Nessuno è meglio di Howard oggi come oggi sotto i tabelloni della NBA…
Quando parliamo del ruolo di centro facciamo riferimento ad un ruolo che nella storia Nba ha occupato un posto di gran rilievo, con interpreti che hanno scritto vere e proprie pagine nel grande libro della pallacanestro.
Basti pensare ai vari Mikan, Chamberlain, Russell, Reed, Walton, Abdul-Jabbar, fino ad arrivare ad Olajuwon, Robinson, Ewing ed all’ultimo dominatore della storia recente della Lega, Shaquille O’Neal.
Ed è proprio da quest’ultimo che vogliamo iniziare questa classifica sui miglior del ruolo di questa stagione, visto che proprio “per colpa” del Diesel se c’è stata una specie di cambiamento del ruolo negli ultimi anni.
Dopo che il ruolo della Power Forward è diventato prettamente perimetrale (salvo casi isolati), i coach Nba hanno cercato centri mobili per cercare sopperire allo strapotere fisico dell’ex-Laker nell’area verniciata, in modo da poterlo allontanare il più possibile da quest’ultima. Strategia che non ha dato molti frutti, dato che l’unica squadra che è riuscita a battere lo Shaq al massimo della forma sono stati i Detroit Pistons, che schieravano sempre due lunghi di ruolo.
Insomma, purtroppo questo ruolo negli ultimi tempi non è stato preso con la giusta considerazione ed i migliori che troviamo in questa posizione non sono giocatori che possono realmente spostare, anche se sembra che con le “nuove leve”, si possa tornare ad avere centri di un discreto livello. Non siamo al livello degli anni passati, ma è comunque un bel passo avanti.
1) Dwight Howard
Scelta azzardata e forse un po’ troppo precoce, ma la rinascita del ruolo passa da lui. E non si poteva prendere personaggio migliore.
Howard è un ragazzone di 23 anni che ha fatto innamorare tutti nella Lega: religiosissimo, contrario ad ogni tipo di eccesso (si dice che non abbia mai toccato un goccio d’alcol in vita suaa), doti innate da intrattenitore e con un sorriso che conquista chiunque. Tale goliardia però non la porta all’interno del parquet di gioco, dove The Man Child è un giocatore che fa dell’atletismo e del fisico possente il proprio marchio di fabbrica.
Grande rimbalzista su entrambi i lati del campo, intimidatore di buon livello, giocatore di potenza dentro l’area e, soprattutto, lavoratore instancabile, che punta sempre e continuamente a migliorarsi. Basti pensare al cambiamento fatto dal suo arrivo in Nba, dove ha abbinato la già buona componente fisica ed atletica (è il rookie più giovane di sempre a sfornare una stagione in doppia doppia) ad un controllo del corpo eccellente e a qualche movimento spalle a canestro che dimostra che il ragazzo non è ancora arrivato al capolinea tecnico. Anzi.
La stagione scorsa è stata quella della consacrazione per Dwight.
Miglior rimbalzista, giocatore con più viaggi in lunetta (punto debole su cui ha lavorato molto in estate), titolare all’All Star Game, vincitore dello Slam Dunk Contest e primo quintetto Nba.
Paradossalmente, proprio la gara delle schiacciate è stato l’evento che l’ha messo sotto gli occhi di tutto il mondo come star emergente della Nba. Shaquille O’Neal l’ha incoronato come suo degno erede, sia per quello dimostrato in campo che per lo spettacolo che offre al di fuori del rettangolo.
Inoltre il giovane DH ha mostrato che non è il tipo da sciogliersi nei momenti importanti e nei PO ha concluso 3 partite della serie con Toronto con almeno 20 punti e 20 rimbalzi, cifre che non si vedevano dai tempi di Wilt Chamberlain.
Il 2008/2009 dovrà essere la stagione della conferma, cercando di portare Orlando oltre il secondo turno di PlayOff raggiunto lo scorso anno e prendendosi un po’ più responsabilità dei Magic, cosa che l’anno scorso divideva in maniera equa con Hedo Turkoglu.
Le aspettative ci sono tutte per farne una grande stella, sta ora a Dwight dimostrare di poterle confermare.
2) Yao Ming
Il simbolo di una nazione.
Potrebbe bastare questo per far capire l’importanza di Yao all’interno della Nba e non solo, ma la verità è che il portabandiera olimpico della nazione cinese è anche il vero ago della bilancia della stagione dei Rockets. Appurato che McGrady salterà le solite 15/20 partite annuali e che anche in quelle in cui sarà a roster non godrà quasi mai della forma perfetta, ci si aspetta un discreto salto di livello da parte di Yao , che dovrà mettere a tacere tutte le voci che lo vogliono troppo soft quando la palla inizia a scottare sul serio.
Accolto in America con più scetticismo che elogi, Yao ha dimostrato ai più di saper come si gioca con la sfera arancione, smentendo anche i più accaniti denigratori. Come Charles Barkley, che al suo arrivo nella Lega scommise con Kenny Smith che il centro dei Rockets non avrebbe raggiunto 19 punti in una partita della sua stagione da rookie; due giorni dopo, 20 punti con 9/9 ai Lakers di Shaq e Sir Charles che bacia il didietro di un asino come da scommessa.
Yao potrebbe essere il miglior centro della Nba perché nessuno del ruolo attualmente cambia le difese avversarie come lui, ma la scarsa cattiveria e il fatto di non aver mai superato un turno di playoff sono ostacoli relativamente troppo grandi. Inoltre la presenza difensiva limitata solamente alla semplice intimidazione basata sui centimetri e la scarsa propensione a rimbalzo mettono troppi meno rispetto a Dwight Howard per metterlo davanti a lui in classifica.
In attacco è un giocatore sontuoso, mani da pianista che gli permettono di poter giocare tranquillamente sia nell’area dei tre secondi sia un po’ più distanziato senza pagar dazio, grande giocatore di squadra capace di servire i tagli dei compagni e di liberare la palla quando viene raddoppiato.
Quest’anno sembra che a Houston siamo arrivati ad un bivio che condizionerà sicuramente anche il futuro della squadra. Morey ha affiancato ai due pilastri della squadra un personaggio unico come Artest, sicuro upgrade per il roster e per la tenuta difensiva della squadra ma da valutare dal punto di vista mentale, sperando che qualcosa si muova nel periodo dei PlayOff.
Qualora la squadra di Adelman fallisca pure questa occasione, è probabile che ci saranno dei grossi sconvolgimenti nei Rockets, probabilmente a cominciare proprio da Yao, primo indiziato a fare le valigie se va male anche questa stagione.
3) Jermaine O’Neal
Più che altro è una scommessa, su di lui e sul suo stato fisico.
Ma Jermaine O’Neal negli anni in cui è stato bene, ha sempre dimostrato di essere uno dei migliori lunghi della Lega, abbinando ai buonissimi movimenti spalle a canestro e alla buona predisposizione difensiva, la capacità di poter giocare accanto sia ad un lungo di ruolo che ad un giocatore un po’ più perimetrale, come può essere Chris Bosh.
In Canada si aspettano molto da questa coppia di lunghi, cercando di dare quel salto di qualità che è mancato nelle ultime due stagioni, bloccati entrambe le volte al primo turno di PlayOff da squadre che non erano così irresistibili sotto le plance, patendo l’apporto un po’ troppo “soft” da parte dell’ex-Georgia Tech nella post season. Proprio per questo motivo Colangelo si è mosso per O’Neal, giocatore con alle spalle molti problemi fisici, ma che può dare una vera e propria dimensione interna alla squadra di Mitchell.
Saltato direttamente dalla High School alla Nba, Jermaine è letteralmente esploso nei Pacers dopo un inizio da “tirocinante” ai Blazers, che lo scambiarono per Dale Davis, giocatore utile ma in netto decadimento fisico e tecnico. Indiana si è trovata in mano un terno al lotto inaspettato, trovando nel giovanotto poco più che ventenne un’arma offensiva e difensiva di primo livello, tanto da vincere il trofeo di giocatore più progredito della stagione 2001-2002, ad essere votato per 6 All Star Game ed a diventare uno dei migliori giocatori interni della Lega.
Come già ampiamente ripetuto, i guai fisici lo hanno tormentato per tutti gli ultimi anni, consentendogli di giocare 44, 51 e 42 partite in 3 delle ultime 4 stagioni. Toronto ha corso un rischio calcolato, visto che per lui i Raps hanno ceduto due giocatori non indispensabili per le sorti delle squadre (Ford e Nesterovic) ricavandone uno che le può cambiare eccome. Sarebbe un grandissimo e graditissimo ritorno sia, naturamente, per i canadesi che per l’intera Nba, che ritroverebbe un grande protagonista.
4) Zydrunas Ilgauskas
Il centro dei Cavaliers è forse il giocatore che più ha guadagnato dall’arrivo di Lebron James sulle sponde del lago Erie. Lungo molto tecnico, con mani molto morbide per un 7-3 ed un senso della posizione che fa sì che ogni compagno possa trovare la soluzione giusta senza trovarselo di intralcio.
Arrivato a Cleveland dalla Lituania con grossi problemi al piede destro, Ilgauskas ha saltato la stagione da rookie proprio per questo motivo, debuttando tra i Pro l’anno successivo aiutando i Cavs a raggiungere i PlayOff e risultando tra i migliori 5 giocatori al primo anno.
Nelle tre stagioni successive, riesce a giocare solamente 91 partite in 3 anni per il solito infortunio al piede, rischiando seriamente di dover concludere anticipatamente la sua carriera per le continue operazioni subite. Ma con la pazienza ed il duro lavoro, il lituano è riuscito a tornare sui suoi livelli, ed in coppia con The Chosen One, è risucito a portare i Cavaliers ad una semifinale di Conference, ad una finale di Conference ed ad una Finale Nba.
Molto sottovalutato dagli addetti ai lavori, Ilgauskas sa sfruttare benissimo tutti i vari punti di forza dei compagni, grazie ad una capacità di lettura offensiva e di passaggio che fa di lui il playmaker occulto della squadra. In difesa non è quel muro insuperabile che tutti si aspetterebbero, ma 221 centimetri non sono così facilmente valicabili e a rimbalzo ha posizione per prenderli e farli prendere ai compagni.
Quest’anno i Cavs dovranno fare un salto di qualità rispetto allo scorsa stagione, visto che saranno i primi avversari ad Est dei Celtics campioni uscenti. Inoltre in Ohio è arrivato un'altra bocca da fuoco che si accoppia bene con i due, ovvero Mo Williams, che cercherà di sfruttare gli scarichi di James e Ilgauskas.
5) Shaquille O’Neal
A molti questo quinto posto farà storcere il naso, ma la verità è che il più grande break-dancer della Lega può ancora dare qualcosa ai Suns. Anche se il fisico è in parabola discendente e gli infortuni sono sempre più frequenti, la sua conoscenza del gioco, in post e non, e la sola presenza in campo fa di lui un giocatore che deve esser tenuto d’occhio in ogni caso.
D’altra parte, il giocatore in questione non ha bisogno di moltissime presentazioni. Atletico e sbruffone ai Magic, dominatore nei Lakers di Coach Zen, comprimario extra-lusso agli Heat titolati, Shaq nel deserto dell’Arizona può evolversi nel suo ultimo stadio, ovvero quello del giocatore di esperienza da 25/30 minuti a partita che può rivoltare la partita con la sola presenza a centro area, togliendo pressione a Stoudemire, Nash ed a trovare una via alternativa al gioco tutto in velocità dei Suns, Terry Porter permettendo.
Sembra già che qualche ingranaggio si sia mosso nel cervello del Diesel, presentandosi al training camp in buonissima forma, smentendo quanto dimostrato negli ultimi anni, quando, alla ripresa degli allenamenti, si faceva trovare sovrappeso (e quindi più injury-prone di quanto non sia già ) e completamente fuori allenamento. Altra nota positiva, il fatto che voglia migliorarsi ai liberi per evitare il fastidiosissimo Hack-a-Shaq, ovvero il fallo sistematico che gli avversari usano per sfruttare la sua scarsissima percentuale dalla linea della carità
Terry Porter si affiderà molto a lui, soprattutto quando si inizierà a sentir odore di primavera, con la volata finale e i PlayOff dove O’Neal sarà , come sempre, determinante per la propria squadra. Se in negativo o in positivo, dipenderà tutto da lui.
Dwight e i suoi fratelli
Come già detto nella parte iniziale dell’articolo, sembra di essere davanti ad una sorta di rinascita del ruolo; dietro ad Howard c’è una Generazione di Fenomeni che aspetta solo di venire a galla. A causa di infortuni o di destinazioni non gradite non hanno ancora potuto dimostrare a pieno il proprio potenziale, e si spera che questa possa essere la stagione congeniale a loro, in modo da ritrovare delle belle rivalità sotto le plance, per il bene del ruolo stesso e della Nba in generale.
Iniziamo da Andrew Bynum, giocatore che probabilmente vale già la classifica stilata qui sopra, ma che ha alle spalle solo metà stagione, dove comunque ha dimostrato che il lavoro fatto da Coach Zen ha dato dei frutti molto prelibati. Da vedere come recupera dall’infortunio al ginocchio patito a metà gennaio e da come si potrà comportare di fianco ad un altro giocatore interno come Gasol. Ma ai Lakers puntano tutto su di lui per il presente ed il futuro, e con la squadra allestita quest’anno, Drew può già assaggiare palcoscenici importantissimi.
Greg Oden è forse il giocatore più atteso dell’anno, dopo aver saltato la sua stagione da rookie per un brutto infortunio. Dominatore in difesa nel suo unico anno ad Ohio State, il 20enne può essere il tassello perfetto per rendere la banda di ragazzini terribili di McMillan una contender per molti anni a venire, possibilmente migliorando i movimenti offensivi e limitando il più possibile la sua indole fallosa. Per molti è The Next Big Thing.
A Minnesota invece c’è un ragazzone che viene molto sottovalutato da quando è stato tradato lo scorso anno, ma che potenzialmente potrebbe essere uno dei grandi protagonisti del ruolo per i prossimi anni. Arrivato direttamente dall’HS per fare la Power Forward, Al Jefferson in questa stagione dovrà “specializzarsi” nella posizione di centro, dato l’arrivo a Minneapolis di Kevin Love, altro giocatore interno ma troppo basso per giocare come unico lungo. Al ha le potenzialità per poter sfondare, anche se questo non è il suo ruolo naturale e se non avrà il solito talento dei due sopra citati, ma può essere comunque una validissima alternativa.
Buttando un occhio nel mondo scolastico invece salta subito davanti il nome di BJ Mullens, freshman di Ohio State dotato di grande atletismo e movimenti spalle a canestro interessanti. E’ un po’ abituato a giocare con ragazzetti 20 cm più bassi di lui e dovrà essere meno soft di quanto è stato descritto. Da tenere d’occhio pure Hasheem Thabeet, 220 centimetri di difesa ed intimidazione al servizio di UConn.