Joe Johnson è il leader indiscusso di questi Hawks
No, non stavate leggendo la classifica al contrario.
Sì, gli Atlanta Hawks, solo due giorni fa, erano secondi nella Eastern Conference con un record di sei vittorie ed una sconfitta.
E sì, vi erano arrivati vincendo quattro partite fuori casa ed espugnando, tra gli altri, il parquet del team con il secondo miglior record ad ovest al termine della scorsa regular season, i New Orleans Hornets.
Riavvolgiamo il nastro di qualche mese.
Aprile 2008. Gli Hawks di Mike “Mr. Potato” Woodson, team ricco di talento giovane, ma dalla panchina tremendamente corta, acciuffano la qualificazione ai playoff sul filo di lana, nonostante un record perdente di 37-45.
L'abbinamento al primo turno di post season li vede affrontare i Celtics dei Big Three: il miglior record dell'intera lega, una squadra in missione.
I pronostici sono da subito impietosi: il gap tecnico e di esperienza è tale da rendere flebili anche le speranze di portare a casa un singolo incontro.
L'esito della serie è storia recente, con i giochi che si fanno tremendamente complicati per Boston dopo il punto del pareggio in gara4, con Zaza Pachulia che arringa la Philips Arena dopo aver visto JJ annichilire i biancoverdi nell'ultimo periodo di gara6, e con i Celtici che non mettevano mai in discussione l'esito dell'ultima e decisiva partita.
Uscendo dal salone del grande ballo dei playoff, quella sera, gli Hawks hanno raccolto numerosi attestati di stima, pacche sulle spalle e complimenti, entrando in off season con la certezza, finalmente, di aver intrapreso la strada giusta.
Con l'arrivo dell'estate però, i discorsi hanno iniziato a vertere sul vile quattrino, e, paradossalmente, l'ottima chiusura di stagione di Atlanta, ne aveva messo in difficoltà la dirigenza, la quale si trovava con due ingredienti fondamentali del proprio progetto in scadenza di contratto.
Spazio sotto il cap ce n'era, ma a detta di molti non sarebbe bastato a tenere in maglia Hawks “The Joshes”, Childress e Smith. Si scatenarono i dibattiti.
Chi era sacrificabile?
Chi aveva i margini di miglioramento più ampi?
Chi portava l'impatto maggiore sulla squadra?
L'Olympiakos Pireo ed i milioni del suo proprietario fugarono i dubbi e decisero per tutti, mentre Childress aprì un dibattito da fiumi d'inchiostro sui due lati dell'oceano, ma anche questi sono fatti di dominio comune.
Al quartier generale della Atlanta Spirit intanto, confermarono ufficialmente J Smoove quando dal piatto dei free agent Nba erano già stati prelevati i pezzi più succulenti, ed il nuovo Gm in carica, Rick Sund, si affrettò a portare in Georgia quanto di più decente fosse disponibile.
Alla Philips Arena quindi, approdarono in rapida successione Maurice Evens, Ronald Murray ed un paio di giovani progetti a caccia di un'occasione e di un contratto.
Il cambiamento che la stampa e l'opinione pubblica si auspicavano maggiormente, però, non avvenne.
Mike Woodson, considerato da più parti il vero anello debole della catena in casa Hawks, venne confermato, nonostante il mercato dei pini avesse visto muovere nomi di un certo rilievo, e nonostante Josh Smith avesse esternato, poche settimane prima, qualcosa di molto vicino ad un attestato di non- stima. Non esattamente l'estate che capitan Joe Johnson si auspicava.
Gli Hawks che avevano portato i futuri campioni Nba a gara7 erano quindi una meteora?
Erano destinati a tornare presto nell'oblio dei lottery teams?
Sarebbero stati dimenticati così in fretta?
A spulciare opinioni e preview a ridosso del tipoff stagionale, pareva proprio di sì.
Nonostante J.J. fosse ormai un leader a tutti gli effetti; nonostante Mike Bibby avesse goduto di un'intera estate per allenarsi e trovare l'affiatamento con il team; e nonostante, numeri alla mano, Al Horford fosse il vero Rookie of the Year 2008.
Come nel più classico dei weekend estivi, però, in questo primo scorcio di stagione le previsioni sono state disattese. Se non completamente, perlomeno in parte.
I primi a farne le spese sono stati i Magic di Dwight Howard, che hanno visto Woodson ed allievi uscire dall'Amway Arena di Orlando con l'intera posta in palio, costringendo Orlando ad un misero .368 dal campo.
Di lì a dieci giorni, l'antico pallino per la difesa di Mr. Potato aveva portato alla sconfitta altre vittime illustri, quali i Philadelphia 76ers del nuovo arrivato Elton Brand, i New Orleans Hornets del futuro padrone della lega, Chris Paul, ed i Toronto Raptors delle due torri Bosh ed O'Neal.
Tre prestazioni difensive eccellenti: avversari tenuti sotto i 90 punti a partita, con percentuali dal campo sempre di poco superiori al .400; in più, una produzione di punti dall'arco che da gradito “evento sporadico” si è tramutato nella più classica delle “buone abitudini”.
Prima di incappare nel clutch shot del sindaco di Beantown, poi, Joe Johnson e compagni avevano portato altra erba a seccare nel fienile, raccogliendo altre due vittorie ai danni dei derelitti Thunder e dei Bulls decimati di questo inizio stagione.
Sei vittorie consecutive per aprire la regular, un inizio che non si verificava dalla stagione 1996-1997, dodici anni or sono. Un inizio brillante, che non poneva ovviamente Atlanta tra le contender al titolo ad Est, ma che non poteva nemmeno essere etichettato come fortunoso, o frutto di episodi.
Un inizio messo in dubbio nel giro di due notti, quando i New Jersey Nets dell'esplosivo Devin Harris hanno bucato a ripetizione la retina dei falchi, portando a casa due vittorie su due e ridimensionando il record di Atlanta, nonché gli elogi che inevitabili erano arrivati in Georgia.
Appurato che non ci troviamo davanti una seria pretendente all'anello, ma anche che gli anni più bui, quelli da 20-25 vittorie a stagione, sono stati chiusi nello sgabuzzino, la domanda che addetti ai lavori e tifosi in ogni angolo del pianeta spicchi si pongono è, durerà ? E se durerà , perchè?
Declinare la prima delle due domande con il più classico dei “time will tell” sarebbe sin troppo facile, e non permetterebbe di analizzare a dovere le ragioni di questo inatteso inizio di stagione.
Partiamo quindi dal secondo quesito, ed andiamo a scovare i diversi perchè, se ve n'è più d'uno.
In cima alla lista, doverosamente, staziona Joe Johnson, uno dei leader più sottovalutati dell'intera lega. Pochi flash da cartolina, ma tanta di quella sostanza da far andare di traverso la colazione a chi lo abbia temerariamente definito un non-leader.
Dietro al suo talento, per onor d'anzianità , poniamo la prima versione full season di Mike Bibby, decisamente più continuo ed affidabile del playmaker giunto a metà stagione scorsa dai Kings, che aveva comunque soddisfatto.
Dando un'occhiata all'apporto dei panchinari, poi, è doveroso dichiarare apertamente, e senza alcun timore di essere smentiti, che Mo Evans e Flip Murray compensano abbondantemente la dipartita di Josh Childress. Aggiungendovi esperienza ad alto livello, ed ottime percentuali dalla lunghissima distanza che toglieranno pressione dalle spalle di J.J. e la sposteranno su chi dovrà occuparsi di loro.
Seduti con coach Woody e la FlipMo Squad, Solom Jones ed Acie Law sono tra i progetti più futuribili in casa Hawks. Il loro minutaggio subirà inevitabili alti e bassi, ma quasi certamente potranno godere di più di un occasione per mettersi in mostra.
Il vero ago della bilancia, però, potrebbe essere Marvin Williams, sciaguratamente scelto prima dei due attuali migliori play della lega al draft del 2005, ma che conserva ancora una notevole quantità di talento inespresso, emerso solo a tratti durante la stagione scorsa. Se Marv, potenzialmente uno dei terzi violini migliori dell'intera lega, dovesse acquisire costanza e sicurezza, Atlanta potrebbe volgere uno sguardo roseo al futuro, anche nel medio e lungo termine.
Nel pitturato infine, a sbattersi con lunghi più dimensionati di loro e con vagoni di esperienza e malizia in più, troviamo Al Horford e Zaza Pachulia. Quest'ultimo, dopo una stagione fallimentare come lungo di riserva, ma spettacolosa come aizzatore di folle, pare essere tornato sui binari del lavoro sporco. Lavoro dal quale il prodotto di Florida non sembra avere intenzione di tirarsi indietro.
L'ex compagno di università di Joakim Noah, è uscito dallo United Center di Chicago con un bottino di 27 punti, 17 rimbalzi e 6 stoppate. Tre carrer highs in una sola notte. Una prestazione sintomo dell'enorme potenziale che ancora risiede nel due volte campione Ncaa.
La prolungata assenza di Josh Smith, nell'ultima settimana, al quale è da aggiungere la recente indisposizione del guerriero georgiano, ha minato di dubbi la partenza lanciata di Atlanta, abbassando il record di vittorie fino all'odierno .666, percentuale comunque più che dignitosa, e sulla quale, ad inizio stagione, i grandi capi della Spirit Partnership avrebbero messo la firma.
Coach Woodson, e con lui qualche migliaio di tifosi, prega affinchè questa serie di maturazioni e miglioramenti, singolarmente tutt'altro che improbabili, prenda forma nel suo intero durante la regular season 2008/2009, per fare degli Atlanta Hawks un team rispettato e temuto in ogni arena della Nba, e portarlo, un giorno, il più vicino possibile ai fasti dei suoi anni migliori. Durerà ?
Crediamo proprio di sì. Sono trascorsi 192 giorni tra il massacrante 99-65 di gara7 ed il jumper vincente di Paul Pierce della scorsa notte.
Il risultato finale è stato il medesimo, ma allo stesso tempo è stato anche del tutto diverso.
Things have changed.