Il Barone finora è stato un non-fattore per i Clippers…
Quando nelle ultime undici stagioni Nba la tua squadra può vantare un record di vittorie del .359; quando il massimo risultato ottenuto è un secondo turno di playoff, nell'unica occasione in cui sono stati raggiunti; quando l'altra squadra della tua città , nel medesimo arco di tempo, ha partecipato a cinque finali Nba, portandosi a casa tre titoli, la tua squadra non può non rispondere al nome di Los Angeles Clippers. L'emisfero perdente della Los Angeles cestistica.
Nel corso dell'estate 2008, lo spogliatoio dei velieri è stato senza dubbio tra i più movimentati della lega: in primis grazie all'approdo di Baron Davis, anima e corpo dei Warriors di Oakland fino a pochi mesi prima. Grazie a lui, i tifosi meno fortunati di L.A. iniziavano ad intravedere la possibilità di tornare nelle zone nobili della Nba.
Sfortunatamente, però, tali rosee aspettative si sono dissolte nel giro di poche settimane, quando altri movimenti da prima pagina hanno coinvolto i Clippers, in uscita: a fare le valigie, nel giro di una settimana, sono stati Corey Maggette ed Elton Brand, con quest'ultimo che si era dichiarato convinto di rimanere nella città degli angeli dopo la firma del Barone.
Compiuto il classico passo di danza one-step-forward-two-steps-back, la dirigenza del team ha tentato di ricomporre i sogni infranti dei propri sostenitori: a pochi giorni dal saluto di Brand fu infatti Marcus Camby, miglior difensore della stagione 2006/2007, 34 primavere compiute, ad essere acquistato dai Denver Nuggets in cambio di una nuvola di fumo.
L'attivissima off season dei Clippers, però, non si chiuse con l'arrivo del lungo: Jason Hart, Ricky Davis e Brian Skinner firmarono per la casacca rossoblu in un brevissimo arco di tempo, mentre la ciliegina sulla torta arrivò il 7 Agosto, con il contratto annuale stipulato dal funambolico playmaker Jason “White Chocolate” Williams.
Lo stesso Williams, meno di un mese dopo, spinse nuovamente a sud il morale della franchigia, annunciando il proprio ritiro dal basket professionistico per ragioni di carattere personale.
Come se non bastassero arrivi e partenze degne del miglior Ferragosto, la dirigenza della franchigia decise che l'era Baylor dietro la scrivania aveva fatto il suo corso, e quello che nella forma venne pubblicizzato come una dimissione, fu in realtà un escamotage dei proprietari per dare maggior potere a coach Dunleavy Sr., il quale ringraziò e si accomodò sulla poltrona dell'ex Lakers.
Dieci partenze. Nove volti nuovi, tre dei quali provenienti dal draft. Questo il succoso riassunto delle operazioni di mercato dei velieri.
Il senso logico di questo fiume di transazioni? Nessuno. Non la rifondazione per partire dai giovani, o la costruzione di un team in grado di far strada nei playoff da subito; nemmeno il fare spazio nel tetto salari in vista dell'estate 2010, pratica alquanto diffusa tra le franchigie, negli ultimi mesi.
Non contenti del viavai estivo, a stagione ben avviata i Clippers scrissero un ulteriore capitolo alla voce transactions, con l'acquisizione dai New York Knicks di Zach Randolph e Mardy Collins in cambio di Tim Thomas e Cuttino Mobley, poi ritiratosi per complicazioni cardiache.
L'arrivo di Randolph andava evidentemente ad intasare un reparto già ben fornito, e con Camby arrivato da pochi mesi, le voci di mercato iniziarono ad investire pesantemente Chris Kaman, unico superstite del team che meno di quattro stagioni or sono arrivò al secondo turno di post season.
Con la complicità di un fastidioso infortunio occorso al nazionale tedesco, e con l'infermeria sempre ben frequentata, suddette voci andarono via via scemando, consentendo quindi al roster di iniziare a trovare chimica e amalgama necessari.
Pur non mancando il talento però, il record dei velieri fu da subito deficitario, con la prima vu doppia arrivata solo al settimo incontro.
Un impennata del titolo Clippers si verificò a cavallo di metà Dicembre, con i ragazzi di Dunleavy capaci di portare a casa 5 incontri su 7 in meno di due settimane, espugnando i non facili parquet di Blazers e Pacers.
Il crollo, però, era dietro l'angolo: il 117 a 109 con cui B. Diddy e compagni lasciarono vittoriosi la Conseco Fieldhouse di Indianapolis, è tutt'ora l'ultima vittoria esterna ottenuta. Da quel momento in poi 21 sconfitte in 23 incontri, alcune delle quali con passivi imbarazzanti, ed una striscia perdente di ben dodici partite.
Provvidenziale, ad interruzione di suddetta striscia negativa, fu il successo interno sui Bucks, al quale fece seguito pochi giorni dopo l'affermazione sui Thunder di Oklahoma City, ultima vittoria targata Clippers ad oggi.
Come se non bastasse, gli infortuni a rotazione hanno continuato a perseguitare gli elementi più talentuosi del roster, togliendo a coach Dunleavy la possibilità di godere dell'intero talento a disposizione.
Baron Davis, Marcus Camby e Zach Randolph hanno tutti fatto ritorno sul parquet nelle ultime settimane, dopo essersi accomodati sul lettino dell'infermeria per periodi più o meno duraturi. L'ex Warriors, tra i tre, è sembrato risentire maggiormente della sosta forzata: dal giorno del suo ritorno in campo non è ancora partito in quintetto, ed i suoi numeri sono il chiaro specchio delle difficoltà che trova nel tornare al cento per cento.
Non va dimenticato, inoltre, che da più di 30 incontri i velieri stanno facendo a meno del loro miglior giocatore della passata stagione, quel Chris Kaman tenuto ai box da una fastidiosa fascite plantare, e che formerebbe con Camby e Randolph una frontline di tutto rispetto sulle due metà campo.
L'utilizzo dei tre contemporaneamente sarebbe comunque improponibile, e stando alle parole dell'allenatore, starà a loro dimostrare quale coppia potrà offrire l'apporto migliore alle due estremità del campo, andando così ad occupare due quinti dello starting five.
L'ex allenatore di Lakers e Blazers si è sempre dichiarato fiducioso, nonostante l'emorragia non abbia accennato a placarsi nemmeno con il ritorno in campo delle prime linee.
Nonostante i buoni propositi di Dunleavy però, la luce in fondo al tunnell appare tutt'altro che prossima, e, cosa ancor più grave, il percorso da seguire non è stato minimamente tracciato.
La speranza resta comunque l'ultima a morire, come da proverbio, e nel caso dei Los Angeles Clippers risponde a due nomi e cognomi precisi: Eric Gordon ed Al Thornton.
Raramente due giovani talenti della loro caratura e dalle buonissime prospettive avevano vestito la casacca rossoblu negli ultimi anni. Starà a coach Dunleavy Sr. ed al suo staff far sì che non si abituino, velocemente e loro malgrado, alla sconfitta.
In quel caso, il rischio di vederli diventare gli ennesimi esemplari di giocatori dai grandi numeri inseriti a vita in contesti perdenti, diventerebbe terribilmente concreto.