Focus: Nash vs Kidd

Nash e Kidd: gli eredi di John Stockton

Si avvicina inesorabilmente la fine di un’era, quella dominata dai giocatori del dopo Jordan, infatti queste stelle hanno ormai varcato tutte la soglia dei 30 anni, da Shaq e Bryant a Garnett e Duncan, per dirne 4 che hanno segnato davvero un decennio, passando da Pierce, Iverson, Ginobili, Nowitzki.

L’eredità  di cui parliamo oggi però non è quella di Jordan, bensì quella di John Stockton, raccolta negli ultimi 10 anni da Steve Nash e Jason Kidd. Il geometra di Spokane non è stato uno dei tanti, ma uno che ad allacciata di scarpe in carriera ha dato 10.5 assist, che moltiplicati per tutte le partite giocate fanno 15806 solo in regular season, il miglior assistman della storia NBA.

Correva l’anno 2002 quando, con Stockton ormai prossimo al ritiro, il suo erede ha preso il comando delle operazioni, raggiungendo le Finali Nba per la prima volta.

Si tratta di Jason Kidd, un altro che vede linee di passaggio che noi umani possiamo solo immaginare, alzatosi con tempismo perfetto per far capire che appena se ne va un Papa se ne fa subito un altro.

Due anni consecutivi alle Finals non sono bastati per farcela, proprio come per lui, l’inarrivabile John, e da quel momento Giasone è sceso di colpi, mentre l’altro erede, tale Steve Nash, rendeva D’Antoni e il suo sistema di gioco qualcosa di unico.

Il canadese però non ce l’ha fatta neanche ad arrivare alle Finals, fermato a volte da acerrimi nemici, a volte da vecchi amici (per informazioni chiedere a Duncan e Nowitzki).

Si capisce che un filo lega questi 3 playmaker, uguali ma diversi nella loro storia e nelle loro caratteristiche, con un destino comune, un boccone amaro da digerire e il marchio di eterni secondi.
Ma andiamo con ordine, analizzando prima la loro storia, per capire come sono diventati i migliori della Lega.

Jason Kidd

Kidd è un prescelto già  all’High School, Player of The Year nel ’92 e nel ’94 miglior assistman di tutta America.

Scelto con la seconda chiamata nel 1994 dai Dallas Mavericks, dove tutto è iniziato e probabilmente finirà , nel 96/97 viene scambiato in una maxi trade a 6 giocatori e spedito verso Phoenix, dove per 4 anni raggiungerà  i Playoff, non riuscendo però mai a superare il secondo turno.

Nel 2001 cambia ancora, andando a New Jersey, e anche se arrivato controvoglia, scrive le pagine più belle della storia della franchigia.

Nonostante ci sia da specificare che la Eastern Conference non era proprio il massimo della competitività , i Nets raggiungono per 2 volte consecutive le Finals NBA, schiantandosi però contro Lakers e Spurs.

Kidd decise di rimanere a New Jersey, ma la squadra si snaturò cedendo Kittles e Martin, e non riuscì più a raggiungere le finali, anche a causa della crescita dell’Est.

Anche se Giasone formava con Jefferson e Carter un trio micidiale, la squadra sotto la guida di Lawrence Frank non fa la differenza, e Kidd a Febbraio 2008 viene ceduto e torna a Dallas, dove Cuban spera che possa far fare il definitivo salto di qualità  ai suoi Mavs.

Invece Kidd, ormai alla soglia dei 36 anni, non incide e snatura il gioco di Dallas, fermata ancora una volta al primo turno, questa volta da Chris Paul, in una sfida che sapeva molto di passaggio di consegne.

Californiano di Oakland, Jason Kidd è probabilmente il playmaker più completo della lega, con buone doti di realizzatore, di passatore e di rimbalzista, è maestro anche in furti di palloni.
Per questo motivo, oltre che per l’ottima difesa e il gioco in post basso dove sovrasta i pari ruolo, è il maestro delle triple doppie dell’ultimo decennio, raccogliendo quest’eredità  da Magic Johnson.

Kidd è a quota 100 in questa speciale classifica, dietro a solo a Oscar Robertson e proprio a Magic, che ne fa una leggenda del ruolo, ma rimarrà , a meno di sorprese, per sempre un vuoto incolmabile nella bacheca di Jason.

Steve Nash

L’eclettico Steve John Nash, canadese-sudafricano nato a Johannesburg, amante anche di calcio e hockey, sceglie il basket come sport principale ma non sarà  mai un predestinato come lo è stato Kidd.

Nonostante alla British Columbia mettesse a referto cifre di tutto rispetto, il basso livello del campionato non lo rendeva un grande prospetto, così scelse Santa Clara per il college, in quella California tanto amata dal Giasone.

A differenza di Kidd, Nash ogni volta che raggiungeva l’apice doveva ricominciare da capo ad un livello più alto, migliorando di anno in anno. Così fu al college e dopo un inizio titubante esplose in cifre clamorose che ne fecero un All America, e così sarà  anche in Nba.

Con la chiamata numero 15 al draft del 1996 arrivò a Phoenix, dove rimase fino al ’98 giocando anche un anno insieme a, guarda un po’, Jason Kidd, di cui, poco dopo fece il percorso inverso andando in Texas.

Le cifre di Nash parlavano di un giocatore normale, non straordinario come poi si sarebbe dimostrato, e a Dallas i primi 2 anni furono molto difficili. L’anno della definitiva affermazione dell’estroverso canadese fu il 2001, in cui raddoppio le sue statistiche e portò la squadra fino alla semifinale di Conference.

Si confermò nelle 2 stagioni successive, al termine delle quali tornò a Phoenix, alla corte di D’Antoni, che lo esaltò con il suo Run & Gun. I primi 2 anni in Arizona furono straordinari, grande record per la franchigia, 2 volte MVP e Finali di Conference.

Nel 2005 Phoenix si fermò ancora contro gli Spurs, e nel 2006, che sembrava l’anno buono per l’uscita dai Playoff degli eterni rivali, i Suns si fermarono contro Wunderdirk e soci.

Nel 2007 e nel 2008 fu sempre San Antonio a fermare la corsa al titolo di Steve Nash, che ora, a 34 anni, continua ad inseguire il sogno di ogni giocatore.

Cosa li accomuna e cosa li allontana

In comune Nash e Kidd, come se ci fosse bisogno di specificarlo, hanno una visione di gioco straordinaria, la capacità  di migliorare i propri compagni e un destino che in un modo o nell’altro li ha sempre tenuti vicini.

Sconfitti sulla strada per il titolo sempre da qualcuno più forte di loro, da una dinastia in corso d’opera, filo conduttore che li unisce anche a Stockton, fermato sempre dai Bulls.

Le dinastie che hanno fermato i 2 play del nuovo millennio sono state i Lakers, ma soprattutto i San Antonio Spurs, che hanno messo i bastoni fra le ruote più di una volta ad entrambi.
I 2 hanno in comune anche la strada che va da Phoenix e Dallas, con percorsi inversi, dove probabilmente termineranno la loro corsa.

Jason però, ha raggiunto l’apice nella costa Est a differenza di Nash, che in quella parte dell’America non ha mai soggiornato.
Il canadese è stato 2 volte MVP (fra l’altro l’unico della storia a bissare il successo come miglior giocatore senza coronarlo con il titolo) mentre il premio a Giasone è sempre sfuggito.

Kidd, più completo, più difensore e da sempre sulla cresta dell’onda, ha dovuto solo confermare le aspettative su di lui.

Steve Nash, più estroverso, più realizzatore, straordinario tiratore, con un fisico simile a quello del geometra e con una difesa che spesso lascia a desiderare, ha corso in salita gran parte della carriera per dimostrare di essere il migliore.

Si sono alternati con un timing perfetto ( proprio come quello dei loro passaggi) in vetta alla Nba, senza mai scontrarsi per qualcosa di davvero importante, facendo luccicare gli occhi di chi ama questo sport con giocate al limite dell’impossibile, confermando quello che aveva fatto vedere Stockton, cioè che si può arrivare all’apice anche senza un fisico al limite dell’umano, anche se, madre natura deve averti dato 2 mani d’oro per fare tutto ciò.

Possono ancora arrivare alle Finals?

Ora come ora ci verrebbe da dire NO.

Phoenix ha rotazioni troppo ristrette per dare il giusto riposo ad un giocatore che ormai ha 34 anni, e rischia di farlo arrivare stremato ai Playoff, nonostante un quintetto straordinario; a Dallas manca sempre qualcosa per essere la migliore, e in questo momento quel qualcosa è il reparto lunghi.

A meno di una trade stile Boston non arriveranno al titolo con le loro franchigie.

C’è anche l’ipotesi di aggregarsi ad un grande team per vincere l’anello non da protagonisti, come hanno fatto altri grandi come Malone e Barkley, senza fra l’altro riuscirci, ma questo non li renderebbe immortali come Stockton, fedeli sempre e comunque alla loro storia, e capaci di ammettere che sono stati fermati da qualcuno più forte, anche se non nel ruolo di regista, perché i migliori erano loro.

Erano, già , perché il loro successore ha già  un volto e impazza per tutti i campi della Lega da 3 anni a suon di triple doppie.

Chris Paul, con caratteristiche simili a quelle del nostro duo, capacità  di realizzatore e di passatore fantastiche, e con mani velocissime, ha iniziato con un destino comune a Nash e Kidd, fermandosi a San Antonio.

Ma con gli Spurs ormai in retta d’arrivo e Boston e Lakers costruite su giocatori oltre i 30, CP3 può arrivare all’anello nei prossimi anni, Lebron permettendo, e onorare la storia del suo ruolo e di tutti quelli che non ce l’hanno fatta, a meno che Steve e Jason non decidano di stupirci ancora.

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