La crisi dei Warriors (Part 2)

Wright e Belinelli, non esattamente due mastini in difesa…

Fra i vari problemi cronici della franchigia, la difesa non manca mai, ma quest'anno sta facendo, se possibile, peggio del solito.

Nella passata stagione, come in quella attuale, i Warriors, numeri alla mano, erano la peggior difesa della Lega per la mancanza di una precisa organizzazione e di meccanismi corali credibili; tuttavia, seppur saltuariamente, potevano essere trovate delle singole chiavi difensive che, oltre a mascherare (parzialmente) le carenze di sistema, erano importanti per creare punti facili in velocità .

In questo senso, l’ aggressività  del Barone, la durezza di Jackson, la capacità  di giocare sulle linee di passaggio di Ellis e il contributo estemporaneo dei vari Barnes, Pietrus, Azubuike, erano tutti fattori che permettevano alla squadra di tenere alto il ritmo di gioco, di forzare palle perse, di limitare persino la percentuale di tiro concessa agli avversari, riciclando il tutto in contropiedi o transizioni primarie.

Nella stagione in corso, invece, le statistiche altrettanto impietose (111.4 p. subiti per gara e almeno 115 in 11 delle ultime 16 gare) riflettono fino in fondo la totale inconsistenza della squadra che ormai sembra un ideale terreno di conquista per chiunque voglia aggiornare i propri record offensivi. Persino quelle ancore di salvataggio così preziose lo scorso anno, ora non ci sono più per i motivi più disparati: Davis, Pietrus, Barnes sono migrati altrove, Ellis è infortunato.

Lo stesso Jackson, nella sua metà  campo, soprattutto ad inizio campionato, ha risentito molto del suo impiego da play che lo portato di conseguenza a marcare giocatori piccoli e veloci: Jackson è un difensore più di carattere e agonismo che non di tecnica e velocità , “Marca più con le mani che non con i piedi” (Charly Rosen) e, per questo, soffre molto di più un esterno rapido che i giocatori di potenza.

Tatticamente, una questione piuttosto spinosa per un sistema come quello di Nelson che predilige i quattro piccoli, è la posizione di “4” che dovrebbe essere ricoperta da un esterno in grado di marcare i lunghi avversari: in precedenza, il tanto discusso Harrington rivestiva un ruolo tattico fondamentale poiché, con la sua versatilità  e la sua fisicità , era il difensore destinato alla marcatura dei “4” avversari, a volte persino dei centri (Yao Ming). Harrington, quindi, svolgeva quindi il doppio ruolo di lungo capace di tirare dalla distanza in attacco, e di esterno in grado di marcare i lunghi in difesa.

Quest’ anno invece manca un giocatore con queste caratteristiche: Maggette, una volta “scomparso” Harrington (prima infortunatosi, poi ceduto), era stato spostato in ala-grande per poterne sfruttare fisico ed atletismo, ma è troppo passivo e inconsistente come difensore per rappresentare un credibile difensore contro i lunghi altrui.

La presenza fisica e di un intimidatore come Turiaf, utilizzato in coppia con Biedrins, ha contribuito a dare un minimo di copertura in più vicino a canestro e a rimbalzo, ma il problema rimane sempre il perimetro: Crawford, Watson, Morrow e Belinelli sono troppo esposti alle penetrazioni e alle iniziative delle guardie a tal punto che la loro debolezza spesso vanifica il lavoro di Turiaf e Biedrins, mentre Jackson, quando è stato impiegato in marcature per lui più naturali, è sembrato al di sotto degli standard difensivi dello scorso anno (anche per questioni fisiche).

Come per l’ attacco, per la difesa manca un sistema collettivo che in qualche modo possa coprire le lacune dei singoli: non vengono applicate le più basilari rotazioni o aiuti difensivi e di conseguenza ognuno viene abbandonato a se stesso e diventa vittima delle proprie debolezze.

La gestione instabile di Nelson ha aggravato la situazione: Nelson, spinto in parte dagli infortuni e dalle evoluzioni del mercato, oltre ad aver periodicamente cambiato quintetti e rotazioni, ha variato più volte l’ impostazione della squadra cambiandone i principi per poi tornare successivamente sui suoi passi.

I Warriors hanno cominciato la stagione con la classica small-ball schierandola ogni qual volta fosse possibile; poi gli infortuni e le evidenti carenze difensive con Maggette da “4” o con 4 esterni, lo hanno spinto ad utilizzare di più i due lunghi in campo contemporaneamente (Biedrins con Turiaf o Wright) per poi tornare di nuovo al quintetto piccolo.

Ufficialmente, Nelson sarebbe tornato alla small-ball perché il quintetto con i due lunghi non offriva sufficienti garanzie a rimbalzo ma in realtà  questa strutturazione non è in linea con i principi del suo sistema.

Infatti, è il quintetto con Turiaf e Biedrins che offre decisamente più garanzie in difesa (il clamoroso primo tempo della gara a Boston è nato dal loro lavoro sotto i tabelloni) e Turiaf, per di più, con le sue doti di passatore, migliora la qualità  dell’ attacco; l’ impatto di Wright dalla panchina è stato in più circostanze molto positivo ma sempre con la possibilità  di giocare a fianco di un altro lungo che gli permetta, in attacco, di muoversi attorno all’ area e, in difesa, di marcare giocatori meno impegnativi fisicamente.

La sensazione quindi è che Nelson abbia cercato di rimanere più che altro fedele a sé stesso senza considerare invece le reali esigenze della squadra. Nelle ultime gare infine, l’ infortunio di Jackson ha rilanciato il quintetto con due lunghi e Wright in quintetto base.

Anche in attacco, nel corso delle ultime gare, si è verificato un cambiamento clamoroso, soprattutto se confrontato la filosofia di Nelson: il passaggio da un attacco statico di continui isolamenti in 1c1 ad uno invece più mobile, con più circolazione di palla e basato sul penetra-e-scarica.

Si tratta ovviamente di un voltafaccia rilevante ma necessario poiché l’ attacco dei Warriors, viste le tendenze di Jackson e Maggette a ricercare le soluzioni personali, era diventato tanto prevedibile quanto inguardabile; inoltre gli infortuni di questi ultimi ha privato i Warriors degli unici due giocatori per cui poteva aver senso costruire un attacco di questo tipo. Nelson a quel punto, senza terminali prestabiliti, ha rinunciato alla sua volontà  di ricercare situazioni di miss-match o di 1c1, per impostare un attacco di maggior coinvolgimento generale e di distribuzione delle responsabilità .

I risultati hanno comunque faticato ad arrivare per vari motivi: gli infortuni (nelle ultime gare erano fuori Crawford, Jackson e Maggette), le difficoltà  di assimilazione di un nuovo sistema e il materiale umano che non sembra adattissimo a questo stile di gioco. Per attaccare con principi di penetra-e-scarica sono necessari infatti giocatori pericolosi in penetrazione ma che sappiano poi leggere la difesa per “scaricare” ai compagni con il giusto timing: gli esterni di Golden State, invece, oltre a limiti di ball-handling e visione di gioco, prediligono tutti la conclusione personale piuttosto che servire i compagni.

Belinelli al contrario, sfruttando gli infortuni e questo sistema di gioco molto più “europeo”, ha trovato minuti e responsabilità : “the italian sharpshooter” ha confermato le sue doti di tiratore (13.7ppg con il 37% da 3p) unite a notevoli progressi nella comprensione del gioco e in penetrazione. Belinelli probabilmente non sarà  la risposta ai mali dei Warriors poiché, per i parametri del ruolo, deve ancora svilupparsi fisicamente e difensivamente; tuttavia, alcune sue eccellenti prove dimostrano che, in un basket strutturato, può essere una buonissima addizione per la squadra e dimostrare la bontà  di quella scelta n. 18 spesa per lui nel 2007

I Warriors, al di là  di qualche singola gara, in generale sono stati meno inguardabili nella metà  campo altrui ma raramente hanno messo in piedi un esecuzione davvero efficace e che creasse buoni tiri: nella maggior parte delle gare non sono stati nemmeno raggiunti i 100p con percentuali di tiro appena superiori ad un deficitario 40%. Si risente degli assenti ma anche di giocatori che sappiano creare con continuità  opportunità  di tiro.

Il problema dei Warriors sembra essere questo: trovare un modo efficace per valorizzare il talento dei singoli e coprirne in parte i limiti. Le soluzioni proposte da Nelson per qualche motivo si sono sempre rivelate inefficaci.

Disfunzionalità : è questo il termine che meglio identifica la misura in cui le strutturazioni tecniche volute da Nelson di volta in volta (non) si sono permeate ai giocatori. Vi è sempre qualche motivo per cui schemi e rotazioni si rivelano sterili: il quintetto con due lunghi offre un minimo di solidità  difensiva ma non piace filosoficamente a Nelson che predilige i quattro piccoli con i problemi difensivi che ne derivano. In attacco, i giochi in isolamento rendono l’ attacco asfittico e monocorde mentre quello basato sul penetra-e-scarica manca di giocatori e mentalità  necessari per essere eseguito.

Alla fine, questo vortice di cambiamenti ha finito per aggravare le cose aumentando un generale senso di instabilità  e insicurezza, persino maggiore rispetto a quello con cui era cominciata la stagione. Una delle principali conseguenze, del tutto deleteria per una franchigia che deve far crescere i suoi giovani, è la discontinuità  nel minutaggio dei giocatori che risente, di volta in volta, del game-plan deciso da Nelson.

Un clima così turbolento non rappresenta di certo il contesto più adatto in cui far crescere elementi già  incostanti per la loro età : i minuti di Wright vanno su è giù nonostante i miglioramenti e le ottime prove mostrati più volte, mentre Randolph, pur confermando tutta la versatilità  e il talento che gli è riconosciuto, ha mostrato comprensibili limiti di maturità  e lucidità  che solo un minutaggio continuo gli permetterebbe di superare. Morrow invece, che nel frattempo ha già  ampiamente esibito un tiro da fuori mortifero con un’ estetica del rilascio pressoché impeccabile, è stato sensazionale contro Clippers e Portland ma il suo rendimento in seguito è stato discontinuo vista la sua natura di tiratore puro e soggetta perciò alle lune del tiro.

Instabilità , insicurezza e sconfitte, come spesso accade, portano con sé un malessere diffuso che inevitabilmente impregna lo spogliatoio e danneggia i rapporti tra tutti i componenti di una società . Già  in prestagione si parlò di quanto fossero tesi i rapporti tra Mullin e Rowell per alcune evoluzioni di mercato (Davis) e disciplinari (Ellis) e i mesi successivi non hanno fatto altro che confermare quanto la strade di Mullin e della franchigia si stiano dividendo: Rowell ha trattato personalmente il rinnovo contrattuale di Jackson di cui invece avrebbe dovuto occuparsi Mullin, il quale tra l’ altro è stato visto al Madison Square Garden al fianco di Donnie Walsh per visionare un gara del fenomeno Stephen Curry. Sono ormai mesi che il nome di Mullin viene costantemente accostato a quello dei Knicks…

Le difficoltà  seguenti non hanno fatto altro che far precipitare ulteriormente la situazione rendendola a dir poco esplosiva tanto che voci di litigi e trade aleggiano praticamente da inizio campionato.

Nelle prime settimane di regular season è scoppiato definitivamente un contrasto che ormai si trascinava in modo più o meno latente dalla stagione precedente, quello tra Nelson e Harrington, in cui il giocatore ha dato sfogo da un lato alla sua frustrazione per la maniera “distorta” di essere impiegato in attacco (semplice tiratore piazzato dalla distanza) e in difesa (frequente marcatura dei lunghi), dall’ altro alla sua contrarietà  per la cessione del Barone, leader e amico personale. Il contrasto, risolto con la necessaria cessione di Har ai Knicks che lo ha fatto letteralmente rinascere, è stato seguito a ruota dalle ricorrenti voci di una presunta delusione della dirigenza nei confronti dello stile di gioco di Maggette e da un litigio tra Nelson e Jackson per lo scarso rendimento di Step nelle ultime gare prima dello stop per problemi ad un polso (13ppg con il 32% a Dicembre).

Nelson ha provato a stimolare il giocatore spingendolo a concentrarsi su altri aspetti del gioco (assist e rimbalzi) in attesa di risolvere i fastidi al polso che inevitabilmente lo condizionano al tiro ma Jackson, a quanto pare, non sembra aver gradito; anzi, ha sostenuto piuttosto che le novità  offensive dei Warriors legate ad un gioco con più circolazione di palla si adattano poco alle sue caratteristiche e non lo mettono in ritmo.

Ora, dopo che Jack ha persino saltato una shootaround di tiro (forse) a causa del litigio, sembra che i rapporti tra i due si siano arroventati e che il giocatore stesso desideri essere scambiato proprio dopo aver ricevuto una importante estensione contrattuale. In definitiva: i due giocatori che almeno in teoria avrebbero dovuto rappresentare i leader della squadra per esperienza e serietà  e per i quali la società  ha affrontato precisi sforzi economici, stanno vivendo momenti di incertezza nel rapporto con la dirigenza con i rumors di mercato che ne conseguono. Un altro elemento che secondo i piani societari avrebbe dovuto essere uno dei perni del futuro ma i cui rapporti si sono invece incrinati con Nelson, è Randolph al cui agente sarebbe già  stato consigliato di prendere contatto con franchigie interessate al giovane rookie.

Il complicato quanto consistente bilancio infortuni non ha di certo aiutato i Warriors, ma d’altra parte è piuttosto difficile avere la Dea bendata dalla propria parte quando si è così inclini a danneggiarsi: il caso Ellis ha ovviamente stravolto i piani della dirigenza fin dalla preseason, Harrington ha giocato solo le prime 5 gare di stagione, Maggette è assente dal 6 Dicembre e i suoi tempi di recupero non sono pronosticabili, Jackson ha saltato 4 gare prima di rientrare nella sfida contro Boston e Crawford si è addirittura infortunato durante un riscaldamento pre-partita. Viene da chiedersi se pure tutta questa serie di infortuni non sia solo il frutto di questioni specificatamente fisiche ma anche la conseguenza di un clima difficile e il termometro di un malcontento generale.

Il disordine che in questo momento contraddistingue la franchigia in ogni suo strato oltre ad alimentare notevoli perplessità  per il presente e più ancora per il futuro, è una storia che si ripete: già  ad inizio anni ’90 i Warriors sembravano aver individuato la via per della rinascita ma, anche in quell’ occasione, la distruzione del progetto nacque dall’ incapacità  di trattenere l’ uomo franchigia (Webber) che innescò poi una serie di disastri a catena. Quest’ anno stesso intreccio: via Davis, ed equilibri completamente a rotoli.

Difficile trovare antidoti a questa ineguagliabile tendenza autodistruttiva: i futuri rientri di Maggette ed Ellis forzeranno la squadra ad ennesimi cambiamenti “chimici” ed eventuali strategie di mercato rischiano di esse soffocate da un salato salary cap per i prossimi 4/5 anni.

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