E' Al Jefferson il simbolo dei nuovi TWolves
Pensavamo di metterci a discutere di una squadra che non sta funzionando, per l’ennesima volta, e di un processo di ricostruzione iniziato e già finito in un vicolo cieco.
Squadra che non gira, scelte sbagliate a livello di scambi e definizione del roster, e anche Minnesota finita in quello strano vortice del cambio di allenatore “per cercare di dare una scossa all’ambiente”.
E invece… e invece ci troviamo, non senza sorpresa, a discutere dei Timberlwolves che ne hanno vinte 8 delle ultime 10, tenendo anche testa ai Jazz alla Energy Solutions Arena, dopo il terribile dicembre chiuso con due soli successi (New York e Memphis) ed una catena di sconfitte.
Quali sono i veri Minnesota TWolves?
Il gruppo di ragazzi di talento messo insieme (e poi guidato) da Kevin McHale, con tanti margini di miglioramento ma poche ambizioni, o la squadra che ha messo in mostra i muscoli, ha reagito e provato a costruirsi una fisionomia di squadra vera, con importanti successi, per guadagnare prestigio e considerazione nelle gerarchie della Western Conference?
Forse né l’una né l’altra, ma se non altro i tifosi del Minnesota possono godersi uno dei rari momenti positivi ad un anno e mezzo dalla trade Garnett, che ha ridisegnato completamente la geografia della Lega, consentendo a “Big Ticket” di infilarsi uno storico anello al dito.
Detto questo, i problemi della squadra restano, nonostante il bilancio positivo di queste settimane, le vittorie e i numeri.
I Timberwolves, che fino a poche settimane cercavano di restare a galla nel mare agitato nel basso Ovest, ora sono la “migliore delle peggiori”, nel senso che sono quelli che hanno il “miglior record negativo” (16-27) e vengono dopo Dallas e Utah, lontane anni luce (25-20) e in lotta per i playoff.
Non sono obiettivi che quest’anno possono interessare Jefferson e soci, ma il miglioramento c’è stato, questo è innegabile, nonostante il pessimismo di molti, prima per le mosse di McHale al draft e sul mercato, poi per l’ingaggio di Randy Wittman come head coach, poi licenziato, ed infine la decisione dello stesso McHale di assumere la guida della squadra.
In campo
Sul parquet il team ora allenato dall’ex stella dei Celtics, nelle ultime settimane, non se la cava niente male. Sia chiaro, come abbiamo detto prima, non è che i problemi si possano cancellare con un colpo di spugna solo per le prestazioni di gennaio. Ma sono i risultati quelli che contano, e da qualche tempo, a Minneapolis, la musica è cambiata.
Ora arrivano le vittorie, i dubbi e le magagne possono accomodarsi in panchina, almeno momentaneamente, in attesa di capire dove vogliono, ma soprattutto dove possono arrivare questi Timberwolves.
In campo, a dominare le scene, finora è stato Al Jefferson, uno dei tanti giocatori inseriti nella famosa ed articolata trade-Garnett, forse il più promettente del pacchetto spedito nel Minnesota da Danny Ainge (anche se qualcuno deve ancora arrivare, tramite scelte al draft).
Big Al sta ripagando la fiducia per gli oltre 36 minuti trascorsi in campo ogni sera con più di 22 punti e quasi 11 rimbalzi a partita, tirando discretamente sia dal campo che dalla lunetta.
Secondo i più critici, tuttavia, il contributo difensivo del centro uscito dalla Prentiss High School non è ancora all’altezza di quanto invece il ragazzo sa costruire in fase offensiva. Certo, se i Celtics avessero voluto (o potuto) lavorarci sopra, forse entro qualche stagione si sarebbero ritrovati tra le mani uno dei centri più dominanti della Lega.
Ma per avere Garnett, e puntare subito al titolo, è chiaro che Ainge qualcosa sul piatto doveva pur metterla.
Nel Minnesota Al Jefferson sta comunque mettendo insieme numeri importanti, attualmente è il 7° rimbalzista della Lega e la sua età (24 anni compiuti pochi giorni fa), induce ad essere ottimisti sul suo futuro, nonostante gli attuali limiti del suo gioco. A mio parere i margini di miglioramento sono ancora ampi, e Al resta uno dei centri più promettenti per i prossimi anni.
Ma i TWolves non sono solo Jefferson.
Quel gruppo di ragazzi di talento che nella breve “era Wittman” non ne imbroccava una (anche a causa di qualche infortunio, comunque) stanno tentando di diventare una squadra, una squadra vera. Ma il percorso è lungo.
Dietro a Jefferson c’è Randy Foye, guardia da Villanova scelto con la numero 6 al draft 2006 (quello di Bargnani) dai Celtics, e girato poi a Minnesota. Per lui la miglior stagione finora con la squadra di Minneapolis, con 37 gare da starter su 42, quasi 16 punti di media, 3.3 rimbalzi e 4.6 assist.
L’impressione, dall’avvento di McHale in panchina, è che non sia cresciuto solo il rendimento di Foye ma anche l’utilizzo e le responsabilità cui è sottoposto un giocatore che spesso nelle ultime gare, minutaggio alla mano, è quello che resta in campo più di tutti. Sono arrivate le seratacce, come quella contro Chicago, gara vinta all’overtime ma con Foye fermo a 9 punti, 2/11 dal campo e 0/5 da tre, ma sono arrivati anche i trentelli. I numeri, tuttavia, sono notevoli: in gennaio più di 20 punti di media, sfiorando il 50% dall’arco. Non male.
Concreti miglioramenti anche per il rookie Kevin Love, che nel mese di gennaio sta mantenendo la doppia doppia di media (11.4 punti, 10.4 rimbalzi), le percentuali di tiro sono salite sopra il 50%. Il tutto con lo stesso minutaggio di prima. Se continuerà così, in futuro per i TWolves sarà un giocatore prezioso. Quinta scelta assoluta dei Grizzlies, è stato girato in estate a Minnesota nell’ambito di una maxi trade che ha portato a Memphis OJ Mayo. Detto sinceramente, io non so se l’avrei fatto, ma l’attuale crescita dell’ala-centro da Ucla è un fatto.
Cosa è cambiato?
Anche in questo caso, sarebbe valido il discorso fatto prima. Fino ad un mesetto fa, ogni forum si interrogava su quali e quanti problemi aveva (e forse ha) questa squadra, ora invece ci chiediamo dov’è nato il cambiamento che ha portato ad un gennaio straordinario.
Per cercare una risposta, partirei dalla trade-Garnett, che ha portato in dote a Minnesota 5 giocatori (oltre a scelte al draft). Di Al Jefferson abbiamo già ampiamente detto, e comunque resta di gran lunga il migliore del gruppo partito per la fredda Minneapolis.
Ryan Gomes, dopo gli ottimi numeri messi insieme la scorsa stagione (82 partite disputate, 74 da starter, con 12.6 punti e quasi 6 rimbalzi), la migliore della carriera, quest’anno viaggia forse un po’ più a corrente alternata, con cifre inferiori, anche se di poco, rispetto all’anno passato.
L’ala da Providence continua a rendere di più se parte in quintetto, il fisico e la grinta sotto canestro restano un marchio di fabbrica, ma molti continuano ad aspettarsi la sua definitiva maturazione.
Sebastian Telfairera un altro giocatore coinvolto nella trade, anche lui tuttora nel roster TWolves. Come per Foye e Love, anche per la guardia di Brooklyn con il mese di gennaio e l’arrivo di McHale in panchina la stagione ha preso una piega ben diversa: quasi raddoppiati i minuti in campo, ovviamente cresciuti i numeri e la produzione. Anche in questo caso, il gm di Minnesota ha chiaramente concesso spazio ad un giocatore che lui stesso aveva voluto inserire nella trade del giugno 2007. Classico talento da playground, promettente ma ancora in costruzione.
Trovasse anche continuità , Minnie avrebbe un vero play, quello che in realtà manca di più, attualmente.
Del veterano Theo Ratliff, a Minneapolis si sono perse le tracce ormai tempo fa, nella passata stagione, quando passò a Detroit dopo aver giocato appena 10 partite con la maglia dei “lupi”. In estate è arrivato il trasferimento ai Sixers, compiendo in pratica il percorso dei primi anni di carriera.
Resta Gerald Green, anche lui transitato giusto qualche mese da queste parti, prima di partire per il Texas, destinazione Houston e poi passare in estate ai Mavericks, dove ora cerca a fatica spazio e minuti, senza troppa fortuna.
Il quadro è questo, e non è difficile capire che quel benedetto luglio non ha portato quanto forse i tifosi si aspettavano in cambio di una delle migliori power forwards della Nba.
Ma in quel contesto, ed in quel particolare momento, il pacchetto giunto dai Celtics era forse quanto di meglio si poteva portare a casa per un giocatore che chiaramente voleva cambiare aria, dopo aver scritto pagine di storia della franchigia.
Un aspetto dell’attuale situazione dei Timberwolves, tuttavia, mi sembra molto chiaro, ed è qui che forse può trovare la risposta chi si interroga sui recenti miglioramenti della squadra: McHale, fallita l’esperienza Randy Wittman, sta puntando sempre più forte su quei giocatori nei quali lui stesso ha mostrato di credere molto (magari anche troppo…) portandoli nel Minnesota, e non solo con la trade Garnett, giocatori sui quali molti avevano espresso dubbi, anche non troppo tempo fa.
Nessun fenomeno, una buona dose di talento, una potenziale futura superstar (Jefferson). Nient’altro, la sostanza è questa. E per ora il sistema pare funzioni…
Per il resto c’è un Mike Miller forse al di sotto delle aspettative, preso per migliorare nel tiro dalla lunga distanza, Craig Smith da cui ci si attende ancora molto, e la promessa Corey Brewer, che rientrerà solo nella prossima stagione.
E adesso?
Proprio quando molti non se lo aspettavano più, il vento è cambiato, la squadra ha preso a vincere e nuove speranze rinascono sotto il ghiaccio nel gelido inverno della Città dei Laghi.
Non sarebbe giusto nascondersi dietro a un dito e pensare che, come per magia, i problemi siano spariti nel nulla. Quello della difesa, per esempio, che certo non si impara da un giorno all’altro, ma richiede lavoro, tanto, applicazione e qualcuno che sappia applicarne i principi a tutta la squadra.
Piuttosto, quel che si auguravano i tifosi dei TWolves si sta concretizzando, seppure con modi e tempi diversi dalle previsioni. I primi frutti della ricostruzione stanno maturando, e proprio adesso viene il difficile.
C’è chi continua a considerare quello attuale solo un “buon momento di forma”, casuale e destinato a chiudersi presto. Ma se così non fosse, la base per il futuro è stata posta.
Forse ora sarebbe il caso di archiviare tutte le mosse e gli errori del passato (scegliere Foye al posto di Brandon Roy, per esempio) e pensare all’immediato futuro. McHale ha fatto le scelte che sappiamo, e che hanno portato ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Non è certamente questa serie positiva a cancellare di colpo tutto ciò che è accaduto in questi anni, gli errori di valutazione, le decisioni. Per fare un passo concreto, il miglioramento a fine anno dovrà essere altrettanto concreto, e se così accadrà puntare ai playoff per la prossima stagione dovrà essere un dovere, per squadra e management.
Tuttavia lo spazio salariale non è ingolfato, e permetterà di muoversi già dalla prossima estate, alla ricerca delle pedine giuste per completare il roster. Magari con un coach che sappia valorizzare gli uomini a disposizione e trasformare un gruppo in una squadra.
A tutt’oggi c’è anche la possibilità che Minnie non compaia troppo in alto nell’ordine di scelta al draft: danno o opportunità ? Bè, con un lungo affidabile come Jefferson ed uno in via di costruzione (e miglioramento) come Love, quel che serve è soprattutto un play vero, a cui mettere in mano le chiavi della squadra e cercare di tirarne fuori il meglio.
Anche non volendo passare dal draft, con i giusti scambi, magari mettendoci di mezzo anche una prima scelta, qualcosa di buono si può combinare.
Per quest’anno, decisiva la seconda metà di febbraio e l’inizio di marzo, con 10 gare in casa su 13. Praticamente impossibile pensare alla post-season, ma Minnesota si può togliere tante soddisfazioni, in una stagione che, adesso sì, inizia ad avere davvero il sapore della ricostruzione.