Chris Paul, semplicemente dominante
Era nell’aria già a inizio dello scorso anno, ma nessuno osava andare oltre qualche sussurro.
Poi c’e’ stata una stagione intera di conferme e adesso i sussurri sono diventati voci convinte.
La nuova generazione di playmaker NBA ha scalzato quelli che di questo ruolo hanno scritto un’epoca.
Quelli che erano definiti le Point Guard del futuro adesso guidano il gruppo nel ruolo e promettono di dominare la lega per un decennio.
Ma come recita uno dei più famosi detti della NBA, “Mai sottovalutare il cuore di un campione” scommettiamo che un paio di vecchie volpi del parquet quest’anno tireranno fuori annate da favola?
Il talento, in fin dei conti, non ha età , e l’esperienza, soprattutto in questo ruolo conta parecchio, in particolare se si punta a fare strada nella post season. Per cui in questa classifica non ci dimenticheremo di loro, quelli che per una decade abbondante hanno deliziato i nostri occhi.
Ne rimarranno fuori di playmaker, e anche di livello notevole. Qualche scelta va fatta.
Anche perché a seconda dei criteri di scelta la classifica varia: meglio uno che è accentratore ma è capace di spaccare in due una difesa (per es. TJ Ford) oppure uno che detta i ritmi con intelligenza e sceglie sempre la soluzione migliore per la squadra (es Jose Calderon)?
Come vedete dall’esempio sono dubbi che anche i GM NBA devono sciogliere. Toronto ha scelto Calderon, altri preferiscono giocatori alla Ford. Cominciamo…
Chris Paul
Gli ci sono voluti solo 3 anni per arrivare davanti a tutti. Ma il talento incredibile di questo ragazzo non può passare inosservato. Oddio, in realtà al draft 2005, a qualcuno sfuggì’, parlo soprattutto di Atlanta che alla 2° scelta gli preferì Marvin Williams (i Bucks su Bogut la passiamo con riserva). Capita… Ma è chiaro che quel draft ha cambiato le sorti di una franchigia.
Dall’arrivo di Paul, New Orleans passa da 18 vittorie della stagione pre-Paul alle 58 della scorsa stagione. Certo, intorno a lui si è costruita una intelaiatura di squadra molto solida, ma il “di più” è lui.
Quello che si può mettere in proprio e andare di media oltre i 20 a partita.
Quello che aggiunge più di 11 assist ai compagni per far diventare uomo decisivo anche un’incostante cronico come Chandler.
Quello che se capita la sera giusta ti porta a casa la tripla doppia, e per uno che non vede l’1.85 è un mezzo miracolo.
Quest’anno detta legge tra i play NBA e promette di puntare con i suoi Hornets alla finale di Conference sfiorata lo scorso anno.
Dobbiamo trovargli un difetto? Deve migliorare il tiro dalla distanza (che migliora di anno in anno tra l’altro). Sì’, però poi su di lui c’è da mettere una taglia, altrimenti non è più giocabile questo gioco…
Deron Williams
Draft 2005. Ok, scusate tifosi di Atlanta, non volevamo infierire. Però farsi sfuggire anche Deron salta all’occhio. Magari poi Marvin diventa un fenomeno eh…
Intanto Williams, inteso come Deron, in 3 anni ha conquistato il cuore dei tifosi di Utah.
Come nel caso di Paul, dal momento del suo arrivo a Salt Lake City il numero di vittorie è cresciuto da 26 a 54 l’ultimo anno. E’ molto diverso da Paul: meno esplosivo ma più ordinato, meno difensore ma più “fisicato” in modo da non subire i contatti duri.
In comune hanno la capacità di leggere il gioco e la leadership. Deron è il braccio in campo di un ottimo organizzatore di gioco come Sloan. In più ha sviluppato un pick&roll con Boozer e Okur letale.
Le statistiche sono simili a quelle di Paul anche se paradossalmente pecca nei rimbalzi nonostante la superiorità fisica. Ha appena rinnovato coi Jazz e spera di convincere Boozer a fare lo stesso. Per aiutarlo nella decisione ci vorrebbe almeno una finale di Conference. A ovest non è facile, ma la possibilità c’è. E magari si deve passare da Paul…
Steve Nash
La creatività fatta playmaker. Quello che gli abbiamo visto fare su un campo da basket ci ha fatto sobbalzare più e più volte. Ha una capacità di valutare così tante soluzioni in così pochi istanti che ci chiediamo quanti difensori abbia mandato a casa con il mal di testa.
Sono almeno 8 anni che mette assieme cifre da fenomeno. Ma i numeri non esprimono tutto quello che è Steve Nash. E’ un leader, un istintivo con un talento smisurato, impossibile non amarlo. Vediamo come si adatterà al gioco un po’ più controllato che impone Coach Porter.
Certo è che il meglio probabilmente lo ha dato nei due anni sotto Mike D’Antoni che gli sono valsi i titoli di MVP. Però sa perfettamente che è questa è l’ultima stagione per provare ad arrivare al titolo. Shaq e Amare sono una potenza sotto canestro.
E lui è un competitore pazzesco; se vede anche solo una possibilità di arrivare all’anello, possiamo scommettere che il suo gioco crescerà di livello. Non chiediamogli di sbattersi troppo in difesa, ma appena ha la palla tra le mani mettiamoci comodi e gustiamocelo.
Baron Davis
Il losangelino di nascita è tornato a casa e i Clippers sognano di nuovo i playoff. Alla fine di un’estate a dir poco tribolata i velieri si trovano con un Brand e un Maggette in meno ma un Barone e un Camby in più. Senza sottovalutare la chimica da trovare, direi che si poteva stare peggio.
Soprattutto perché il Barone arriva dalla prima stagione, dopo 5 anni, da 82 partite filate e promette di dare leadership e punti a una squadra da anni senza point guard di livello assoluto.
Ama giocare in velocità e con molta libertà .
Coach Dunleavy dovrebbe cucirgli addosso la squadra e farsi trascinare dal suo entusiasmo. Anche perché potrebbe mettere in campo quintetti da corsa con Camby da centro e venire incontro alle qualità tecniche e alle preferenze di gioco del suo nuovo leader.
Vedremo. Quello che è certo è il valore assoluto del Barone che può mettere assieme cifre notevoli e prendersi sulle spalle la franchigia. Playoff difficili perché a ovest la vita è dura, ma noi ci fidiamo del Barone.
Tony Parker
L’avevamo detto che ci sarebbero state vittime illustri in classifica. Anche perché guardando i freddi numeri della scorsa stagione qualcun altro poteva entrare. Ma su Tony Parker scommettiamo qualcosina perché le prospettive sono buone. Potrebbe essere lui il fulcro del gioco di San Antonio quest’anno.
Certo, Duncan non si tocca e quando torna Manu la palla che scotta potrebbe andare a lui; ma Popovich sa che il primo non è eterno e il secondo ha caviglie che reggeranno un tempo troppo limitato. No, se Popovich deve scegliere su chi ricostruire sarà sul franco-belga. Quindi prevediamo più responsabilità per lui e visto che il ragazzo ha già tre anelli e un titolo di MVP delle finali crediamo sfrutterà l’occasione.
Il gioco degli Spurs e la presenza di altre stelle non permetteranno delle cifre da “Paul”, ma questo non vuol dire che non ci sarà la crescita che auspichiamo. L’assalto al titolo degli Spurs passa da lui.
BONUS – Jason Kidd
Come si può anche solo pensare di lasciarlo furoi? Certo, non è il Kidd dei primi anni a New Jersey, ma a Dallas hanno visto proprio una versione sbiadita che sicuramente sotto coach Carlisle e con alle spalle tutta la preparazione con i compagni di Dallas non si vedrà più.
E’ sembrato timido in questi 3 mesi ai Mavs, non l’autoritario playmaker che dettava i ritmi a proprio piacimento. Non abbiamo dubbi che i suoi numeri torneranno quelli abituali anche perché Carlisle ha dichiarato di volere tanta transizione e nessuno nell’NBA la sa gestire come Jason Kidd.
Ha 35 anni e vede allontanarsi le possibilità di un titolo. A Dallas è dura ma non si sa mai. Poi è in scadenza di contratto e potrebbe scegliere di andare in una squadra da titolo e fare un ultimo tentativo.
Rimane comunque, anche senza anello, uno dei più grandi playmaker, della storia NBA. E il numero di triple doppie è lì a darne dimostrazione.
Come abbiamo visto il cambio generazionale c’è stato, ma point guard come Nash, Kidd o Baron Davis non abdicano tanto facilmente. Nonostante dietro a loro ci siano altri giovani che stanno spingendo per mettersi in mostra.
Tra le possibili sorprese della stagione inseriamo 2 giocatori con già 3 o 4 anni di esperienza NBA, ma che solo quest’anno avranno le redini della squadra fin dall’inizio della stagione, e un rookie che farà strada. Vediamo se qualcuno di questi ha le potenzialità per entrare in classifica già dalla prossima stagione.
Josè Calderon
Siamo stati tentati di metterlo nella categoria sopra fino all’ultimo. Un azzardo? Forse, ma le qualità da playmaker puro che ha Calderon le hanno in pochi. Lucido, ordinato, scelte sempre per il bene della squadra e una capacità di eseguire i giochi perfetta. Il prototipo del play vecchio stampo.
In più ci aggiungi il 50% al tiro, più del 40% da 3 e una fastidiosa incapacità di sbagliare tiri liberi ne fanno una certezza per i Raptors.
La partenza di TJ Ford gli libera il posto da titolare indiscusso e lui punta a portare i nuovi Raptors ai primi 4 posti a est. L’obbiettivo è complicato, Phila, Boston, Detroit, Orlando e Cleveland avrebbero qualcosa in contrario.
Però se Jermaine sta bene, Bosh mantiene i suoi livelli e Calderon conferma i suoi ritmi da starter allora ci si può anche pensare. E per il play spagnolo c’è il target All Star Game; l’anno scorso se ne parlò perchè era in un periodo di grazia.
Quest’anno, da titolare, molti potrebbero accorgersi di lui. Sarebbe un riconoscimento enorme, in una lega che sta diventando molto fisica anche nel ruolo di point guard, per uno stile di gioco pulito e intelligente.
Devin Harris
Se lo sono chiesti in tanti a febbraio: ma l’affare l’han fatto i Mavs o i Nets? Cedere Kidd non è mai un piacere; se però la contropartita è un play dal futuro luminoso, in crescita e con attitudini difensive notevoli, allora si può anche sperare di aver fatto il colpo.
Devin Harris ha ancora tanto da crescere prima di entrare in classifica: tira male, intorno al 32% da 3; anche il numero di assist deve crescere dai 6,5 attuali a partita. In compenso mette più difesa di quasi tutti i pari ruolo, dimostrando ogni sera una intensità che regala speranze ai tifosi dei Nets, che sanno che dovranno soffrire per due stagioni e poi sperano di vincere la lotteria LeBron del 2010.
Ecco, LeBron con a fianco un Harris con 2 stagioni da titolare sulle spalle li vediamo bene. Nel frattempo le possibilità di New Jersey di fare la post season passano dalla crescita di Harris.
Derrick Rose
Era dal 1996 che non c’era una point guard alla prima scelta assoluta nel draft. Allora era Allen Iverson che proprio PG pura non lo è mai stata. Andando indietro si deve arrivare al 1979, tal Earvin Johnson, al secolo Magic.
Insomma, per prendere un play al numero 1 deve essere speciale e forse Rose può continuare questa tradizione.
Lungi da noi voler paragonarlo ai giocatori citati, anche perché ne ha caratteristiche molto differenti. Certo è che ci aspettiamo molto da lui che già ha conquistato il posto da titolare ai Bulls. A Memphis ha mostrato leadership e capacità di coinvolgere i compagni.
Ha un atletismo notevole che se applicherà anche in difesa può renderlo un giocatore che sposta gli equilibri in entrambe le metà campo. Anche lui deve crescere molto e vediamo come sarà l’impatto con i professionisti.
Tiro da fuori e tendenza a perdere palloni le cose su cui deve lavorare. Il potenziale c’è. In questa classifica ci entra di sicuro. Il quando lo deciderà lui con i suoi progressi.