglior assistman nonché l’uomo più preciso dalla linea dei liberi, Luke Ridnour, vittima della rottura del pollice, patita in allenamento.

Ecco servita una prognosi di quattro settimane ai box, che i Bucks hanno comunque scelto di prendere in maniera del tutto positiva, pensando al fatto che gli esami conseguiti non rivelavano danno alcuno al legamento del dito e che il calendario del corto febbraio avrebbe obbligato i rimasti in salute a difendere il fortino per una decina di partite, ben poca cosa rispetto alle diciotto disputate il mese passato.

Di fronte a tanti eventi negativi, verificatisi nel giro di breve tempo, fatto che aveva spinto Richard Jefferson a sostenere che ”la situazione è quasi comica, non ridiamo certo dei nostri infortuni, ma questa cosa è arrivata ad un punto che sembra persino uno scherzo…”, l’atteggiamento di reazione trovato da Scott Skiles è stato indubbiamente quello giusto: nessuna bandiera bianca da sventolare dal finestrino, nessun segno di resa a causa degli eventi, nessun auto compiacimento per la situazione di grande sfortuna.

Qui si gioca fino in fondo, con o senza i pilastri della squadra, nessuno dei giocatori a roster pensa che i playoffs non siano più raggiungibili.

Inevitabili gli aggiustamenti apportati alla rotazione, con un quintetto base che al momento prevede Ramon Sessions e Luc Richard Mbah Moute guardie (Charlie Bell entra dalla panchina), RJ e Charlie Villanueva ali e Francisco Elson centro. Sessions, quintultima selezione (numero 56) del draft 2007 ed ennesimo colpo da maestro al secondo giro della dirigenza Bucks, ha preso in mano le sorti della squadra grazie soprattutto alla sua versatilità , che, come sottolineato più volte da Skiles, ne fa un giocatore d’altri tempi, in grado di giocare entrambe le posizioni di guardia.

Inizialmente, dopo la rinuncia a Redd, il suo collocamento in quintetto era stato nello spot di shooting guard, quindi in seguito all’emergenza Ridnour (ci sarebbe stato Tyronn Lue, ma era stato scambiato appena prima dell’infortunio) si è tranquillamente adattato al ruolo di playmaker, arrivando a giocare una gara stratosferica contro Detroit e facendo registrare il proprio massimo in carriera, 44 punti, frutto di un eloquente 13/18 al tiro e di ben 21 viaggi in lunetta, dei quali 18 tentativi andati a buon fine.

Ah, e con 12 assistenze, a testimonianza del fatto che quel pallone sa benissimo come lo si smazzi…

Tanto importante quanto le costanti penetrazioni in vernice di Sessions, è stato finora il contributo di Villanueva, il cui rendimento è salito in maniera vertiginosa nel 2009, periodo nel quale dai 12 punti medi è passato agli oltre 20 registrati nel mese di gennaio, ulteriormente progrediti in un febbraio dove è arrivato il season high, 33 punti, nella coraggiosa gara giocata dall’intera squadra contro i favoriti Pistons, persa all’overtime dopo aver fornito enormi grattacapi a Rasheed e compagni.

Via trade, ed ecco spiegata la rinuncia a Lue in un reparto guardie che poco fa era persino sovraffollato, è inoltre arrivato da Orlando Keith Bogans, apprezzato da Skiles per le doti difensive e per la capacità  di tirare sia dalla media distanza che dagli angoli dalla lunga, qualità  più che idonee per capitalizzare gli scarichi derivanti dalle avventure in area di Sessions, nonché di dare un contributo difensivo contro guardie e soprattutto ali piccole.

Bogans si è inserito in squadra a tempo di record, giocando lo scorso sabato (8 punti in 26 minuti) senza godere della possibilità  di svolgere un singolo allenamento con la nuova uniforme.

Per la sostituzione di Bogut, invece, si fa molto affidamento, oltre che alle recenti buone uscite di Elson, all’energia fornita ad ogni ingresso sul parquet di Dan Gadzuric, chiamato però a fare un passo deciso in avanti dopo un periodo che per sua medesima ammissione è stato parecchio difficoltoso: ”Sono convinto che ad un certo punto dell’anno ogni giocatore urti una sorta di muro. Forse io l’ho urtato in questo momento. Sento le gambe un po’ molle, ed è dura giocare con questa sensazione, ma in questi giorni sto cominciando ad avere migliori risultati in allenamento, quindi nelle prossime partite spero di tornare a dare l’energia di cui questa squadra necessita”.

Energia che dev’essergli tornata nella sonante vittoria contro Houston dello scorso lunedì notte, dove in 17 minuti ha segnato 6 punti con 6 rimbalzi, ed eseguito giocate che non sono andate a referto, ma che hanno dato, appunto, energia alla squadra.

La situazione infermieristica non può esentare i Bucks dalle numerose chiacchiere che fuoriescono da ogni dove in prossimità  della trading deadline, anche se, prima di effettuare movimenti importanti, il general manager John Hammond dovrà  riflettere molto accuratamente.

Sarebbe difatti auspicabile, per non perdere la vista sull’ottavo posto ad est (che i Bucks, 25-29, ad oggi detengono, con un minimo vantaggio nei confronti dei Nets), valorizzare al massimo quei pezzi del roster che hanno aumentato il proprio valore di mercato, il che abbinato allo status di restricted free agents che avranno al termine della stagione, farebbe di Sessions e Villanueva i principali indiziati.

Tuttavia non si può non tenere conto del fatto che proprio i suddetti giocatori sono i principali responsabili del mancato crollo della squadra, perlomeno a giudicare dal sensibile miglioramento delle rispettive prestazioni dal momento dell’assenza delle stars principali, da cui l’intuizione che, probabilmente, privarsi di uno di essi potrebbe non rappresentare la soluzione al problema, anzi, potrebbe alterare una chimica che attualmente sembra essere molto buona.

In fondo, nonostante la sequela di eventi potenzialmente catastrofici, i Milwaukee Bucks non si sono scomposti, hanno continuato a combattere senza la benché minima intenzione di mollare, o di fare degli infortuni una scusa per giustificare l’ennesima annata andata a male.

Skiles l’ha detto chiaro e tondo: ”Ricordate ragazzi, nessuno si sentirà  dispiaciuto per noi. Combatteremo con le armi che ci sono rimaste”.

E con questo presupposto, sembra proprio che ogni elemento del roster stia riuscendo a dare il meglio di sé.

Quando un compagno cade all’interno di un gruppo solido e ben costruito, qualcun altro deve avere in coscienza l’intenzione di farsi avanti e prendere il suo posto, non importa il livello di talento che ha a disposizione. Ed i Bucks, un bel gruppo, hanno già  dimostrato di esserlo, al di là  della sfortuna che hanno dovuto affrontare in questo particolare momento.

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