Il basket ha rigenerato Obama nella sua lunga e dura campagna da un capo all'altro degli USA.
Ero incollato alla TV, come tanti altri in tutto il mondo. A un certo punto ho visto i cancelli aprirsi al Grant Park di Chicago. C'era gente che correva, molti giovani, per accaparrarsi il posto più vicino possibile al palco da dove avrebbe annunciato la sua vittoria.
Così è stato. Barack Obama è il 44° Presidente degli Stati Uniti d'America.
Io ero già andato a letto, più o meno 20 minuti prima delle 4. Avevo visto che l'Ohio si era colorato di blu, non era più "too close to call". Per me bastava, Obama aveva vinto.
Ma se sono qui adesso a raccontare di questo evento storico è per un motivo preciso. Obama è il primo Presidente afro-americano della storia, più in particolare è il Presidente più vicino al basket che gli Stati Uniti abbiano mai conosciuto.
Mentre io ero davanti alla TV, mentre tutti quei ragazzi correvano verso la vittoria, mentre McCain preparava salsicce per pochi invitati, mentre Sarah Palin piangeva, mentre Bush fissava ogni angolo del suo Studio Ovale come se una tempesta minacciasse all'improvviso di distruggerlo, dov'era lui, dov'era Barack Obama ?
"Il candidato democratico sta giocando a pallacanestro" diceva Bruno Vespa su Rai 1 come poco dopo l'inviato di Sky Tg 24 da Chicago. Ecco, questo è già un grande cambiamento per tutti noi appassionati di basket, e non di "pallacanestro" come dice in maniera orrenda Vespa al pari di "persona di colore".
Il colore della pelle e l'amore per questo gioco vanno di pari passo. E' una storia che merita di essere accennata, nel giorno della speranza per milioni di americani, dove forse davvero il cambiamento, quello reale, pare finalmente avvicinarsi.
Prima del basket una questione che mi sta molto a cuore. Barack Obama è afro-americano oppure no ?
Devo essere sincero. Quando il senatore dell'Illinois emerse nelle primarie contro la Clinton ero anch'io scettico come tanti sul suo retaggio sociale e culturale. Il padre non è afro-americano ma del Kenya, la madre è una donna bianca del Kansas. Ad aggiungere benzina sul fuoco il piccolo Barack è cresciuto nelle Hawaii, ai confini dell'impero, poi addirittura in Indonesia, dall'altra parte del mondo.
Il primo vero contatto con l'America l'ha avuto con gli studi universitari, a Los Angeles, a New York o meglio vicino Harlem presso la Columbia University, ad Harvard, ma poi finiti gli studi soprattutto nel South Side di Chicago. E' qui che ha costruito la sua identità afro-americana, è qui che ha conosciuto sua moglie Michelle, una nera senza asterisco.
Con l'avanzata travolgente fino all'election day mi sono calmato. Non serve la famosa one-drop rule per definire Obama afro-americano, ma basta la sua famiglia, le sue figlie, il suo quartiere. Tutto quello che all'inizio era solo in teoria Barack lo ha costruito con le proprie mani. Nel regno dei White Sox a Chicago, in uno dei quartieri neri più degradati d'America, spesso uno dei più violenti.
Con questa carta d'identità è facile passare al basket. Il basket è lo sport dei neri d'America, ne sono stati i più grandi interpreti di sempre, e personalmente preferisco il loro modo di interpretare il gioco allo stile europeo o di qualsiasi altre parte del mondo.
"Niente ci porta alla lacrima così rapidamente di come lui interpreta questo sport". Condivido commosso il giudizio di Federico Buffa su Allen Iverson. Questa è la purezza, il resto sono chiacchiere.
Barack Obama ha giocato a basket a livello di high school, alla Punahou School di Honolulu, Hawaii. Era un'ala piccola molto veloce, si applicava in difesa, non dubitiamo portasse leadership nello spogliatoio (detto oggi che è il padrone del mondo fa ridere), tirava di sinistro e portava il numero 23 (si è diplomato nel 1979, quindi non è un omaggio a MJ) e i capelli afro (questo sì un omaggio a Doctor J, il suo idolo).
La sua squadra ha vinto il titolo dello stato nel suo unico anno nella varsity, il senior year, non proprio il più alto livello di competizione in America va bene lo stesso.
Certo per Barack il basket era una grande passione ma poi sui libri passava il più delle sue giornate tanto che il suo sogno era difatti Harvard e non un posto in squadra a UCLA o UNC, con i quali ha giocato recentemente in uno dei diversi pick-up game 2008.
"In una mano aveva il pallone e nell'altra un libro" ricorda il suo allenatore dell'epoca, a ritratto perfetto dell'Obama studente brillante ma mai secchione.
"Non riesco ad immaginare un divertimento maggiore di un pickup basketball game", dice Obama alla TV parlando di partite di basket informali, sulla strada o in palestra, ma comunque improvvisate per amore del gioco.
Particolare importantissimo nella sua biografia. L'unica volta che Barack ha rivisto suo padre, all'età di 10 anni, ha ricevuto in dono un pallone di basket. Il padre sarebbe poi tornato in Africa, ma in quell'unica volta in cui il futuro Presidente conobbe suo padre il basket c'è, a rimpolpare un ricordo oggi troppo labile.
Le speculazioni di come Obama si sia servito del basket per farsi accettare come afro-americano non stanno in piedi. La sua è vera passione.
Torniamo al gioco. "Era un tipo da giocatore da playground" dice ancora il suo allenatore chiamandolo "street like", "ma ci serviva di più per rompere le difese a zona con il suo tiro da fuori". Obama però, uno dei pochi neri in tutta la scuola, non ci sta, e racconta piuttosto di come fosse il suo passo il punto forte e non tanto il tiro. Un atleta che penetra insomma, non uno spot-up shooter.
Un altro curioso aneddoto ci riporta nel South Side a Chicago. Quando Barack conobbe la sua futura moglie Michelle, all'epoca un avvocato ben in vista, si dovette confrontare con il fratello di lei, Craig Robinson.
Michelle infatti voleva testare il suo fidanzato con in fratello e scelse il basket come terreno di confronto perché Craig era un buonissimo talento, piccola star a Princeton. Ne emerse non solo che Barack a basket sapeva giocare ma soprattutto, come racconta l'attuale head coach di Oregon State, una persona buona, sincera e "unselfish" che era degna di sposare la sua sorellina.
Fu il primo grande obiettivo che Obama raggiunse anche grazie al basket. L'ultimo è storia di oggi. Anzi è la Storia.
Il rapporto tra il basket e i Presidenti USA conosce con lui il suo zenit. Prima di lui poco e niente. Teddy Roosevelt fu il primo ad interessarsi al basket ma solo per via traverse, incoraggiando la costruzione di campetti a Washington. Aveva frequentato la stessa classe ad Harvard di tale Luther Gulick, che aveva tra i suoi sottoposti alla Y.M.C.A. di Springfield James Naismith, l'inventore del cesto di pesche.
Per il resto il buio assoluto. William Howard Taft inaugurò il first pitch sul monte e il rapporto speciale tra i Presidenti e il baseball, Warren G. Harding amava il golf e il tennis, Woodrow Wilson amava pure lui il golf tanto da farsi costruire delle buche alla Casa Bianca.
Dwight D. Eisenhower sognava una carriera nel baseball ma ebbe più successo nel football, e placcò come linebacker Jim Thorpe, una leggenda del football degli albori. Anche John Kennedy era una grande appassionato di football e un buonissimo nuotatore, ma il suo atletismo fu danneggiato severamente dalla guerra.
Richard Nixon amava troppo la politica e se stesso per dedicarsi agli sport ma si fece costruire una pista da bowling alla Casa Bianca. Ci ritorneremo più tardi. Jimmy Carter era un corridore, anche su lunghe distanze, Ronald Reagan fu nuotatore e giocatore di football oltre che attore mediocre e commentatore TV, a Bill Clinton piacevano di gran lunga di più le relazione extra-coniugali che gli sport ma è nota la sua passione per gli Arkansas Razorbacks di basket e per il jogging.
Poi c'è George W. Bush, un uomo capace di cadere da una mountain bike praticamente da fermo. Lo sport che ama è il baseball, a lui si deve la promozione del Tee Ball alla Casa Bianca (baseball per piccolissimi) e la peggiore imitazione americana di Berlusconi. Ha condotto i Texas Rangers e gli Stati Uniti sull'orlo del baratro (due guerre di cui una assolutamente fallimentare e la peggiore crisi economica dal '29 cos'è per voi ?). Almeno con Berlusconi il Milan ha vinto.
I Presidenti con il curriculum sportivo migliore sono due. Passi piuttosto per il padre, .354 di media battuta a Yale e due College World Series giocate all'attivo, l'unico campione alla Casa Bianca è proprio il più mediocre Presidente dell'era moderna.
Gerald Ford, alla Casa Bianca per grazia ricevuta (l'unico mai eletto nemmeno come Vice) fu centro e linebacker a Michigan, con i quali vinse due titoli nazionali nel 1932 e 1933.
Parliamo di football però. Il basket non c'è. Poteva esserci nel 1996 con Bob Dole, che aveva giocato a Kansas sotto Phog Allen o ancora di più nel 2000 con Bill Bradley, membro dei favolosi Knicks campioni nel '73. Entrambi però hanno dovuto riporre i loro sogni del cassetto.
Non Obama, il 44° Presidente. Sono sempre più d'accordo con Beppe Severgnini e più che mai adesso che è stato eletto. Se non lo vedo non ci credo. Aspettiamo il 20 Gennaio, quando entrerà in quella Casa Bianca che oggi è quanto di più anacronistico come nome.
C'è il primo nero, e il primo "baller in chief".
Ha promesso di abbattere quella ridicola pista da bowling che volle a suo tempo Nixon per farci un campo da basket. Sarebbe bellissimo. Un campo di basket all'interno della Casa Bianca è come conciliare anni di dolore di una nazione, quella afro-americana, a cui il basket deve la sua fortuna.
Sarebbe un simbolo visivo fortissimo, qualcosa di assolutamente imprevedibile fino a pochi mesi fa. Dalla schiavitù alla segregazione, dal razzismo di terza generazione fino al Presidente nero che gioca a basket nella Casa Bianca.
Se non è soltanto una delle promesse elettorali io ci credo. Magari Obama schiaccerà in testa a Berlusconi quando lo andrà a trovare a Washington. Adesso è possibile.
Il mondo pare sia cambiato.
Un campo da basket al livello supremo del potere. Questa ci mancava.
Yes we can. Yes we can.
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