E' battaglia sotto canestro fra Lee e Millsap…
Nella NBA giocano campioni di livello assoluto, grandi stelle con doti tecniche e\o fisiche fuori del comune. Di fianco alle stelle vi sono comprimari, specialisti, secondi violini.
Ma spesso i giocatori che fanno breccia nelle simpatie dei tifosi sono quelli che, a discapito del talento, lasciano sul parquet sudore e grinta.
In questo primo scorcio di stagione due sono i giocatori che più si sono fatti notare per la loro abnegazione e capacità di dare tutto in campo.
Sto parlando di David Lee e Paul Millsap.
Sebbene giochino in due conference diverse, e con team dalle prospettive differenti, il loro ruolo, le loro caratteristiche nonché le loro statistiche sono molto simili. Inoltre i due hanno avuto modo di emergere nel corso di questa stagione, oltre che per i propri meriti, anche grazie ad una discreta dose di fortuna.
Lee ha infatti trovato posto in quintetto dopo la cessione di Zach Randolph, mentre Millsap ha saputo capitalizzare al meglio la possibilità di giocare offerta dall’infortunio di Carlos Boozer.
Attualmente sono i beniamini dei rispettivi pubblici, ed entrambi saranno restricted free agent al termine di questa stagione.
Il futuro appare al momento più incerto per Lee, vista la situazione corrente di New York, con i Knicks poco propensi a svenarsi per firmare David prima dell’estate.
Un lungo come l’ex Florida farebbe molto comodo a D’Antoni, tuttavia Walsh non vuole intasare il cap, motivo per cui si sente spesso il nome di Lee coinvolto in qualche rumors di trade. Millsap si avvia invece ad essere il sostituto di Boozer che ha già dichiarato di voler firmare per chi gli offrirà il massimo quest’estate.
Ciò che accomuna questi due giocatori è la volontà di emergere e la notevole dedizione al lavoro; caratteristiche che hanno consentito ai due di “sfondare” nonostante madre natura avesse fornito loro un talento nella media.
Nell’NBA attuale, riescono ad essere determinanti, pur trovandosi di fronte in campo pari ruolo maggiormente dotati come Garnett, Duncan, Sheed, Gasol, Nowitzki & C.
Andando per ordine, David Lee approda nella lega dopo essere stato scelto dai New York Knicks al secondo giro (30^ scelta assoluta) del draft 2005. In precedenza aveva militato quattro stagioni nei Gators alla Florida University.
Nei quattro anni di college il nativo di St. Louis (vi è nato il 29 aprile del 1983) si fa notare per la sua particolare predisposizione a rimbalzo, ed alle doppie doppie, nonché alle alte percentuali dal campo, frutto di un ottimo gioco ambidestro sotto canestro.
Al termine della carriera universitaria, oltre ad aver condotto Florida al suo primo titolo di conference, guiderà i Gators nei rimbalzi per tre stagioni consecutive, e nelle percentuali dal campo in tutti e quattro gli anni di college.
Al torneo NCAA ha registrato una media di 17 punti e 9 rimbalzi a partita, cifre che l’hanno fatto notare a molti scout NBA.
Il motivo della chiamata alla numero 30?
Come spesso accade il giocatore è stato giudicato undersize per il tipo di gioco NBA.
Nonostante le cifre registrate al college, infatti, molti scout l’avevano giudicato troppo piccolo per giocare centro e troppo grezzo tecnicamente per giocare ala grande. In particolare molti denigravano la sua scarsa efficacia lontano da canestro, e la mancanza di un jumper degno di un ala grande NBA.
I Knicks furono ben lieti di sceglierlo alla 30; scommisero su di lui dopo avere selezionato Channing Frye e Nate Robinson, proprio perché Lee sembrava un ottimo complemento allo stesso Frye. Inoltre Isiah Thomas vedeva in lui un ottimo sesto uomo, capace di incidere subito in difesa e con margini di miglioramento in attacco.
Nella sua prima stagione Lee è stato utilizzato con il contagocce da Larry Brown, soprattutto come rinforzo dalla panchina, specie quando serviva intensità ed una mano a rimbalzo. Progressivamente però David cominciò a dimostrare di saper tenere il campo, e chiuse la stagione con 5 punti e 4,5 rimbalzi di media in quasi 17 minuti di utilizzo.
Nella sua seconda stagione Lee si trovò in panca Isiah Thomas, che lo aveva volto al draft. A fronte di un maggiore utilizzo, sempre partendo dalla panca, David raddoppiò i suoi numeri chiudendo la stagione con una doppia doppia di media (10,7 punti e 10,4 rimbalzi).
Purtroppo un infortunio limitò la sua crescita e condizionò il cammino dei Knicks nella corsa ai play off. Tuttavia tutti intuirono che il 42 aveva un carattere ed una volontà speciali. La scorsa stagione, nonostante il pessimo record dei Knicks, David ha messo insieme cifre importanti (10,8 punti e 8,9 rimbalzi a partita), partendo spesso in quintetto.
Il Garden lo ha eletto a suo beniamino in quanto è sempre uno degli ultimi ad arrendersi, lottando con costanza su ogni pallone, su ogni rimbalzo o palla sporca che sia. La sua grande etica lavorativa e la sua passione in campo gli hanno permesso di mascherare anche quelli che continuano ad essere dei suoi limiti tecnici. Primo fra tutti la scarsa pericolosità lontano da canestro, fondamentale sul quale c’è ancora molto da lavorare.
In questa stagione con coach D’Antoni David viaggia 15,3 punti e 11,4 rimbalzi di media in 35 minuti di utilizzo (tirando il 58% dal campo). Il baffo pretende, a ragione, un miglioramento del suo gioco lontano da canestro.
David è un ala grande (con D’Antoni gioca spesso anche centro) molto atletica, è uno dei migliori lunghi NBA a rimorchio ed è rapido in entrata, soprattutto perché può concludere con ambo le mani. La sua propensione al rimbalzo (sia difensivo che offensivo) e la discreta velocità gli permettono di far ripartire il gioco, e magari concludere giungendo a rimorchio, oppure di rifinire a canestro delle palle sporche o dei tiri sbagliati dei compagni.
Il suo tallone d’achille, come già detto, è la scarsa incisività lontano da canestro. Il jumper non è per nulla affidabile, anzi è tutto da costruire. Finchè non acquisirà un minimo di pericolosità , ciò lo rende un pesce fuor d’acqua quando si trova oltre i tre-quattro metri da canestro, e quindi vulnerabile. Il ragazzo è giovane ed i margini di miglioramento ci sono, basti vedere cos’ha fatto D’Antoni con Stoudemire a Phoenix.
Come già anticipato Lee è in scadenza di contratto; i Knicks dovranno decidere se puntare su di lui concedendogli un pluriennale, o se fare la scelta dolorosa di cederlo in un sign and trade, per far quadrare i conti in attesa ell’assalto al mercato dei free agent del 2010. Al momento la situazione non è chiara, il giocatore farebbe comodo a molte franchigie, visto il suo rendimento.
Paul Millsap, di due anni più giovane di Lee (è nato a Monroe, LA il 10 febbraio 1985), approda agli Utah Jazz al secondo giro (47^ scelta assoluta) del draft 2006. Nell’anno di Bargnani prima scelta, Millsap è in assoluto uno degli steal di quel draft; perché prima di lui sono stati scelti giocatori risultati poi poco incisivi.
Gli stessi Jazz gli hanno preferito al primo giro Ronnie Brewer e alla 46 Dee Brown. Come Lee, Millsap si è fatto notare al college per le sue doti di scorer e rimbalzista. Nelle tre stagioni passate a Louisiana Tech ha viaggiato a 18,7 punti e 12,7 rimbalzi di media, con quasi due stoppate a partita. Inoltre è finore l’unico giocatore a potersi vantare del titolo di miglior rimbalzista del torneo NCAA Division I, per tre anni di fila.
Al termine dell’esperienza universitaria, è risultato il 7° scorer di ogni tempo ed il 2° rimbalzista di sempre dell’ateneo, con 67 doppie doppie all’attivo. Al torneo NCAA è stao il secondo freshman della storia a vincere il titolo di miglior rimbalzista.
Vale lo stesso discorso fatto per Lee, numeri da capogiro, ma una chimata alla numero 47. Qualcosa non torna.
Anche nel caso di Millsap, il giocatore è stato giudicato undersize per l’NBA, l’ennesimo caso di ottimo giocatore universitario, piccolo per giocare centro e poco “dotato” per il ruolo di ala grande. Una valutazione che, ironia della sorte, toccò anche al suo compagno Boozer.
Fortunatamente per Paul i Jazz necessitavano di un innesto dalla panchina per dar fiato a Boozer e Kirilenko, e decisero di puntare sull’ex Louisiana Tech, i cui numeri non erano certo sfuggiti a coach Sloan.
Ha giocato tutte le 82 partite di regulatr season nella sua prima stagione NBA, partendo una volta in quintetto. I numeri furono subito dalla sua parte, quasi 7 punti e 5,2 rimbalzi di media in 18 minuti di utilizzo; non male per un rookie, ma certo non cifre eccezionali.
Il ragazzo tuttavia dimostrò di avere un intensità ed un tenacia tali in grado di sopperire ai suoi 2,03, non certo il massimo per un alla grande.
Nella sua seconda stagione Millsap dimostrò una crescita costante, ma sempre degna di un panchinaro, crebbe il suo minutaggio (20 a gara) e le sue cifre furono di 8,1 punti e 5,6 rimbalzi di media.
Il pregio di avere un coach come Sloan ed una società seria come i Jazz, ha consentito a Millsap di crescere senza troppe pressioni. Da parte sua il ragazzo ha lavorato seriamente e cercato di migliorare i suoi punti deboli, dimostrando di poter metterla anche dai quattro cinque metri.
L’aver aumentato il suo raggio di tiro lo ha reso un rebus per i marcatori avversari, vista la sua capacità di attaccare il ferro in post, ed allo stesso tempo di puntire col jumper. L’inzio di questa stagione lo ha visto protagonista, tuttavia sempre dalla panchina, almeno fino all’infortunio di Boozer.
Quando è stato chiamato in causa Millsap ha sostituito degnamente il compagno, anzi non lo sta facendo rimpiangere affatto, e le cifre lo dimostrano (15 punti e 9,3 rimbalzi di media in 35 minuti di utilizzo; tirando con il 55% dal campo).
A Salt Lake ci si stava interrogando sul futuro, e sull’opportunità di concedre a Boozer un lauto rinnovo. Complici le dichiarazioni poco piacevoli dell’ex Duke (a Cleveland ne sanno qualcosa), e l’esplosione di Millsap, sembra più probabile che i Jazz si impegneranno per rifirmare Millsap e lasceranno Boozer libero.
Millsap diverrebbe quindi uno dei beneficiari dei giochi a due di Deron Williams, con la possibilità di creare un duo vincente peri prossimi anni. Di sicuro ha ancora ampi margini di miglioramento e sebbene sià più piccolo e leggero di Boozer, è più giovane ed atletico e sicuramente meno “corsaro”.
Volendo comparare Lee a Millsap, al di la delle cifre pressochè simili, si può dire che sono due lottatori, che danno tutto sul campo.
Difficile poter dire chi sia meglio, in quanto Lee è più rimbalzista e difensore, mentre Millsap è più completo in attacco. Inoltre Paul ha già esperienza di play off, mai raggiunti da David, ed ha la fortuna di giocare con una delle point guard migliori di tutta la lega, cosa non da poco per un lungo.
La fortuna dei due ragazzi è quella di poter beneficiare degli insegnamenti di due dei tecnici più preparati della lega, fondamentali per il loro ulteriore sviluppo.
Staremo a vedere cosa riserverà loro il futuro, di certo il presente è una certezza; e la loro esperienza può essere un esempio per tutti coloro che magari non hanno il talento di Kobe o il fisico di Dwight, ma che lottano su ogni pallone e sudano ore in palestra per arrivare al top.