Lebron James: una scelta che ammette poche discussioni…
Secondo i più celebri manuali del basket alla voce Ala Piccola si trova mediamente questa definizione:
Giocatore in grado di rivestire il ruolo di collante tra settore esterni e settore lunghi, dotato di ottima tecnica di base, che gli permette di tirare da fuori, andare in penetrazione, prendere rimbalzi, recuperare palloni, giocare vicino a canestro e aiutare il playmaker ad impostare il gioco
In poche parole il giocatore completo.
Negli ultimi anni il ruolo dell’ala piccola ha subito un’evoluzione che ai puristi del gioco, ai nostaligici dei tempi di Doctor J , Larry Bird e Dominque Wilkins, in cui il ruolo di numero “3” era sacro e ben definito, fa un po storcere il naso per via del gioco più veloce dei quintetti piccoli che stanno impazzando un po dappertutto; che di fatto stanno snaturando la figura dell’ala piccola classica a favore del ruolo più moderno di ala forte tattica, possibilmente perimetrale.
Ma resistono ancora, barricati nelle loro roccaforti, “ambasciatori” che portano avanti la purezza del ruolo con il loro gioco universale che li contraddistingue.
Scegliere tra loro i 5 rappresentanti che al via della nuova stagione NBA rappresentano il top del settore è un impresa ardua, perché la qualità in questo ruolo è ancora alta e la competizione è agguerrita.
Vi saranno esclusi illustri e per questo è opportuno premettere giusto un paio di cose:
– abbiamo cercato di tener conto delle caratteristiche tecniche predominanti del giocatore rapportate al ruolo dell’ala piccola;
– abbiamo escluso volutamente giocatori ritenuti “borderline” tra i ruoli di guardia/ala o ala piccola/ala forte, come Vince Carter, Hedo Turkoglu, Corey Maggette, Tracy McGrady, Andre Igoudala, Josh Smith, Lamar Odom, Rashard Lewis, Gerald Fallace, Shawn Marion, Boris Diaw.
Dopo un attenta analisi, dopo aver meditato e rimuginato abbiamo sfornato per voi questo ranking ufficiale di Play.it per il ruolo di Ala Piccola.
LeBron James – Cleveland Cavaliers
203 cm, 113 kg, da St. Vincent-St. Mary HS, 27,3 punti, 6,9 rimbalzi e 6,6 assist di media in 5 anni NBA in Ohio.
Ogni presentazione è superflua, la reincarnazione dell’ala piccola dominante, l’anello di congiunzione tra la spettacolarità e atletismo di Julius Erving e l’eleganza, il talento, la poliedricità di Magic Johnson.
Non c’è una cosa in campo che non gli sia permessa fare, penetra con la rapidità di un velocista e con la corazza di un carro armato cingolato, ha migliorato sensibilmente il suo jumpshot dai 6 metri e dalla lunga, prende rimbalzi come un ala grande, stoppa come un centro, porta palla e crea gioco come un play, spinge o finalizza il contropiede.
E la cosa lascia basiti è che ha solo 24 anni, quindi inimmaginabili margini di miglioramento in ogni fase del gioco, soprattutto in difesa e nessun limite davanti a se.
A trovargli il pelo nell’uovo si può dire che manca forse un poco di umiltà , che talvolta esagera negli sconfinati meandri del personaggio di culto che è diventato anche oltre il rettangolo di gioco, ma propendiamo a credere che questo difetto sia imputabile all’irruenza giovanile, e nel corso degli anni, a seguito di maggiore esperienza, malizia e maturità verrà mitigata.
Paul Pierce – Boston Celtics
201 cm, 106 kg, uscito da Kansas nel ’98, con 23,1 punti, 6,4 rimbalzi e 3,9 assist di media spalmati in 10 anni NBA tutti nella BeanTown.
Oltre che il numero due del ruolo per il suo gioco, questo è anche un tributo alla stupenda stagione scorsa culminata nel suo primo titolo NBA, vinto da protagonista assoluto.
Un giocatore dalla classe cristallina, realizzatore implacabile che ha saputo mettersi la servizio della squadra soprattutto in difesa per salire di livello e non restare un eterno incompiuto, fregiandosi dell’anello di campione e del titolo di MVP della Finali.
A nostro avviso il detentore del miglior “midrange game” tra le small forward NBA.
Quando punta il canestro nonostante difese preparate ad hoc su di lui difficilmente non riesce a trovare la via del canestro, creandosi spazi con il corpo sia dal post basso che al gomito che fronte a canestro per poi separarsi e tirare in faccia al proprio difensore inerme con un uso sapiente di finte, tecnica, rapidità di piedi finalizzata ai due punti, che molto spesso possono essere tre visto l’enorme quantità di canestri e falli che raccanta ogni anno.
Ma Pierce non è solo un realizzatore, un califfo offensivo, è anche un giocatore orgoglioso che non ci sta a perdere, che si sbatte a rimbalzo, che si prende responsabilità , un leader che da il proprio esempio in campo e che nell’ultima stagione è diventato anche un mastino in difesa.
Dopo la trionfale stagione scorsa si è prefissato un ulteriore e ambizioso obbiettivo, difendere il titolo NBA.
Carmelo Anthony – Denver Nuggets
203 cm, 104 kg, campione NCAA nel suo unico anno a Syracuse, 24,4 punti, 6 rimbalzi e 3 assist di media in 5 anni NBA tra le alture di Denver.
La consideriamo la terza ala piccola del lotto perché dopo un avvio di carriera NBA al fulmicotone, nella quale contendeva il ruolo di stella emergente a LeBron James, da cui si è persino visto privare del titolo di Rookie od The Year ingiustamente (un bel parimerito sarebbe stato equo), trascinando comunque la sua squadra ai Playoff con un coach non certo di primo piano (Bzedelik) quando l’anno prima lottava per la prima pallina del draft.
Negli ultimi anni ha dato più l’impressione di essere il nuovo Glenn Robinson, giocatore incantevole da veder giocare ma del tutto inconsistente ed inaffidabile per costruirci attorno un team vincente.
Il talento è indiscutibile, forse il più puro nel ruolo, la sua eleganza impareggiabile, la sua mano è dolcissima da ogni zona del campo, il suo jumpshot, soprattutto da 5 metri da fermo una sentenza, può concludere il traffico con tocco morbido o volare alto per un alleyhoop, ha un repertorio offensivo illimitato, eppure…
Eppure pare spesso avulso dal ritmo del gioco, la squadra deve cercarlo per renderlo efficace, come leader è scadente, anche se l’anarchia dei Nuggets non lo aiuta di certo, in difesa non solo non si impegna, ma nemmeno finge di interessarsene se non per qualche rimbalzo.
Proprio in difesa il suo pare essere un problema congenito più che di voglia, visto che alla High School nessuno lo ha certo costretto a piegarsi sulle gambe e al college in difesa era sempre protetto dall’onnipresente zona ordinata da Jim Boheim.
Nella stagione che sta per iniziare, George Karl gli ha chiesto più leadership e più interessamento ad altre fasi del gioco che non siano segnare o tirare, un modo spicciolo per fargli capire che le responsabilità sono quelle di guidare i Nuggets, non stare ad ammassare statistiche, indifferente a quello che accade in squadra.
Dopo l’estate trionfale ad Atene, in cui pare abbia mostrato orgoglio e stupito i propri coach per intensità in campo e allenamento, questa per Melo può essere la stagione della riscossa, e anche un piccolo esame per scoprire davvero di che pasta è fatto, se darò spago ai suoi detrattori che lo considerano un talento incompiuto o mosterà la grinta necessaria per eccellere anche ad alto livello.
Caron Butler – Washington Wizards
204 cm, 99 kg, uscito da Uconn nel 2002, 16 punti, 6 rimbalzi e 2,8 assist di media in 6 anni NBA tra Miami, LA Lakers e Washington.
Non lasciatevi ingannare dalle sue cifre, 16 punti di media in carriera potrebbero ingannare e sembrare “pochi” per essere considerata la 4° ala piccola del ranking, ma non sono la discriminante per la candidatura di Butler, giocatore che da quando è approdato agli Wizards ha trovato la sua dimensione ideale, aumentando ogni anno le proprie cifre ed il proprio peso specifico in seno alla squadra, tanto che lo scorso anno senza Arenas, fuori per quasi tutta la stagione, insieme al suo compagno di squadra Jamison si è preso appresso i compagni e li ha trascinato alla post season.
La storia personale di Butler è molto particolare, cresciuto nella povertà , nel disagio sociale e nella violenza delle strade americane con tanto di spiacevoli episodi adolescenziali che ne hanno formato il carattere e forgiato lo spirito.
Tutta la sua rabbia l’ha sempre messa sul rettangolo di gioco incanalandola in voglia di rivalsa, intensità , orgoglio e passione che combaciando con quel talento ha prodotto un giocatore a cui forse manca un tiro affidabile da tre punti per eccellere, visto che fare canestro non è un problema, in ogni modo e forma, meglio se prende velocità con quel primo passo razzente, a rimbalzo non si tira indietro e ha mani veloci per intercettare o rubare palla.
Ha grinta da vendere, ha talento, ha tutto per diventare uno dei migliori “3° violini” NBA, di supporto a due star che si prendano gli spazi sui cartelloni e vendano le magliette, ma che poi abbiano bisogno soprattutto del suo contributo imprescindibile per fare il salto di qualità , benché il suo gioco passi troppe volte inosservato, forse a causa dei suo ripetuti problemi fisici che lo hanno costretto ai box per oltre 40 partite negli ultimi due anni.
Luol Deng – Chicago Bulls
206 cm, 99 kg, uscito da Duke nel 2004, 15,6 punti, 6,4 rimbalzi e 2,3 assist di media in 4 anni a Chicago.
Vi chiederete come mai abbiamo lasciato fuori giocatori del calibro di Artest, Jefferson, Prince, Stojakovic e Kirilenko, ma siamo convinti che questa sia la stagione della definitiva consacrazione per quest’ala piccola purissima dai natali inglesi e lineamenti tipicamente africani.
Dopo il rinnovo del contratto in estate che lo ha reso multimilionario, i Bulls non solo hanno investito su quest’atleta dotato di un atleticità di primo livello, ma lo hanno eletto a faro di una squadra giovane ma di talento e dai grandi margini di crescita.
Deng ha avuto i migliori maestri, coach K lo ha forgiato tecnicamente, Skiles gli ha dato credibilità quando era rookie e intravedendovi le ottime doti tecniche e l’estrema poliedricità del suo gioco che lo hanno reso ben presto non solo un bel prospetto ma un fattore importante del gioco dei Bulls prima dello scorso e turbolento anno dei tori.
Non è per nessuno un segreto il fatto che nonostante la presenza di Hinrich e Gordon, fosse Deng il giocatore chiave degli agguerriti Bulls messi in campo da Skiles, quello in grado di tirar su grandi bottini offensivi giocando negli spazi lasciati dai compagni, in grado di essere oltre che un signor attaccante anche il miglior difensore della squadra potendo marcare grazie a altezza, apertura di braccia e atletismo indifferentemente guardie, ali piccole ali forti.
Il suo gioco è un toccasana per i puristi del gioco, sempre sotto controllo, poche sbavature, una classe e un eleganza innate, un tiro dagli angoli e dai 5 metri stilisticamente pulito e efficace, capacità di uscire dai blocchi con i piedi a posto e in equilibrio come nemmeno al Partizan negli anni 80 insegnavano, a cui aggiunge giocate spettacolari e adrenaliniche concludendo spesso con schiacciate.
Il suo tiro da tre è in pratica inesistente, il suo raggio di tiro non supera i 6 metri non perché non sia in grado di bombardare da fuori ma perché il suo ruolo e suo gioco gli impongono di farsi trovare sempre massimo a quella distanza dal canestro.
Proprio come un ala piccola purissima.
Ma l’”egemonia” di questi 5 giocatori per il ruolo di ala piccola potrebbe essere rotta a breve termine da alcuni prospetti interessanti che giorno dopo giorno o anno dopo anno si stanno ritagliando spazi importanti mostrando tutto il proprio talento.
Rudy Gay e Josh Howard più che prospetti sono da considerarsi come star in divenire, papabili di top 5 se non fosse che o giocano in squadra di terza fascia in cui hanno più responsabilità ma devono dimostrare ancora molto o giocano in squadre di vertice ma hanno dei limiti caratteriali che non li fanno rendere come auspicabile.
Dietro a loro fremono come un purosangue di razza Danny Granger, che con la dipartita di Jermaine O’Neal in Ontario rivestirà i galloni di faro della ricostruzione dei Pacers, dopo un anno passato a quasi 20 di media e Kevin Durant, la talentuosissima ala piccola dei novelli Thunder, che però nel suo primo anno nella lega è stato impostato quasi sempre da guardia, per proteggerlo da giocatori più corrazzati fisicamente.
Ci sarebbe anche una mina vagante tra questi giocatori ruspanti, ovvero Marvin Williams, seconda scelta assoluta degli Hawks, nel draft che ci ha regalato Paul e Deron Williams, che dopo i primi anni non certo esaltanti ad Atlanta (peraltro chiuso nel settore ali da giocatori più pronti) nell’ultima stagione ha finalmente potuto mostrare il proprio talento.
Nel medio/lungo periodo sono attesi Al Thorthon, che a molti ricorda il talento di Donyell Marshall, sperando che non si perda come ha fatto l’ex Cavs, Jeff Green, un Boris Diaw più esplosivo, Corey Brewer, che dopo un anno in chiaroscuro è atteso alla riscossa in Minnesota, senza dimenticare il nostro Danilo Gallinari, lo stallone italiano che nella Big Apple guidato da Mike D’Antoni, se i malanni fisici lo risparmieranno da qui a un anno potrebbe conquistare non solo il cuore dei tifosi ma anche un ruolo importante e di spicco nella rinascita di una delle franchigie storiche (e decadute) della Lega.