Focus – Gli italiani in NBA

Il 2009 sarà  l'anno del Gallo?

28 giugno 2006: Andrea Bargnani, ala in forza alla Benetton Treviso, viene scelto al draft NBA con la prima scelta assoluta dai Toronto Raptors.
E’ il primo giocatore europeo a potersi fregiare di tale onore, e uno dei pochissimi non americani, accompagnato dal cinese Yao Ming nel 2002 e dall’australiano Andrew Bogut nel 2005.

Esattamente un anno più tardi, è il turno di Marco Belinelli: tra i tre italiani, il talento della Fortitudo è quello che viene accompagnato da meno aspettative. Il suo ingresso nella NBA non passa certo inosservato in Italia, ma negli Stati Uniti lui è “uno dei tanti”. Alla vigilia del draft viene indicato come un giovane da primo giro, più probabilmente verrà  scelto tra i primi 20. E così è: numero 18, ai Golden State Warriors.

26 giugno 2008: Danilo Gallinari, uno dei giocatori potenzialmente più forti che il basket italiano abbia mai potuto annoverare tra le proprie fila, va a completare la rosa dei New York Knicks di Mike D’Antoni.
I fans presenti al Madison Square Garden, sede del draft e delle partite dei Knicks, lo accolgono con qualche fischio.
Lui per tutta risposta afferma: “Toccherà  a me guadagnare gli applausi di questo pubblico”.

Tre giocatori, tre ruoli diversi, tre squadre diverse. Accomunati dal fatto di essere italiani. Com’è andato il primo periodo di esperienza oltreoceano per loro? Ma soprattutto, cosa li aspetta in futuro?

Andrea Bargnani

Da decenni essere la prima scelta assoluta del draft rappresenta un onore e un onere: un onore perchè si ha da subito un contratto più ricco degli altri giovani scelti nel tuo stesso anno e perchè in pochi possono fregiarsi di questo titolo. Un onere perchè, se non si fa la differenza in campo, si è soggetti a molte critiche e all’etichetta poco lusinghiera di “bidone”.

Bargnani, nel corso del suo primo anno, sembra essere nella situazione ideale: l’ambiente lo aiuta, fin da subito si percepisce che i Raptors hanno grande fiducia nei suoi confronti. Uno staff italiano, con il vice-presidente Gherardini e il GM Colangelo in testa, una città , Toronto, in cui la comunità  italiana è numericamente importante, ed una squadra giovane con grande talento, a partire da Chris Bosh e TJ Ford: tutti elementi che fanno ben sperare per il futuro.

E infatti il primo anno di Andrea è assolutamente positivo: i Raptors, da squadra da lotteria quale erano, conquistano l’Atlantic Division per la prima volta nella loro storia, sfiorano le 50 vittorie in regular season (saranno 47) e approdano ai play-off dopo cinque anni passati a guardare le altre squadre giocare per il titolo. Purtroppo, però, l’avventura del “Mago” e dei suoi compagni finisce presto, battuti 4-2 al primo turno dai New Jersey Nets del trio Kidd-Carter-Jefferson, più esperti dei canadesi a questi livelli.

Bargnani è in lizza per vincere il premio di Rookie Of the Year: 25 minuti a partita, 11.6 punti, 4 rimbalzi, 37% da 3 e 42% dal campo, più un buon 82% dalla lunetta. Non sono numeri straordinari, ma non ci si può neanche lamentare. Alla fine però è Brandon Roy dei Portland Trail Blazers ad aggiudicarsi giustamente il premio. Il nostro connazionale arriva secondo, e si prepara ad affrontare un’estate di allenamenti per presentarsi al meglio nella prossima stagione.

Ma più passa il tempo più la situazione si fa difficile.
E’ una questione soprattutto di ruoli, e al suo secondo anno in NBA il Mago non trova continuità . Sam Mitchell, allenatore dei Raptors, lavora per farlo giocare da centro, perchè è alto 2 metri e 13 e può allargare il campo con il suo tiro da fuori, ma l’esperimento viene presto accantonato. Bargnani, a dispetto dell’altezza, non è un gran rimbalzista, in difesa si impegna ma non eccelle, perciò meglio affidarsi ad altri giocatori per quel ruolo.

E non solo, perchè come ala grande c’è Chris Bosh, la stella intoccabile della squadra. In più, altri giocatori di talento come Garbajosa e Nesterovic chiudono qualsiasi possibilità  per l’italiano nello spot 4 e 5.

Nelle posizioni sotto canestro Andrea non trova molti minuti, come ali piccole ci sono Jamario Moon e Jason Kapono e allora non trova ancora una sua precisa identità  e un preciso ruolo all’interno della squadra. I Raptors peggiorano il loro record (41 vittorie, 41 sconfitte), ed escono ai play-off nuovamente al primo turno, subendo un sonoro 4-1 dagli Orlando Magic. Play-off nel corso dei quali, a differenza dell’anno da rookie, Bargnani gioca poco e male.

Arriviamo così ai giorni nostri: ciò che preoccupa di più di Andrea in questa sua avventura è il fatto di non essere riuscito a ritagliarsi grande spazio all’interno della squadra. La fiducia che gli era stata data dallo staff tecnico nel 2006 non è stata confermata dai tecnici, Mitchell prima e Triano poi, tanto è vero che sotto canestro si è preferito puntare con decisione sulla coppia Bosh-O’Neal e anche nel ruolo forse ideale per Bargnani, ovvero ala piccola, vengono preferiti altri giocatori, come Kapono e Moon.

Onestamente vedo poche chances per il Mago di affermarsi in Canada, mentre in un’altra realtà  sono sicuro che potrebbe dare di più. Certo non è facile essere sempre la terza-quarta opzione offensiva quando si sta in campo, soprattutto se sei prettamente un attaccante e non uno specialista difensivo.

Marco Belinelli

Ed eccoci al giocatore del momento. Probabilmente uno dei giovani in NBA che più si sta mettendo in luce quest’anno. Se Bargnani è stato travolto dall’evoluzione della sua squadra, con l’arrivo di un’altra stella come Jermaine O’Neal, Belinelli ha dovuto aspettare l’involuzione dei suoi compagni per conquistare il posto in quintetto, proprio quando la possibilità  di essere ceduto stava diventando qualcosa più di una semplice ipotesi.

Appena scelto nel 2007, si pensava che una guardia come lui calzasse a pennello nel gioco veloce e portato all’attacco dei Warriors di Nelson, ma il suo anno da rookie è stato praticamente inesistente: squilli di tromba per i 37 punti messi a segno in una partita di Summer League, poi il nulla. Solo 33 partite giocate senza aver subito infortuni, mai impiegato nelle 11 partite di play-off giocate dalla sua squadra, sette minuti in media di impiego quelle poche volte in cui è sceso in campo.

Nonostante tutto, l’ex Fortitudo era speranzoso per l’anno successivo: in fondo la stagione precedente gli Warriors avevano dovuto lottare fino all’ultimo per agguantare i play-off e non c’era tempo per fare esperimenti in regular season, figuriamoci da aprile in avanti. Eppure niente, il primo mese di questa stagione è passato come tutto il 2007-2008: poche apparizioni, pochi minuti, le prime voci su una possibile trade, con i Raptors e i Nets tra le squadre maggiormente interessate.

“In estate ho lavorato duramente con la prospettiva di giocare di più. Non pensavo che le cose andassero così male, mi sento preso in giro. Ma in Europa non torno, non adesso. Vorrebbe dire mollare e io non sono uno che molla facilmente”, queste le bellicose dichiarazioni rilasciate dalla guardia di Golden State in un’intervista del 5 dicembre.

Da lì, la svolta: Don Nelson si rende conto che per i suoi ragazzi la post-season rimane un miraggio, e decide di puntare sul giovane Belinelli. Quattordici minuti contro gli Spurs e due soli punti il 6 dicembre, poi diciotto minuti e ben 13 punti con Oklahoma City, due giorni dopo. 20 minuti e 15 punti coi Bucks, poi contro gli Indiana Pacers parte addirittura in quintetto e ripaga la fiducia con 21 punti.

Ma non è finita: da quel giorno (17 dicembre), Belinelli parte sempre nel quintetto iniziale e mette a segno 27 punti contro gli Hawks. Ma il giorno più bello è il 26 dicembre: 22 punti contro i Boston Celtics campioni in carica, e sonante vittoria dei Warriors per 99 a 89. Il nostro si toglie lo sfizio di lamentarsi con Garnett per un blocco a suo modo di vedere troppo duro portatogli da quest’ultimo: finisce tutto lì però, e lo stesso numero 5 biancoverde va a fare i complimenti a Marco a fine partita.

Che avesse punti nelle mani lo sapevamo, ma “Sly” (così soprannominato per la somiglianza a Sylvester Stallone) sa anche rendersi utile in altri modi: assist, rimbalzi, perfino un insospettabile impegno in difesa. Certo, gli Warriors non stanno attraversando un gran momento, ma sono una squadra giovane (Wright, Biedrins, Watson, Turiaf…) e potranno far bene in futuro. Bravo Belinelli a sfruttare il momento propizio, adesso deve dare alle sue prestazioni quella continuità  che, ahinoi, ad oggi Bargnani ancora non è riuscito a trovare.

Danilo Gallinari

Non c’è molto da dire sulla stagione di Gallinari, se non che ha fatto appena in tempo a giocare le prime due partite con la sua squadra e a mettere a segno i primi due punti (con altrettanti tiri liberi) della sua avventura in NBA, prima di doversi fermare per dei problemi alla schiena.

Sembra che negli ultimi giorni il talento ex Armani Jeans sia migliorato, e che con l’inizio dell’anno nuovo verranno nuovamente verificate le sue condizioni di salute. La previsione più ottimistica per il suo rientro è per metà -fine gennaio, ma bisogna andare molto cauti. Quel che è certo è che lo staff di New York non ha alcuna intenzione di affrettare i tempi di recupero e che si cercherà  in tutti i modi di non ricorrere ad un’operazione chirurgica.

Riguardo a Danilo, il morale rimane alto e lui stesso non ha mancato di rimarcare la bontà  di tutto il gruppo e la sua speranza di fare bene oltreoceano. Certo, lavorare a parte e guardare le partite vestito in borghese non sono cose piacevoli, ma più di una volta lo abbiamo visti seguire la squadra per supportare i suoi compagni.

Nel frattempo, proviamo ad ipotizzare come potrà  giocare il “Gallo” nel sistema run&gun di Mike D’Antoni.

Le ipotesi più plausibili sul suo ruolo in campo sono quella di ala piccola o, in alternativa, di ala grande. La concorrenza sarà  dura ma non spietata: i Knicks non hanno vere e proprie stelle, giocatori giovani e intoccabili che devono stare per forza in campo a causa della loro bravura, superiore alla media.

Sono un cantiere in costruzione, D’Antoni ha le sue idee e le porterà  avanti, ma prima di un paio d’anni difficilmente si vedranno grandi risultati. I play-off sono difficili da raggiungere, non tanto per il roster dei Knicks quanto per una conference, l’Est, che diventa sempre più competitiva. Gallinari, una volta guarito, potrà  perciò alternarsi con i vari Richardson, Harrington, Chandler, Thomas, Lee.

Come vedete, tutti buoni giocatori, ma nessuna star.
C’è grande curiosità  intorno alla prima stagione in NBA del nostro connazionale.
A noi non resta che aspettarlo, sperando che l’attesa stia per finire… sarà  il 2009 l’anno del Gallo?

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